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 2010  marzo 24 Mercoledì calendario

PIRELLA, QUEGLI SLOGAN NELLA STORIA

Fresco di laurea in lettere moderne a Bologna, Emanuele Pirella si trasferì a Milano nel 1964 alla ricerca di un lavoro in una casa editrice. Sognava di diventare uno scrittore, il talento non gli mancava: i suoi primi 24 racconti gli valsero una raccomandazione di Luciano Bianciardi alla Feltrinelli. Ma non gli sarebbe dispiaciuto neppure fare il cantante nei night club, essere una sorta di Domenico Modugno del Nord, come raccontò in un’intervista a Maurizio Chierici nel 2000. Alla fine optò, anche grazie a una serie di fortuiti incontri che si trasformarono in amicizie di una vita – come quella con Tullio Pericoli – per il mondo della pubblicità. Una scelta consapevole, non un ripiego, che ne ha fatto uno dei più incisivi pubblicitari italiani dell’ultimo mezzo secolo.
Nato a Parma nel 1940 e scomparso ieri a Milano,fondatore dell’agenzia Pirella Göttsche ( oggi Lowe Pirella) e della Scuola di Emanuele Pirella, accademia per aspiranti pubblicitari, Pirella è stato la mente creativa di claim entrati nella lingua di tutti i giorni, un caso di felice osmosi in cui il gergo commerciale è riuscito a vivacizzare, se non ad arricchire, l’italiano corrente. Basti pensare alla pubblicità del 1973-74 per i jeans Jesus, che utilizzava un’immagine, scattata da Oliviero Toscani, di un sedere di donna strizzato nel denim e il claim "Chi mi ama mi segua". Nel libro autobiografico Il Copywriter. Mestiere d’arte, pubblicato dal Saggiatore nel 2001, Pirella ricorda lo scandalo causato dalla campagna, condannata dal Giurì della pubblicità: «L’Osservatore romano ci minacciò tutti di scomunica. Ma vale la pena di ricordare che "Chi mi ama mi segua", contrariamente a quanti molti credono, non era una citazione del Vangelo. Era una frase pronunciata, durante una battaglia, da un re francese, Filippo il Bello».
Negli anni successivi, Pirella e le sue squadre di creativi hanno sfornato slogan che ancora oggi tutti conoscono (" O così o Pomì", "Altissima, purissima, Levissima") e in alcuni casi tuttora utilizzati dalle aziende che li commissionarono: è il caso di "Nuovo? No, lavato con Perlana", sorta di highlander delle campagne pubblicitarie. Pirella era un intellettuale della comunicazione di massa: amava studiarne e teorizzarne i meccanismi, magari leggendo o discutendo con Umberto Eco o i semiologi francesi, tanto quanto amava "sporcarsi le mani" facendo il copywriter. «Non c’è dubbio che non si può porre contrapposizione tra informazione e spettacolo, tra efficienza ed emozione – scriveva ancora nella sua autobiografica ”. La necessità di porre regole e l’obbligo di uscirne è il tratto che unisce le grandi campagne pubblicitarie di ogni tempo, in ogni cultura. Ma è dalla capacità di rendere umano e spettacolare qualcosa che nasce dalla ragion d’essere del prodotto che sono venute le grandi campagne».
Accantonato il sogno giovanile di diventare scrittore, Pirella non fu mai solo un copywriter: con Tullio Pericoli trovò, nel 1984, un modo per fondere parole e immagini in una delle strisce satiriche più longeve della carta stampata italiana, "Tutti da Fulvia sabato sera", pubblicata ogni settimana da Repubblica. E nel 2000 vinse il premio Flaiano per le recensioni televisive scritte per l’Espresso. Nei prossimi anni, se la malattia non glielo avesse bruscamente impedito, si sarebbe dedicato alla sua scuola per aspiranti pubblicitari. Ai quali avrebbe probabilmente ripetuto la filosofia della sua "agenzia ideale", dove «c’è sempre una pagina bianca sulla quale esercitare i propri strumenti: il creativo, ogni mattina, non sa quali userà, o se ne inventerà un altro, tutto suo, mai usato, pulitissimo, così nuovo e così efficace, forse».