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 2010  marzo 24 Mercoledì calendario

LA STRANA CORSA DELLE MONETE A CHI PERDE DI PI

Ormai è quasi una gara. Un po’ pericolosa. Le quattro grandi valute (dollaro, euro, sterlina e yen) insieme alle monete satellite, sembrano lottare per perdere quanto più valore è possibile, e conveniente, rispetto alle altre.
 solo una personificazione, naturalmente: i cambi non pensano e non agiscono. Da quando, con la crisi greca, le pressioni rialziste hanno smesso di scaricarsi tutte sull’euro - di fatto la principale valuta liberamente fluttuante - il gioco dei cambi è diventato quanto mai complicato. La moneta comune da inizio anno è calata del 5,9% sul dollaro: ieri ha toccato sui minimi 1,3477 e si riavvicina a quota 1,3433-35. Quando scenderà stabilmente sotto questo livello - secondo diversi analisti - potrebbe scivolare a 1,31 dollari. A fine ottobre 2008, nel momento della grande turbolenza, era però a 1,2328, poche settimane prima, il 15 luglio, a 1,6038.
Ieri però i movimenti dei cambi sono stati limitati, a conferma del fatto che l’incertezza domina: né le nebbie sugli aiuti alla Grecia, né gli scenari apocalittici sulla divisione in due di Eurolandia permettono che una strategia di investimento prevalga sulle altre. La debolezza dell’euro ha comunque spinto verso l’alto il franco svizzero, scivolando di nuovo al minimo storico, ieri a 1,4292. La pressione delle vendite si è scontrata con le dichiarazioni di Philipp M. Hildebrand, presidente della Banca nazionale svizzera (Bns) che da tempo si è posto come obiettivo quello di evitare un cambio troppo forte: «Abbiamo un’ampia gamma di strumenti per evitare un eccessivo apprezzamento e faremo questo per assicurarci che la ripresa possa continuare », ha detto, precisando: «Compreremo valute estere, possiamo farlo in quantità molto grandi».
Gli investitori non sono in realtà convinti delle sue intenzioni e, come sempre accade in questi casi, sono pronti a mettere alla prova la determinazione svizzera. «Le dichiarazioni (di Hildebrand, ndr) sul fatto che le attuali previsioni della Bns sono incompatibili con una politica monetaria espansiva nel lungo termine suggeriscono che la Bns sarà tra le prossime banche centrali ad alzare i tassi», ha detto Kamal Sharma di JPMorgan.
La Svizzera ha avuto spesso il ruolo, in questi mesi, di dire apertamente quello che le altre banche centrali stanno facendo in silenzio. Le politiche non convenzionali, da cui qualche banca centrale sta ora lentamente preparando il rientro, non hanno smesso di produrre effetti anche sui cambi valute: secondo diversi economisti, di fatto determinano una svalutazione competitiva, con il rischio - estremo, lontano ma da valutare - che l’economia globale sfoci in una situazione simile a quella degli anni Trenta del Novecento, quando l’economia globale fu messa in ginocchio da politiche valutarie aggressive.
Per ora il panorama dei cambi vede "vinti e vincitori" chiari (anche se i due ruoli cambiano a seconda del punto di vista scelto). Il cambio effettivo - un paniere verso le valute dei principali partner commerciali- dello yen è sceso del 2,2% dall’inizio dell’anno, quello dell’euro del 4,6%, e quello della sterlina del 4 per cento. Il dollaro è intanto salito del 3,6 per cento. Su un più ampio orizzonte temporale (dal luglio 2007) le posizioni della valuta Usa e di quella Uem si invertono di segno: -3,7% il cambio di Washington, +1,32 quello di Francoforte; mentre sterlina e yen risultano in calo del 25 per cento e oltre.
Nessuno sembra ancora contento, però. «Abbiamo bisogno di un aumento delle esportazioni nette e la caduta della sterlina da metà 2007 a oggi fa parte di questo processo di equilibrio» ha detto nei giorni scorsi il governatore della Banca d’Inghilterra Mervyn King, con qualche sussulto da parte del Cancelliere dello Scacchiere Alistair Darling, un po’più preoccupato per gli effetti sul debito pubblico (e sui voti al Labour Party). «Abbiamo sempre detto che vogliamo un dollaro forte», ha risposto nell’impossibilità politica di parlare apertamente di euro debole - il ministro delle finanze francese Christine Lagarde. L’americano Timothy Geithner, però, sembra aver rinunciato a parlare di un cambio forte per gli Usa e ora dice solo che non cerca una svalutazione per risolvere i problemi del debito federale; mentre il Giappone, in silenzio, ha aumentato le risorse a disposizione per intervenire concretamente sui mercati.