Alfio Sciacca, Corriere della Sera 23/03/2010 Felice Cavallaro, Corriere della Sera 23/03/2010 Alfio Caruso, Corriere della Sera 23/03/2010, 23 marzo 2010
3 articoli – PALERMO E L’ARRESTO A SORPRESA: IL NUOVO SUPERBOSS E’ UN ARCHITETTO – Al posto dei Lo Piccolo un insospettabile architetto, incensurato e con buone entrature nel mondo politico
3 articoli – PALERMO E L’ARRESTO A SORPRESA: IL NUOVO SUPERBOSS E’ UN ARCHITETTO – Al posto dei Lo Piccolo un insospettabile architetto, incensurato e con buone entrature nel mondo politico. Il volto nuovo di Cosa nostra sarebbe quello di Giuseppe Liga, 59 anni, fino a due settimane fa responsabile regionale del Movimento Cristiano Lavoratori. Secondo la Procura era diventato il nuovo capo del mandamento di Tommaso Natale dopo l’arresto, nel 2007, di Salvatore e Sandro Lo Piccolo. E come tale gestiva il racket delle estorsioni e il resto degli interessi di Cosa nostra in quella parte di città. Da tempo il suo nome rimbalzava nelle dichiarazioni di pentiti e in intercettazioni telefoniche. Ieri la Guardia di Finanza lo ha arrestato con l’accusa di associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni. In manette altre tre persone, tra cui Angelo Mannino, cognato di Salvatore Inzerillo, il boss dell’Uditore ucciso nell’81. Una conferma che ai vertici della mafia siciliana stanno tornando anche gli «scappati» durante la stagione dei corleonesi. L’entrata in scena di un personaggio come Liga apre scenari inediti. Messa alle corde Cosa Nostra cambia pelle affidandosi a insospettabili colletti bianchi. Per il procuratore aggiunto Antonio Ingroia la conferma che «la mafia è ormai entrata nei salotti buoni, al comando ci sono personaggi che un tempo erano consulenti finanziari dei boss e ora li hanno sostituiti alla guida delle cosche». Insospettabili a tal punto da gestire il racket del «pizzo» e ottenere appalti pubblici entrando anche nelle stanze del governo regionale. Come avviene nel giugno 2009 quando Liga viene fotografato mentre entra a Palazzo d’Orleans per incontrare il governatore Lombardo. Il giorno dopo parla dell’incontro e di fac-simili con Marco Belluardo assessore a Catania sempre dell’Mpa. I due politici non negano, anche perché fino a poco tempo fa Liga era conosciuto solo per il suo ruolo nel Movimento cristiani lavoratori. «Con vari esponenti di Mcl’ dice Lombardo – ho avuto un rapporto di collaborazione istituzionale. Comunque la Regione si costituirà parte civile». E Belluardo spiega «lo conosco da anni e l’ho chiamato per darci una mano durante la campagna elettorale. Non riesco a crederci». Per la prima volta il nome di Liga era saltato fuori al momento della cattura dei Lo Piccolo. «Architetto Liga 10.000» era scritto su un pizzino. L’anno dopo alcuni boss parlando della riorganizzazione di Cosa nostra lo indicano come il nuovo referente a Tommaso Natale. Il suo nome viene fatto anche al momento dell’arresto del legale dei Lo Piccolo, mentre il pentito Spataro lo indica esplicitamente come l’erede dei boss nel loro mandamento. Appena qualche giorno fa «l’architetto» aveva rilasciato una lunga intervista al mensile «S» dicendosi vittima di un equivoco e raccontando dei rapporti con le gerarchie ecclesiali e con la politica. Oltre a Lombardo e Mattarella ha fatto anche il nome di Leoluca Orlando: « diventato sindaco per me e altri due amici». «Tre persone sono poche per diventare sindaco’ scherza Orlando – la verità è che l’ho conosciuto oltre 20 anni fa perché militava nella Dc ma in una corrente diversa che ho sempre osteggiato come avveniva con Ciancimino». Grande apprezzamento per gli arresti di ieri è stato espresso dal ministro Maroni e dallo stesso Berlusconi: « l’ennesimo successo nella lotta alla mafia intrapresa da governo, magistratura e forze di polizia». Alfio Sciacca IL CASO Gli «scappati» Uno dei quattro uomini arrestati a Palermo, Angelo Mannino, è un cognato di Salvatore Inzerillo. Per gli inquirenti questa potrebbe essere la conferma che ai vertici della mafia stanno tornando gli «scappati», e cioè gli sconfitti nella guerra tra clan degli anni ”80 La morte di Inzerillo Totuccio Inzerillo viene assassinato a Palermo l’11 maggio del 1981. La morte del boss dell’Uditore è una specie di spartiacque nella storia criminale della città e segna l’inizio di una mattanza che alla fine vedrà prevalere le famiglie corleonesi. QUEL GIOVANE CHE 30 ANNI FA TIFAVA PER PADRE PINTACUDA – Dopo il massacro di Dalla Chiesa lavorò al rinnovamento della Democrazia cristiana, accanto ai giovani di «Città per l’uomo» conquistati da padre Pintacuda, ritrovandosi nella stessa area di Leoluca Orlando e Raffaele Bonanni, di Vito Riggio e Sergio D’Antoni, i giovani decisi a cancellare l’ombra della mafia dalla politica. Ma adesso Giuseppe Liga, Beppe per gli amici, a sessanta anni avrebbe optato per il rinnovamento di Cosa nostra piazzandosi con la sua laurea di architetto al primo posto del clan palermitano, quello lasciato vacante da Salvatore Lo Piccolo, il boss di San Lorenzo. Vallo a spiegare a Nino Alongi e Bonanni, a Pietro Gelardi e Riggio, allora tutti impegnatissimi fra Cisl emovimenti culturali che lo stesso Liga arrestato oggi con l’infamia di guidare la nuova Cosa nostra era proprio il giovane pronto nel 1984 a firmare con loro appelli per la buona politica. Nello stesso gruppo con professori come Pietro Mazzamuto e Andrea Piraino, con fedelissimi di padre Pintacuda come Pino Toro e Michele Salamone, con preti da trincea antimafia come Cosimo Scordato e Francesco Stabile. la metamorfosi di un mister X che per i Lo Piccolo diventava mister «013», come indicavano nei «pizzini» questo insospettabile personaggio da fiction televisiva, campione assoluto nella scalata dei colletti bianchi, un piede in Cosa nostra e un altro nella politica, addirittura come segretario regionale del «Movimento cristiano lavoratori». Ottimo passepartout per entrare e uscire dai palazzi del Potere, a cominciare da Palazzo d’Orleans, la sede della presidenza della Regione dove nel giugno 2009 fu fotografato mentre varcava l’ingresso per un colloquio con il governatore Raffaele Lombardo, pronto subito dopo a vantarsi con un amico via telefono: «Per le europee ho contatti con Raffaele, vorrei parlartene riservatamente». Come spesso capita, salta fuori qualche frase equivoca, ma è ovvio che, ignorandone il doppio ruolo, chiunque poteva dialogare con Liga, come si fa con un sindacalista o un uomo politico. E Lombardo contrattacca, pronto a costituirsi parte civile: «L’Istituzione che rappresento non smetterà mai di contrastare la mafia e i suoi tentativi di riorganizzarsi, anche attraverso il ricorso a persone insospettabili». E l’insospettabile è riuscito a intrufolarsi anche in ambienti cattolici. Devoto. Utilizzando la leva del Movimento per agganciare i fedeli. Una sorta di patronato specializzato in assistenza legale e pratiche di pensione. Un modo per raccogliere voti, come forse non ammetterà il presidente provinciale, Giovanni Mangano, oculista ed ex consigliere provinciale Udc, casa e studio in via Rosolino Pilo, stesso stabile del Movimento da qualche tempo in cerca di nuova collocazione, dopo il crollo di Totò Cuffaro. D’altronde, l’architetto stava nel giro anche ai tempi di Salvo Lima, bazzicando sotto la sede Dc, in via Emerico Amari, un sigaro fra le dita, impermeabile chiaro, l’annacata di uno che non ha fretta, ma non quella del mafioso. Un’annacata scimunita, come spiega un vecchio democristiano capace di pittare, di dipingere con le parole quell’altalena dinoccolata di chi s’atteggia. Le voci di un coinvolgimento dell’architetto con studio nel quartiere di Tommaso Natale, come Zen e San Lorenzo «regno» dei Lo Piccolo, giravano da qualche tempo. Per via di «pizzini» e libri mastri dai quali emergerebbe il coinvolgimento in affari, spartizioni, tangenti e soprattutto nella gestione dei fondi rastrellati con il classico «pizzo». Tanto che un newsmagazine palermitano molto attento a tutto ciò che ruota fra mafia e politica, il periodico «S» della catena «I Love Sicilia», è da sabato in edicola con un numero dedicato a Liga. Un j’accuse dei magistrati. E una difesa dell’interessato, gridata dai cartelloni giganti esposti in ogni edicola: «L’architetto non sono io». Sostengono il contrario almeno quattro pentiti, compreso il suo avvocato Marcello Trapani che sa tutto anche delle villette a schiera realizzate dall’architetto in quel «regno» con licenze adesso ai raggi X. Al di là delle complicità eccellenti da appurare, le novità di questa svolta della mafia riguardano il linguaggio e la strategia. Dalle intercettazioni si scopre che i mafiosi fra loro non si chiamano picciotti o uomini d’onore, ma «angeli». E si conferma il ritorno sulla scena siciliana dei cosiddetti « scappati » . Quasi una rivincita della mafia perdente degli anni Ottanta, quella soffocata nel sangue dal delirio di onnipotenza di Totò Riina e dei suoi Corleonesi. Un new deal adesso popolato da pseudo manager con colletti bianchi. Ma sporchi, come quello dell’architetto che faceva antimafia. Felice Cavallaro MEDICI, NOTAI, LATIFONDISTI: QUANDO I PADRINI ERANO BORGHESI - Da che la mafia è mafia, all’incirca dalla rivolta dei Vespri (1282) finanziata dall’oro bizantino nella speranza di riconquistare la Sicilia, a comandarla sono sempre stati i grandi borghesi. Le cosche dei paesi avevano quale riverito boss il notaio, il medico condotto, l’avvocato, il principale possidente terriero. Nel 1929 Cesare Mori, il superprefetto che da cinque anni affrontava Cosa Nostra nell’isola, ci rimise il posto per aver mandato in prigione Alfredo Cucco, il più famoso oculista di Palermo, che era pure il numero uno del fascismo locale. AMistretta avevano già ammanettato l’avvocato Antonio Ortoleva e a Casteldilucio Domenico Di Giorgio, fratello del generale di corpo d’armata Antonino Di Giorgio, il quale ci rimise la nomina a capo di stato maggiore dell’esercito. Mori aveva fatto volare più stracci che capibastone, tuttavia nel gennaio ”28 il tribunale aveva condannato 335 mafiosi a pene variabili da 5 anni all’ergastolo. Il processo aveva avuto un impatto enorme: erano persino giunti gl’inviati dei giornali statunitensi; il Times e il New York Times avevano scritto in prima pagina che Mussolini era riuscito a strangolare la mafia. Eppure il duce non esitò ad ascoltare le proteste dei suoi accoliti e i mugugni della buona società palermitana, ribollente d’indignazione contro il polentone dipinto da razzista. Mori fu pensionato a soli 57 anni e nel ”31 Cucco, difeso dal famosissimo Alfredo De Marsico, venne prosciolto da ogni accusa, come lo fu don Calò Vizzini, espressione della famiglia più importante di Villalba. Il primo vero pentito di Cosa Nostra fu il medico di Castelvetrano Melchiorre Allegra, che nel 1937 svelò gli organigrammi dell’epoca, ma i verbali finirono in un cassetto prima di svanire del tutto. E la soppressione di un altro medico, Michele Navarra, segnò nel 1958 l’inizio della rivolta proletaria dei «viddani di Corleone» capeggiati da Luciano Leggio. Oltre che medico condotto, direttore dell’ospedale, responsabile di enti pubblici, proprietario della prima società siciliana di trasporti interurbani, Navarra era soprattutto il temutissimo capomafia di Corleone. La fotografia della sua Fiat 1100 nera crivellata di colpi, su cui viaggiava assieme a un malcapitato collega, fece il giro del mondo. Annunciava l’inizio di un sommovimento in grado di mutare ogni assetto. Nel nome della «roba» quei braccianti semianalfabeti andavano all’assalto delle dinastie presenti su piazza fin dall’Ottocento sfruttando l’unica dote naturale: il gusto di dare la morte. Leggio e i suoi omonimi cugini, i Bagarella, i Provenzano, i Riina impararono presto che il potere camminava sulla canna del proprio mitra. A loro insaputa applicavano gli stessi concetti, che appena qualche anno prima avevano fatto la fortuna di Mao: dall’uso preventivo della violenza all’ammazzarne uno, meglio ancora dieci, per educarne cento. Anch’essi come Mao, di cui naturalmente ignoravano l’esistenza, puntavano sui contadini e sui pastori per conquistare le città e i ricchi bottini, mentre la campagna rimarrà il punto di forza, il rifugio dei periodi difficili. Come raccontato dall’ennesimo medico, Gioacchino Pennino, per trent’anni i bravi borghesi si sono dovuti accontentare di baciare la pantofola e di fare i consulenti: il radiologo ed ex deputato di Forza Italia, Giovanni Mercadante, lo è stato di Provenzano; il neurologo Nino Cinà lo è stato di Riina. Quando lo Stato ha infine vinto la guerra contro i «viddani di Corleone», gl’insospettabili professionisti sono tornati all’antico ruolo. Dal chirurgo Giuseppe Guttadauro, capomandamento di Brancaccio, all’architetto Giuseppe Liga, accusato di essere il reggente di Tommaso Natale, Cosa Nostra è tornata a essere Cosa Loro. Alfio Caruso