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 2010  marzo 23 Martedì calendario

COS L´ISTITUTO PER IL RESTAURO RESTER SENZA CASA

Si dice che quando San Francesco di Paola, patrono della Calabria e della gente di mare, venne a Roma adolescente, nel 1430, fosse scandalizzato dallo sfarzo della curia e gridasse dietro a un cardinale riccamente abbigliato: «Nostro Signore non andava così». Severità tradotta nel nome del suo ordine, che rincarava quello dei Minori francescani: Frati Minimi. E nella Regola, la quale impone che, «militando i suddetti Chierici e Laici nella povertà evangelica, non dovranno toccare affatto denaro... Che se venissero loro sottratte in tutto o in parte le elemosine temporanee, annuali o perpetue comunque lasciate a quest´Ordine, non le rivendicheranno per via giudiziaria nè per altra via».
Saltando le tappe di mezzo, si è tentati di infierire sulla discrepanza fra quella povertà rigorosa e l´arrivo dell´Ufficiale giudiziario fissato per dopodomani, 25 marzo, su denuncia degli eredi odierni dei Frati Minimi, per rendere esecutivo lo sfratto dell´Istituto Centrale del Restauro dalla sua sede di sempre, la romana chiesa di San Francesco di Paola e l´adiacente Palazzo Borgia, di cui l´ordine è proprietario. Non lo faremo, per non perdere il filo della storia, e per non togliere al Ministero dei Beni Culturali l´ingente responsabilità che gli compete.
Allora: nel 1623 morì a Roma il cappuccino calabrese don Giovanni Pizzullo da Regina, che da un´umile nascita si era fatto ricco di mezzi grazie a eredità legate ai suoi meriti, e li legò a sua volta ai Frati Minimi con l´impegno di costruire la Chiesa di San Francesco di Paola e il convento accanto a San Pietro in Vincoli, e di destinarli a collegio di giovani calabresi a Roma per gli studi ecclesiastici. Le clausole ebbero molte deroghe, come succede. Niente controlli annui dei libri mastri da parte dei notai, niente dote alle Convertite, e chissà com´è andata per le 4 messe all´anno al donatore.
Dopo l´intermezzo fra il 1866 e il Concordato gli edifici tornarono ai frati minimi e nel 1937 furono presi in affitto dal Comune di Roma, che nel 1939 li subaffittò all´appena fondato Istituto del Restauro, affidato a Cesare Brandi e da lui diretto per oltre vent´anni. L´Istituto diventò presto una gloria dell´Italia agli occhi del mondo, e lo è ancora. Le autorità competenti, quando si tratta di far bella figura, lo mandano in avanscoperta in luoghi di pace e di guerra, la Cina di Xian o il Museo di Bagdad, per far seguire l´intendenza, i ministri, gli industriali e gli affari. Insistendo sullo sfoggio di tecnologia, a scapito del buon occhio e delle mani abili di cui è fatto spesso il restauro, arte del minimo. "Marines della cultura", li definì un direttore ministeriale (più sobriamente l´Onu: Caschi blu della cultura). E però non gli riservano attenzioni affettuose in casa: al punto dello sfratto.
I Frati Minimi, nella sede dei Monti ridotti davvero al minimo (la Congregazione dispone a Roma di altre sedi, soprattutto, e gratuitamente, Sant´Andrea delle Fratte, che è del demanio, se non sbaglio) hanno intimato lo sfratto nel gennaio del 2008, rifiutando un aumento del canone fino a 250 mila euro all´anno. Hanno ignorato le risorse statali investite nel tempo in lavori di consolidamento e messa a norma, e l´offerta del restauro gratuito della chiesa chiusa da anni. Negando di progettare un albergo, ma certo avendo una qualche mira, e una gran fretta, collegata al rilancio di via Cavour, i frati hanno puntato senz´altro, passando sopra la Regola, all´Ufficiale giudiziario, che è diventato un habitué, accolto dalla mobilitazione delle persone dell´Istituto. Le quali erano rassegnate da tempo a trasferirsi nella nuova sede designata di San Michele a Ripa, in cui sono già passati il laboratorio di fisica e alcune attività. Solo che nel frattempo buona parte del San Michele veniva occupata "in deroga" da altri uffici del ministero, riducendo drasticamente lo spazio disponibile e separando locali che dovrebbero essere comunicanti, tanto più per un´attività che si fonda sull´interdisciplinarità e l´attitudine a lavorare insieme, storici, archeologi, architetti, scientifici, restauratori, custodi - e docenti e allievi. Non solo: lungi dall´adeguarsi alle esigenze dell´Istituto, gli spazi designati hanno bisogno di lavori preliminari che li tengano in piedi. E anche dopo, spazi come il carcere femminile, il ballatoio e le infime celle, non sono certo pronti al nuovo uso.
Ammesso che l´ostinazione dei Frati fosse invincibile (una miglior volontà avrebbe forse trasferito la trattativa a un livello più alto), anche rispetto alla ragionevole richiesta di una dilazione del trasloco, il Ministero ha mostrato un singolare disinteresse a preparare le condizioni perché lo sfratto non fosse una rotta. Comunicati piuttosto trionfali sono comparsi nei giorni scorsi, a proposito di un accordo fra ministero e sindacati sul «ritorno nei locali originariamente destinati all´Istituto ai tempi di Giovanni Urbani nel Complesso di San Michele, con accesso da piazza di Porta Portese». Ai tempi di Urbani vuol dire fin prima del 1983! Ma nella stessa risposta ministeriale alla Camera che vanta l´accordo si assicurano "lavori triennali di restauro e adeguamento dei locali necessari alla sistemazione dell´Istituto": triennali, quand´anche lo fossero davvero, mentre l´appuntamento con l´ufficiale giudiziario è fra qualche ora. La linea di difesa è retrocessa ormai all´auspicio che i frati non riescano a far intervenire la forza pubblica. Nell´antica sede ci sono Direzione e uffici, chimica e biologia, biblioteca e archivi, e le attrezzature speciali, costosissime e fragili al punto di far dubitare del trasporto. E il trasloco comporta anche la rinuncia a insediare nel Palazzo Borgia il Museo del Restauro.
Aveva un marchio prezioso, l´Istituto Centrale del Restauro. Cambiato per uno più prosaico e dilapidatore, Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro. Superiore un cavolo, dicono questi rigorosi professionisti convertiti ai sit-in. Si sono battuti in modo ammirevole, tanto più che non era in causa il loro posto di lavoro, ma l´amore e l´orgoglio per quel lavoro. Le scuole sono sospese da 4 anni – se ne annuncia una ripresa in autunno: vedremo - gli ultimi concorsi per i restauratori sono di otto anni fa, quelli per i funzionari sono bloccati, con un´età media sui 60, la trasmissione di sapere che è la forza dell´Istituto è vicina a spezzarsi. Qualcuno di loro si vergogna un po´ di elemosinare l´attenzione – avara - dei media mentre a pochi passi da lì la gente sale sul cornicione del Colosseo.
Già: il pane e le rose. Via il pane, via le rose. Qualcuno di loro pensa che al Ministero, ottusità burocratica a parte, non dispiaccia di far fuori l´Istituto, in pro di privati e di conduzioni pubblicitarie che fanno affari svelti con mostre di grido e capolavori feticcio, e detestano le obiezioni sugli spostamenti delle opere e sulla tutela del contesto. Che si voglia dissociare tutela e valorizzazione, e che quest´ultima sia resa mestiere di comunicatori, Big Mac o Cenacolo delle Grazie. Intanto le opere aspettano: il Caravaggio francese, i Bronzi di Riace, l´aquilana Madonna di Collemaggio. Chiedono, le petizioni dell´Istituto, una proroga «di almeno due anni»: «ancora un minuto, per favore, signor boia». Dice amaro Giuseppe Basile: «Fra poco vedremo soltanto macerie. L´Istituto viene usato per gli annunci a effetto, come il restauro della Grande Muraglia cinese (seimila chilometri a costo zero!)». L´unico manufatto umano visibile dalla luna. Dopodomani, dunque, tutti a vedere l´ufficiale giudiziario che dovrebbe mettere i sigilli. Eventi così se li sognano, nel resto del mondo. Lo sfratto dell´Istituto Centrale del Restauro: la pittoresca malefatta umana visibile a occhio nudo dalla luna.