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 2010  marzo 31 Mercoledì calendario

UNA TATA PER VOI

Fiamma Tinelli per Oggi, 31 marzo 2010, pag. 48

"E pensare che volevo fare la lattaia».
La lattaia?
«Sì, la lattaia. Mi piaceva tanto, da bambina, guardare la signora che sotto casa nostra riempiva di latte le bottiglie di vetro e chiacchierava con le clienti...». La mancata lattaia che mi siede di fronte è Lucia Rizzi, star televisiva di Sos Tata, autrice di molti best setter su pupi e dintorni e, soprattutto, nuovissima firma di Oggi: Fate i bravi, la sua rubrica di risposte ai lettori su tutto quanto riguarda ciucci&capricci, debutterà infatti sul nostro giornale la prossima settimana (per scriverle, fiitdbrain@rcs.it). Quanto Lucia sia brava con i bambini, è cosa nota. Il motivo della mia spedizione nel suo appartamento milanese - tutto foto dei nipoti e patchivork americani - stavolta ha un altro scopo: vorrei sapere tutto di lei. In tre ore di chiacchiere su un divano color tortora, apprendo che Lucia Rizzi soffre d’insonnia e scrive i suoi libri alle tre del mattino, che va pazza per Ella Fitzgerald e il cappuccino, che a 50 anni una malattia l’ha aiutata a reinventarsi la vita, «perché le "tegole" in testa capitano, ma non bisogna mica mollare». Ma soprattutto, scopro che è stata una bambina terribile.
Ah, meno male. Pensavo che mi dicesse buona-brava-educata.
«Educata sì, perché la mamma ci teneva. Ma ero irrequieta, curiosa, e soprattutto chiacchierona. Mia mamma mi chiamava "la pettegola"».
Attaccava bottone?
«Anche coi pali della luce. Volevo sapere tutto».
Cos’altro diceva, sua madre?
«Di pulire le scarpe anche dietro, perché il papa avrebbe voluto vedere me e le mie due sorelle sempre in ordine. morto quando avevo tre anni, ma mia mamma gli portava rispetto come se fosse E con noi».
Tempi duri.
«Oggi so che eravamo povere, ma io quella parola dalla bocca di mia madre non l’ho mai sentita uscire. Ci ha tirato su a forza di regole e risate: si filava dritto, ma eravamo felici».
Regole tipo?
«Le unghie pulite, il grembiule stirato, il quaderno in ordine. E il rispetto, sempre, per tutti. "Voglio essere orgogliosa di voi" ci ripeteva».
Una donna in gamba.
«Molto. Per mantenerci lavorava come segretaria in Confindustria. Ma siccome così non riusciva a starci dietro come avrebbe voluto, ci mise tutte e tre in collegio dalle suore».
Brutti ricordi?
«Neanche per sogno. C’era la suora che mi leggeva i Promessi sposi e mi pareva una telenovela, gli inviti delle compagne di classe, le gite... Il mare l’ho visto per la prima volta a 12 anni, e mi ricordo ancora la gioia».
Dica la verità, lei è una che non molla.
«Sono una che reagisce bene alle "tegole" sulla testa».
Dal collegio delle Orsoline alla Tv: come c’è riuscita?
«Bah, a me non sembra di aver fatto nulla di straordinario. In vita mia ho realizzato tante cose, quello si. Ma la vera svolta è stata l’America a 15 anni».
Racconti.
«Dopo il collegio mia madre mi iscrisse alle magistrali, "così almeno trovi lavoro". Quando ero in seconda, uscì una borsa di studio: in palio, un anno di liceo negli Stati Uniti. C’era solo un problema». Quale?
«Che io d’inglese sapevo due parole. Me la cavavo meglio col milanese». Quindi?
«Quindi, mi presentai all’orale senza troppe speranze. "Cosa ti piace leggere, cara?", mi chiese il commissario americano. E io, che divoravo thriller come noccioline, gli sciorinai tutta la lista degli autori a stelle e strisce della collana Mondadori. Tre mesi dopo ero sulla nave».
In California da sola, a 15 anni, nel 1958. Un bel salto...
«A Milano stavamo in un prefabbricato senza riscaldamento, mi ritrovai in una villa con la piscina a preparare tacchini per Thanksgiving, il giorno del Ringraziamento. Un sogno».
E quando tornò?
«Conclusi gli studi, mi sposai, cercai un lavoro. Ho fatto la segretaria allibra, al Corriere della Sera. Ma quando sono arrivati i figli, volevo un part time. Così, bussai alla scuola americana».
Disponibili?
«Gli americani sono sempre disponibili con chi si da da fare. Ho insegnato in quella scuola per 32 anni: italiano, storia, geografìa». Finché qualcuno non si è accorto che aveva anche un altro talento.
«C’erano dei bambini che avevano molta difficoltà a stare attenti in classe. Avevano problemi in tutte le materie, tranne che nella mia. E i genitori mi chiedevano perché».
Già, perché?
«Perché io ero come loro, iperattiva. Durante la lezione mi muovevo, un momento indicavo la cartina e quello dopo disegnavo un ritratto di Giulio Cesare sulla lavagna. E i ragazzi, invece di annoiarsi e distrarsi, mi seguivano. Questa scoperta mi appassionò».
E si rimise a studiare. A 50 anni suonati.
«Al Child Development Center, in Califomia. Lì ho capito che non esistono "bambini cattivi", ma solo comportamenti sbagliati. E i comportamenti, grazie al cielo, si imparano. Ma a spingermi a tornare in America fu anche un’altra cosa». Quale?
«Un’aneurisma cerebrale. Quando mi sono ripresa, ho capito che dopo 27 anni di matrimonio, coi figli già grandi, era venuto il momento di dedicarmi a quello che mi piace». Cioè?
«Aiutare la gente a crescere dei bambini sereni».