ANTONIO SALVATI, La Stampa 24/3/2010, pagina 17, 24 marzo 2010
POMPEI MALATA DI LUSSURIA
La storia, o il mito, tramanda che nella sola colonia romana di Pompei ci fossero più case di piacere che a Roma stessa. Oggi è tutto come una volta: certo, non ci sono più postriboli dove ricercare la greca Panta - la «lupa» che secondo ciò che si legge nei graffiti poteva «offrire tutto» con grande soddisfazione dei suoi clienti - ma basta una passeggiata per imbattersi in queste discendenti della leggendaria Myrtis, a cui un cliente dedicò una frase eloquente nel tono quanto nel contenuto: «Bene fellas». Ironia della sorte le moderne prostitute pompeiane hanno scelto proprio i dintorni della zona archeologica per esercitare le loro arti ammaliatrici. Ed è facile imbattersi in queste ragazze, spesso troppo giovani, nella zona della Villa dei Misteri, oppure nell’alberata via Plinio, fino ad arrivare alla soglia di via Roma che è considerata una sorta di checkpoint Charlie che divide la Pompei moderna da quella romana (e lussuriosa).
Qui il binomio prostitute uguale zona degradata regge miseramente. Prendiamo ad esempio la già citata via Plinio, un chilometro e poco più di viale alberato, con marciapiedi spaziosi, puliti e dotati di panchine installate da poco. Individuare le moderne peripatetiche è abbastanza complicato, perché chi si aspetta calze a rete e abiti succinti resterà deluso. Nella Pompei antica c’erano dei cartelli che indicavano la presenza di un bordello e le specialità offerte dalla casa, famoso il «Sum tua aere» («Sono tua per denaro»). Oggi invece occorre occhio e qualche consiglio «interessato», e solo così si riesce a individuarle, quasi mimetizzate nel fiume di turisti che sciamano verso gli Scavi.
Passeggiano, e non potrebbe essere altrimenti, spesso in coppia, si fermano sulle panchine, qualcuna adesca il cliente con qualche sguardo più insistente. Alla fine la prescelta scompare con la sua preda per riapparire poco dopo. Di giorno la loro presenza è silenziosa e discreta, solo a tarda notte - quando via Plinio è libera dai turisti - la dimensione del fenomeno è più evidente. Perché i servigi delle novelle Attica (la prostituta pompeiana che in un’iscrizione comunicava che per giacere con lei occorreva sborsare sedici assi) sono garantiti giorno e notte con turni amministrati ad arte. Di giorno si notano più straniere, mentre di sera la «passeggiata» è appannaggio di colleghe italiane. La storia, o il mito, racconta anche di una meretrice soprannominata «la zoppa» perché claudicante. Ebbene, nonostante l’età non più verde e le forme un po’ più morbide, sembra faccia affari d’oro soprattutto con i più giovani.
Alla fine di via Plinio è facile notare la maestosa cupola del Santuario della Beata Vergine del Rosario, sono milioni i fedeli che ogni anno vi giungono in preghiera da ogni parte del mondo. Da qui l’arcivescovo Carlo Liberati ha tuonato a più riprese contro il mercato del sesso che si consuma a poca distanza. Senza mezzi termini ha sottolineato come Pompei sia diventata «preda di una degenerazione che non conosce limiti».
Qualche sera fa in via Plinio si notavano distintamente i lampeggianti dei carabinieri: i militari hanno controllato quattro alberghi, tre campeggi e due bed&breakfast generalmente utilizzati come lupanari moderni. Antica abitudine questa: «Hic habitat felicitas» («Qui abita la felicità») scrivevano gli antichi pompeiani, un po’ per allontanare il malocchio un po’ per indicare che con qualche monetina in quella casa la felicità potevi pure comprartela. Lungo la strada invece sono state fermate e identificate 18 donne, cinque delle quali volti ormai noti.
Una di quelle passeggiatrici ha 23 anni ed è di Ravello, sulla costiera amalfitana, ha rimediato pure una denuncia per non aver rispettato il foglio di via dal Comune di Pompei. «Domani sera saranno di nuovo qua», chiosa l’avventore di un bar che subito si allontana. Non si capisce se il suo sia un motto di stizza oppure una speranza. Perché la «guerra» tra le prostitute e le forze dell’ordine si combatte con i mezzi che la legge mette a disposizione. E a quanto pare sono pochi. Il sindaco di Pompei, Claudio D’Alessio del Pd, è il prototipo del sindaco-sceriffo: «Mi manca solo il cinturone», ironizza.
L’anno scorso, ad esempio, durante il suo secondo mandato, ha firmato un’ordinanza che prevede il sequestro della vettura utilizzata dai clienti delle prostitute, oltre ad una multa di 500 euro. «Non neghiamo la presenza delle passeggiatrici - spiega D’Alessio - ma spesso se ne parla troppo e anche male. Ad esempio non si può dire che tutti gli alberghi vengono utilizzati dalle prostitute visto che questa cosa danneggia la nostra economia». E l’anatema del vescovo? «Occorre individuare un metodo per combattere il fenomeno - conclude il sindaco D’Alessio - e tutte le istituzioni della città si devono attivare in tal senso. Basta parlare, bisogna fare».
Sarà il genius loci. O l’amor fati, per dirla con Nietzsche: ossia, diventa ciò che sei. A 262 anni dall’inizio della sua storia moderna, da quando i genieri di Carlo di Borbone ne riportarono alla luce le vestigia, Pompei è ri-diventata quello che era, prima che il Vesuvio la cancellasse nel 79 d.C.
«Sede di Venere», la chiamava Marziale. E Cornelia Veneria Pompeianorum era il suo nome completo al tempo dei romani, che l’avevano eletta a buen retiro delle classi più agiate. Salvo trasformarla in una sorta di Bangkok ante litteram, mèta obbligata del turismo sessuale. Nei suoi ultimi anni la città ospitava 35 bordelli, tanti quanti i panifici, su una popolazione intorno ai diecimila abitanti. Ma a rendere omaggio alla gran dea dell’amore venivano da ogni parte dell’impero.
Ne fanno fede le iscrizioni e le immagini brutalmente esplicite ritrovate per le strade, nel lupanare, nelle cellae meretriciae annesse a tante tra le case più eleganti, i cui domini non disdegnavano di arrotondare con il lenocinio. Ora gran parte di quei reperti sono ospitati a Napoli nel «Gabinetto segreto» (vietatissimo ai minori) del Museo nazionale: ed è proprio in relazione a quei pezzi scandalosi che nell’800 si cominciò a usare il termine «pornografia».
«Qui ho trafitto di brutto la signora», annunciava un anonimo, forse un gladiatore, nei pressi della Palestra. Ma anche le signore non scherzavano: una certa Euplia informava che «qui si è congiunta con uomini gagliardi a volontà», mentre «Romula, di uomini, mille, diecimila». E un tale teneva la contabilità: «Ninfa, fututa; Amomo, fututa; Perenne, fututus» (maschi o femmine, non faceva differenza). Ce n’era a sufficienza per il grido «Sodoma, Gomorra!», iscritto su un muro da uno straniero, forse un ebreo, che evocava il terribile castigo divino abbattutosi sulle bibliche città del vizio. Il vulcano rispose.