Mario Porqueddu, Corriere della Sera 24/03/2010, 24 marzo 2010
NUOVE BATTAGLIE (PERDUTE) SULL’AMBIENTE
Respinta la richiesta di vietare le esportazioni di tonno rosso e di varie specie di squalo. Bocciato il tentativo di fissare regole più severe sui coralli. Nessuna tutela per l’orso polare. Con il dovuto rispetto per il Neurergus kaiseri, salamandra mediorientale che su proposta dell’Iran è stata inserita fra le specie di cui sarà vietata la compravendita, la XV conferenza delle parti Cites sul commercio di fauna e flora minacciate di estinzione non procede bene. Dal punto di vista di piante e animali, certo. Ma anche di chi, ed è il caso dell’Unione europea, si era speso perché le cose andassero diversamente.
A Doha, in Qatar, tra oggi e domani si tengono le ultime due riunioni plenarie di questa Cop15, ma a giudicare dallo sviluppo dei negoziati (partiti il 13 marzo) il risultato è già scritto. E dopo la disfatta di Copenaghen la diplomazia verde d’Europa, che aveva faticosamente provato a compattarsi per promuovere uno stop della pesca al tonno, rischia un’altra sconfitta. «Forse è la sigla Cop15 che porta male: sia la conferenza sul clima, in Danimarca, sia questa di Doha si chiamano così...» prova a scherzare Aldo Cosentino, Direttore generale per la Protezione della natura al ministero dell’Ambiente, che in Qatar rappresenta l’Italia. Poi torna serio: «Il 2010 è l’anno della biodiversità, speravo in segnali diversi». Invece, la proposta del Principato di Monaco per una sospensione delle esportazioni di tonno rosso dall’Atlantico e dal Mediterraneo è stata respinta.
A Copenaghen, si è detto, ha vinto la Cina. A Doha è stata Tokio a mostrare i muscoli. L’azione di lobbying del principale consumatore di tonno rosso – l’80% di quello pescato finisce in Giappone, dove è venduto a oltre 500 euro al chilo per poi diventare sushi’ ha spostato i voti di vari Paesi in via di sviluppo. Perché una proposta sia approvata in sede Cites occorre la maggioranza dei due terzi dell’assemblea. Il divieto di commerciare il tonno è stato respinto con 68 no e 20 sì (30 gli astenuti), anche grazie alla Libia, che ha spinto per una procedura di voto senza discussione delle mozioni. Stessa sorte, più o meno, per il «piano b» europeo, e cioè lo slittamento di un anno dell’inserimento del tonno rosso nell’Allegato I – che prevede il blocco totale del commercio ”, bocciato con 72 no. Pare che nel corso delle plenarie la Francia voglia riportare sul tavolo la questione tonno, e che gli Usa torneranno alla carica per il corallo. Ma sarà dura avere la meglio contro il potente mix composto da interessi economici e radicate tradizioni culturali. E non è sempre colpa del Giappone: capita che lo Squalus acanthias (volgarmente detto Spinarolo), che secondo alcune stime è a rischio estinzione ma continuerà a essere commerciato, finisca nel «fish & chips», cibo decisamente europeo... Per dire che anche su questa sponda dell’Oceano esistono punti di vista diversi. «Siamo sbigottiti – attacca Massimiliano Rocco, del Wwf – per come i governi mostrano di avere una forte predisposizione per il calcolo economico invece di pensare alla natura». Però, sempre in Italia, Federcoopesca esulta per la decisione presa sul tonno: «Ha vinto il buon senso e si è evitata una grave limitazione alla libertà d’impresa». E dire che persino la Fao, la cui voce in seno a Cites conta qualcosa, si era spesa per la salvaguardia degli stock di tonno rosso, che sono sempre più ridotti e composti da esemplari sempre più piccoli. Tutto inutile.
Diverso, ma altrettanto sintomatico delle divisioni a livello mondiale e all’interno di singoli Paesi, il caso del corallo. In questo caso la Fao, che occupandosi di alimentazione è meno interessata, ha sostenuto che le indicazioni scientifiche non giustificassero livelli di protezione particolare. Con buona pace degli Usa e di chi come loro invocava il principio di precauzione. Il sottosegretario italiano agli Esteri Vincenzo Scotti è felice: «Apprendo con soddisfazione la notizia che è stata approvata la richiesta del governo italiano della non inclusione del corallo rosso nell’appendice II della Cites», dice in una nota, sottolineando il lavoro fatto «con il ministro Prestigiacomo e le associazioni di categoria, in favore delle famiglie, soprattutto campane, che operano nel settore». Infine: l’inserimento dell’orso polare fra le specie non commerciabili – osteggiato da Canada, Groenlandia e Norvegia’ non è passato per problemi di «competenza». La sua sopravvivenza, infatti, non sarebbe minacciata tanto da caccia e commercio, ambito d’azione di Cites, quanto dallo scioglimento dei ghiacci. Così, le vittorie del partito della conservazione riguardano 7 vegetali del Madagascar, la tutela dello squalo Lamna Nasus, o Smeriglio (ma potranno essere uccisi e venduti lo squalo martello smerlato, lo squalo oceanico dalle punte bianche e il già citato Spinarolo), e soprattutto il no a deroghe sull’avorio.
Zambia e Tanzania, calcolando di ricavarne oltre 20 milioni di dollari, avevano chiesto di poter mettere sul mercato rispettivamente 22 e 90 tonnellate di avorio stoccato da quando, nell’89, è scattato il bando internazionale. «Da allora – sostiene la Tanzania – i nostri elefanti sono passati da 55.000 a 137.000, e i proventi della vendita di avorio ci servirebbero a indennizzare le popolazioni rurali per i danni all’agricoltura provocati dai pachidermi». Richiesta respinta: si teme che l’apertura alla vendita legalizzata di avorio faccia gola ai cacciatori di frodo portando a una recrudescenza del contrabbando. Gli esperti dicono che il mercato illegale di animali vivi o morti, di loro parti o derivati, è secondo al mondo solo a quello della droga. Uno dei motivi, spiega Paul Todd, dell’International Fund for Animal Welfare, è legato a Internet: «Il commercio online di specie protette è una delle sfide di Cites».
Mario Porqueddu