P.Car., Corriere dellaSera 23/03/2010, 23 marzo 2010
MENO CARNE PER NON AVERE FAME
Mangiare meno carne potrebbe essere la soluzione alla fame nel mondo. La rinuncia a bistecche e cotolette nei Paesi sviluppati può spingere gli allevatori a diminuire il numero di animali da macello, cedendo all’agricoltura i terreni dedicati al pascolo e alla produzione di mangime. Conseguenza: più grano e cereali per tutti. Oggi l’80% del terreno mondiale è utilizzato direttamente o indirettamente dalla zootecnia. Con una resa piuttosto bassa: l’allevamento produce il 15% delle calorie totali. Senza contare che il bestiame incide sull’effetto serra: i bovini emettono metano e il loro mantenimento genera molta anidride carbonica. Secondo alcuni ricercatori con una dieta settimanale «low meat» (70 grammi di manzo e 325 grammi di pollo/uova) si liberano 15 milioni di chilometri quadrati di campi coltivabili e si abbattono due terzi delle emissioni di CO2 entro il 2050. Ma non tutti sono d’accordo con questa teoria. Marc Rosegrant dell’International Food Policy Research Institute di Washington ha usato modelli simulati per capire se dimezzare la carne risolve i problemi di ecosostenibilità e divario alimentare. La sua conclusione è stata negativa. Per Rosegrant il minor consumo di carne nei Paesi ricchi avrebbe come effetto quello di abbassare i prezzi, rendendo questo alimento accessibile ai Paesi poveri che ne approfitterebbero per acquistarlo. Insomma, quello che togli da una parte, sbuca dall’altra. E il ciclo si ripete.
P. Car.