Armando Torno, Corriere della Sera 24/03/2010, 24 marzo 2010
ULTIME CENE DA OBESI NEI DIPINTI? DI ABBUFFATE E’ PIENA LA STORIA
Sull’«International Journal of Obesity» è uscita un’analisi di 52 dipinti, realizzati tra il 1000 e il 2000, che raffigurano l’Ultima Cena di Gesù. Da uno studio di Brian Wansink, condotto alla Cornell University (un ateneo di Ithaca, nello stato di New York), emerge che le porzioni sono in aumento e si mangia sempre di più. Il metodo utilizzato per giungere a questa conclusione è presto detto: i ricercatori hanno paragonato le dimensioni degli alimenti a quelle delle teste dei personaggi presenti raffigurati, ovvero Gesù e i dodici apostoli, ed è risultato che la quantità delle pietanze è cresciuta del 69%, mentre i piatti registrano un più 66% e soltanto il pane si direbbe morigerato con un ingrandimento del 23%. La qual cosa indica, stando a Brian Wansink e collaboratori, che se le opere d’arte hanno riportato le abitudini alimentari dell’epoca in cui furono dipinte l’uomo tende ad aumentare le porzioni di cibo. Un fenomeno, insomma, che ha insospettabili radici lontane e non è soltanto dovuto all’ingordigia contemporanea. I dipinti esaminati vanno dal Cenacolo di Leonardo ai capolavori di Duccio, Pietro Lorenzetti, Domenico Ghirlandaio et similia. Situazioni immortali che riflettono, al di là delle componenti simboliche, gusti e abitudini del loro tempo. Non a caso Wansink ha ricordato che nella celebre opera di Leonardo, conservata a Santa Maria delle Grazie a Milano, «non c’è agnello e pane ma anguille, che erano un piatto tipico dell’epoca». Si sa che i vangeli sono avari di dettagli e nemmeno in quello di Giovanni, che dedica un certo spazio all’avvenimento, ci si sofferma sulle portate. Era una cena pasquale ebraica, e quindi dobbiamo pensare all’agnello e al pane azzimo, ma non è il caso di aggiungere portate con la fantasia.
Detto questo, però, va posto in margine allo studio della Cornell University un sorriso. Per un semplice motivo: i ricchi nelle cene antiche o rinascimentali, ma anche nelle settecentesche, mangiavano molto più che in quelle contemporanee. Basterà ricordare il solo antipasto fatto servire da Trimalcione durante quell’abbuffata che si legge nel Satyricon di Petronio, in un periodo distante qualche anno dalla cena di Gesù. Dunque: nel mezzo del vassoio c’è un asinello di bronzo corinzio con due bisacce piene l’una di olive bianche, l’altra di nere; sopra di esso, due piatti che portano inciso il nome del padrone di casa; ponticelli saldati gli uni agli altri sostengono ghiri conditi con miele e papavero. C’è poi una graticola d’argento, con salsicce calde sopra e, sotto, prugne di Siria e chicchi di melagrane per imitare la brace. Poi, come è noto, si prosegue con una mangiata interminabile, con continue sorprese, tra beccafichi, un cinghiale (con un berretto in testa), un vitello (con un elmo) e tre maiali vivi che sono mostrati ai commensali prima di essere rapidamente cucinati. Chi volesse misurare il colesterolo delle portate dovrà ricorrere a parametri non umani.
I filosofi cinici antichi, che sovente giravano per la Grecia coperti di stracci, amavano rispondere a chi chiedeva loro quando mangiare: «Se sei ricco quando vuoi, se sei povero quando puoi». E questo valeva anche per le porzioni. Una regola che va bene in ogni tempo.
Armando Torno