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 2010  marzo 23 Martedì calendario

DARWIN, LA TERZA VIA DELL’EVOLUZIONE

Come sta evolvendo la teoria dell’evoluzione? Il gioco di parole nasconde un tema interessante. Tutte le teorie scientifiche vengono aggiornate, senza ortodossie dogmatiche se non a proprio scapito, ma di caso in caso la trasformazione può avvenire per un rovesciamento da parte di una teoria rivale o attraverso una più graduale metamorfosi.
L’ipotesi che gli scienziati cognitivi Jerry Fodor e Massimo Piattelli Palmarini consegnano al libro «What Darwin Got Wrong» (in uscita da Feltrinelli col titolo «Gli errori di Darwin») vuol essere un sasso nello stagno del programma di ricerca che negli ultimi 150 anni ha integrato le idee di Darwin, emendandone anche gli inevitabili errori. Il dissenso fa leva su scoperte che provengono da branche assai promettenti delle scienze della vita: la biologia evoluzionistica dello sviluppo e dei geni «architetti» che lo regolano, le molteplici sorgenti di variazione, il ruolo dei vincoli strutturali.
Se per molti biologi la teoria darwiniana non ha bisogno di sostanziali riforme, per altri’ come a suo tempo il paleontologo Stephen J. Gould – la rilevanza di questi nuovi filoni di ricerca sta prefigurando una «teoria evoluzionistica estesa » , ancora pienamente darwiniana nel suo nucleo ma più allargata e pluralista. Secondo l’ipotesi eterodossa di Fodor e di Piattelli Palmarini, invece, oggi si starebbe affacciando una teoria alternativa, basata sulle leggi della forma e sull’ autorganizzazione.
Le forme organiche sarebbero cioè generate «dall’interno» – per esempio per effetto di vincoli di sviluppo, di limiti dettati dalle reti genetiche, di filtri alla variazione – e non dalle pressioni «esterne», cioè ecologiche, della selezione. Le strutture della vita deriverebbero anche da principi fisico-chimici interni che produrrebbero conformazioni ottimali e proporzioni armoniose come quelle della successione di Fibonacci. La natura sarebbe inoltre ricolma degli effetti collaterali non adattativi di questi vincoli interni.
Ma è fondato trarre da questa miscellanea di evidenze eterogenee la conclusione che il neodarwinismo sarebbe fatalmente malato? Secondo la grande maggioranza dei ricercatori sul campo non è così, come testimonia la recensione fortemente negativa apparsa su Nature il 18 marzo. Innanzitutto perché i fattori strutturali integrano, e non sostituiscono, le spiegazioni basate sulla fitness darwiniana. La speciazione può avvenire in molti modi e tempi, ma in accordo con la continuità dei meccanismi darwiniani di base. Gli effetti secondari sono pur sempre trascinati da tratti selezionati. Esistono processi non selettivi fondamentali, come le derive genetiche, e non fa più scandalo dire che in natura non tutto è adattamento.
La selezione – il cui carattere storico non impedisce affatto che sia riproducibile in laboratorio e prevedibile – non è omnipervasiva. Tuttavia, ad avviso dei più ciò non implica affatto che essa sia diventata un’attrice non protagonista.
Perché vi sia teoria rivale, i fattori interni dovrebbero render conto degli innumerevoli fenomeni che la teoria esistente sa spiegare, aggiungere fatti nuovi e ottenere tutto ciò adottando principi non riducibili a quelli darwiniani: una triplice sfida assai impegnativa. Nel libro prevale la
pars destruens. Gli « errori dei neodarwinisti» discenderebbero dall’aver inteso la selezione e l’adattamento come leggi universali, e inconfessabilmente finalistiche.
Le ricerche empiriche future stabiliranno se è alle porte un probabile darwinismo riveduto, oppure qualcosa di interamente nuovo, o viceversa un restyling superficiale. Il libro ha comunque il merito di evidenziare l’inconsistenza di quell’ «adattazionismo» caricaturale che alcuni storici e filosofi vorrebbero applicare a ogni campo dello scibile, di recente persino agli orientamenti politici. Ma l’obiettivo polemico passa dagli eccessi della psicologia evoluzionistica all’intera logica dell’evoluzione. Gli autori dedicano l’apertura a una netta presa di distanza da qualsivoglia dottrina del «Disegno Intelligente». Un gesto di chiarezza, che forse tradisce il timore che i presunti «errori di Darwin» siano strumentalizzati dai creazionisti: ma questa visione strutturalista sarebbe altrettanto integralmente naturalistica, oltre che più meccanicistica, di quella darwiniana. E’ utile quindi distinguere un’opposizione argomentata, per quanto difficilmente condivisibile sia, dalle polemiche di detrattori che usano ancora slogan ottocenteschi. La differenza sta proprio qui: in quanto scienza alle prese con i fatti, la teoria dell’evoluzione si sta evolvendo.
Telmo Pievani