Giorgio Dell’Arti, Vita di Cavour, Mondadori Milano 1983, 25 marzo 2010
Il conte era impressionato dalla doppiezza della città. Si percorrevano strade piene di fango e di miseria, poi si svoltava un angolo ed ecco una fila di carrozze, dame in seta ricamata, cappelli
Il conte era impressionato dalla doppiezza della città. Si percorrevano strade piene di fango e di miseria, poi si svoltava un angolo ed ecco una fila di carrozze, dame in seta ricamata, cappelli. Dalle finestre dello stesso palazzo si affacciavano uomini in cravatta e morti di fame. Ma questa mescolanza, veramente era un’illusione. Sulle scale i signori non incrociavano mai quegli altri. C’erano ingressi diversi, dietro le facciate era pieno di corridoi, ringhiere, pianerottoli. Ognuno seguiva la sua via. Per distinguersi, la gente di qualche pretesa aveva cominciato a emigrare verso nord-ovest: Champs-Elysées, Montmartre. L’avvento di Luigi Filippo aveva come sanzionato questi spostamenti. La classe dirigente non abitava più il faubourg Saint-Germain, ma la rue de la Chaussée d’Antin, una strada che solo mezzo secolo prima contava trentadue casupole e che adesso al numero 7 aveva i Mosselman, magnati del rame e dell’ottone, al 13 e al 70 due amministratori della Banca di Francia (il barone Mallet e il conte Pillet-Will), al 5 madame d’pinay, all’11 l’amante del principe di Soubise, che aveva fatto decorare le stanze da Fragonard e David. Il flusso verso nord-ovest aveva provocato una frana. Si trasferiva un ricco, poi lo seguiva il suo medico, più tardi il suo avvocato o notaio, infine si spostavano i negozi che, per prosperare, devono star dietro all’agiatezza. Gli affitti si abbassavano, il quartiere diventava ”accessibile”, ecco arrivare quegli altri, sarti o muratori. Questo accelerava la fuga degli ultimi rimasti. Così si era degradato il centro ed erano nati questi quartieri lividi e rumorosi, pieni di fumo e odore. Un mare di camere ammobiliate aveva sommerso l’Arcis, nel VII arrondissement. Per dieci franchi al mese si affittava una stanza di tre metri quadri, con un letto fatto di lenzuola di tela da imballagio. Per sei franchi si prendeva una brandina in camerate da 40 persone. Per sessanta centesimi si andava al dormitorio pubblico. Le strade intorno all’Opéra erano piene di case di tolleranza, una folla di prostitute percorreva ogni notte la Porte Saint-Martin, attratta dai commerci sulle Halles. Anche i dintorni del boulevard erano pieni di donne che si offrivano. Apparivano la sera, sbucavano all’improvviso dagli angoli, nude. Secondo l’opinione più diffusa non c’era rapporto tra questa miseria così estesa e i primi impianti industriali. Spiegarono a Cavour che i poveri erano soprattutto vecchi servitori rimasti senza impiego, disoccupati di ogni genere e anche operai. Tra questi però la percentuale di artigiani o di muratori era identica a quella degli addetti all’industria. Una certa miseria – aggiungevano – è inevitabile, è insita nello sviluppo stesso della città. In questi discorsi c’era sempre un momento in cui, allargando le braccia, si citava il Vangelo, Matteo XXVI, 11: «Nam semper pauperes habetis vobiscum», «infatti i poveri saranno sempre con voi». «No, no, non si può capire la miseria dei lavoratori» sostenevano «se non si osserva il loro comportamento. Come si spiega che moltissimi il lunedì’ non vengono? Hanno preso la paga al sabato, si son dati ai bagordi. Infatti i tipografi, che sono pagati a quindicina, hanno un ritmo di assenze diverso. Anche la beneficenza: se non esistessero la Bicêtre, la Salpêtrière e gli altri ricoveri per la vecchiaia, la classe operaia sarebbe costretta a esser più previdente e a mettere da parte qualcosa. Perché la domenica se ne vanno in giro alle barriere invece di depositare il denaro nelle casse di risparmio?». Cavour non aveva difficoltà a concordare con queste analisi. Gli inglesi erano arrivati alle stesse conclusioni. A Parigi esistevano deio comitati di beneficenza che fornivano sussidi agli indigenti. Essere iscritti nelle liste non era facile. Bisognava avere 65 anni e tre figli a carico oppure soffrire di qualche male grave. Disposizioni particolari riguardavano il pane. Un tempo si ricorreva ai granai pubblici se il prezzo superava i venti soldi, ma adesso venivano distribuite delle tessere con cui il povero non pagava la pagnotta più di sedici soldi e il resto veniva versato ai fornai dal comune. Nell’inverno 1828-29 vennero distribuite mediamente 153 mila tessere, con punte di 210 mila. Nell’inverno 1830-31 127.657, con punte dio 241 mila. Alla vigilia del secondo raccolto del 1832 furono soccorse 187.000 persone. A Cavour vennero fornite queste cifre, assai più veritiere delle liste pure e semplici degli indigenti secondo cui a Parigi c’erano, nel 1835, appena 62.000 poveri. Dal punto di vista alimentare l’operaio parigino si collocava a metà tra il ginevrino e il piemontese: più o meno riusciva a mangiar carne una volta alla settimana. La pietanza più diffusa erano le patate. Per strada si vendeva il brodo con i bolliti. Le donne acquistavano i legumi già lessi, a casa si scaldavano e insaporivano con un pizzico di burro e sale. Gli operai avevano cominciato a riunirsi in società di mutuo soccorso. Si versavano uno o due franchi in un fondo comune, ci si sforzava di aiutarsi l’un l’altro in caso di difficoltà. Ma raramente queste società riuscivano nello scopo, per soccorrere un malato o dare la pensione a un vecchio ci volevano troppi soldi. Tuttavia nel ”33 la Société Philantropique aveva contato 211 di queste associazioni. Spiegarono a Cavour che negli ultimi anni, persi i connotati assistenziali (anche come semplice deposito di denaro le casse di risparmio erano meglio), le società di mutuo soccorso avevano cominciato a interessarsi di politica. Si ricordava un’imponente manifestazione di tipografi, con bandiere e tutto, all’indomani dell’avvento di Luigi Filippo. I tipografi erano i meglio organizzati. In seguito i garzoni di carpentieri, sarti e fornai s’erano rifiutati di lavorare per ottenere un aumento di salario. Nel 1831 a Lione avevano fatto fuoco e fiamme gli operai della seta. Sì, soprattutto il partito repubblicano cominciava a guardare a queste occasioni con interesse.