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 2010  marzo 23 Martedì calendario

COS IL BRACCIO DI FERRO COMMERCIALE DIVENTATO UNA BATTAGLIA POLITICA - NEW YORK

La più grande nazione del pianeta contro la prima superpotenza del cyberspazio. L´ultimo capitolo della guerra tra la Cina e Google apre un interrogativo: chi ha più da perdere nel divorzio? Per Google il rischio di un autogol è evidente: uscendo dalla Cina l´azienda californiana si taglia fuori dal più vasto mercato del mondo, con 400 milioni di utenti online. Non è una decisione presa a cuor leggero, e la difesa dei diritti umani ha avuto un peso limitato. Più delle incursioni nelle "gmail" di noti dissidenti cinesi, quel che ha costretto Google alla drastica misura sono state le invasioni di hacker cinesi nei sistemi di grandi aziende americane. Una Pearl Harbor dello spionaggio industriale che ha messo a repentaglio la reputazione di sicurezza di Google presso i clienti. Tanto più che i pirati cinesi erano chiaramente riconducibili ad apparati governativi e ai servizi segreti.
Sul mercato cinese Google era rimasto comunque un comprimario, con il 33% delle ricerche effettuate attraverso il suo "motore", mentre quasi i due terzi dei cinesi prediligono l´equivalente locale di Google, Baidu. Proprio il successo di quest´ultimo – un colosso che il regime di Pechino tiene stretto al guinzaglio – rivela l´azzardo della mossa di Google. Se la sua uscita dal mercato cinese finirà per regalare un monopolio al concorrente locale, il danno non sarà solo economico. Il governo cinese avrà dimostrato quel che gli sta più a cuore: che la sovranità nel cyberspazio è strategica, e la Repubblica Popolare può dettare le regole dentro il perimetro della sua Grande Muraglia (di censura). proprio questo il messaggio che Pechino ha voluto lanciare ieri. Il sito online del Quotidiano del Popolo, l´organo del partito comunista, poche ore prima dell´annuncio di Google ha diffuso i risultati di un sondaggio tra i suoi lettori. Alla domanda «Qual è la vostra reazione se Google abbandona la Cina?», l´84% degli intervistati avrebbe risposto «Indifferente». Le autorità locali sono maestre nel manipolare questo genere di sondaggi, anche se non bisogna sottovalutare il nazionalismo delle giovani generazioni cinesi: soprattutto le élites istruite si schierano sempre con il loro governo in caso di controversia con gli stranieri.
La pubblicazione preventiva di quel sondaggio però è anche un segnale di nervosismo. Mai in passato il governo cinese si era trovato di fronte a un interlocutore aziendale così coriaceo. Pechino avrebbe preferito evitare questo divorzio (alle sue condizioni). La tecnocrazia comunista ha sposato internet come strumento di modernizzazione, per integrarsi nell´economia globale. Oggi quella politica di apertura si scontra con la logica autoritaria imposta alla circolazione delle informazioni. E dietro Google s´intravede anche un cambio di clima tra altre multinazionali americane: negli ultimi mesi sono sempre più insofferenti verso il protezionismo cinese. In un parallelismo perfetto con i segnali di tensione tra Barack Obama e Hu Jintao.