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 2010  marzo 23 Martedì calendario

BIBI E I CLINTON, 15 ANNI DI GELO

«Darò fuoco a Washington », prometteva all’inizio del 1998 Bibi Netanyahu. Era appena scoppiato lo scandalo Lewinsky e si parlava di impeachment per Bill Clinton. Pensando di poter muovere le pedine politiche giuste, Bibi era convinto di affossare i progetti di pace in Medio Oriente di un presidente così debole. Aveva già provato a liberarsi dalle pressioni dell’amministrazione democratica, chiedendo l’aiuto di Newt Gingrich, lo speaker repubblicano della camera dei rappresentanti, e del predicatore ultra-conservatore Jerry Falwell. Il risultato fu un disastro. Per Bibi.
«Alla fine riusciranno a trovare un modo d’intendersi: una rottura fra Stati Uniti e Israeleè semplicemente impossibile. Ma ci sono cose che non si dimenticano », dice a Gerusalemme un funzionario del governo israeliano, mentre a Washington sta atterrando l’aereo di Netanyahu per un altro tentativo, questa volta più ortodosso, di alleggerire le pressioni americane. Le relazioni internazionali sono una scienza, le dinamiche politiche hanno traiettorie che sono spiegate dalla storia e dalle forze in campo. Ma c’è un imponderabile che può inaspettatamente cambiare tutto: la chimica fra i protagonisti. Quella fra Netanyahu e i Clinton è pessima. Nemmeno quella fra il premier israeliano e Barack Obama è esaltante: i tre incontri precedenti a quello che si terrà martedì notte sono stati come minimo freddi. Ma con i Clinton l’assenza di alchimia e la reciproca antipatia sono una faida familiare incominciata con l’assassinio di Yitzhak Rabin.
«Shalom haver», addio amico mio, fu la conclusione dell’elogio funebre di Bill Clinton, sul monte Herzl, novembre 1995. Rabin era stato assassinato da un estremista israeliano. Ma per Clinton il responsabile morale, chi aveva sistematicamente linciato Rabin per aver firmato gli accordi di Oslo, era Bibi. Gli Usa sono da sempre un convitato relativamente silenzioso alle elezioni israeliane. Ma per quelle del 1996 fra il laburista Shimon Peres e Netanyahu del Likud, l’amministrazione Usa fu dichiaratamente a favore del primo. Per gli errori di Peres e a causa del terrorismo palestinese vinse Bibi per 26mila voti.
Incominciò una battaglia nemmeno sotterranea che esplose nel 1998. Prima attorno al "sexgate" di Monica Lewinsky e poi a Wye Plantation, nel Maryland. Bibi e Yasser Arafat erano stati convocati per accordarsi su un memorandum d’im-portanza relativa. L’ostinazione di Netanyahu nel non firmare nulla che avesse a che fare con i piani di pace di Clinton, costrinse il presidente americano a perdere nove giorni per chiudere un accordo che non avrebbe cambiato i connotati del conflitto e che comunque non è mai stato applicato. Al momento della firma Netanyahu pose un’ultima inaspettata condizione: la liberazione di Jonathan Pollard. Analista dell’intelligence della Marina americana assoldato dagli
ANSA
israeliani per spiare i segreti dell’alleato,era stato condannato all’ergastolo per alto tradimento. Chi ha partecipato all’incontro racconta che lo sguardo e le parole di Clinton fecero capire a Netanyahu che non era il caso di insistere. Schiacciato fra le inconciliabili spinte di Clinton per fare avanzare il processo di pace e quelle della sua maggioranza per far tornare tutto a prima di Oslo, due mesi dopo Wye Plantation Netanyahu rassegnò le dimissioni. Ad aprile l’appoggio incondizionato americano ai laburisti garantì ad Ehud Barak una vittoria senza appello. A parte il finale non an-cora scritto, ci sono molte similitudini con la crisi di oggi.
Nella politica d’Israele in realtà un appello c’è sempre: pochi politici naufragano irreparabilmente. Bibi è ancora premier e ci riprova, mobilitando la lobby filo israeliana dell’Aipac, i repubblicani McCain, Brownback, Cantor,Ros-Lehtinen,l’indipendente Joe Lieberman e qualche democratico, cercando ostacoli domestici a un problema di politica internazionale. Fra i dieci uomini del gruppo più vicino a Netanyahu c’è Uzi Arad, suo consigliere capo di politica estera: nel 2007 gli fu impedito di entrare negli Stati Uniti perché aveva incontrato un funzionario del Pentagono colpevole di aver passato all’Aipac materiale segreto sull’Iran. L’anno scorso Hillary Clinton aveva chiesto di non averlo in un incontro con Bibi a Gerusalemme. Un altro è Ron Dermer, anche lui un falco della politica estera. Suo fratello David è il sindaco repubblicano di Miami Beach ed è amico di famiglia di Jeb Bush,l’ex governatore della Florida. «L’idea dei due stati per due popoli - aveva detto Dermer ai giornalisti tornando da un incontro fra Netanyahu e Obama - è una soluzione stupida e infantile per un problema molto complesso».
Prima di partire ancora per Washington i consiglieri di Netanyahu avevano preparato un piano A e un piano B per l’appuntamento con Obama. Il primo era da usare se non fosse passata la riforma sanitaria e avessero incontrato un presidente troppo debole per insistere sugli insediamenti di Gerusalemme. Nel volo transatlantico è stato studiato con grande attenzione il piano B.