MARIA GIULIA MINETTI, La Stampa 23/3/2010, pagina 37, 23 marzo 2010
VALENTINA DI NUOVO SVESTITA
Su Linus non poteva uscire, Baba Yaga. Troppo osé. Eppure, rinunciarci sarebbe stato un delitto. Giovanni Gandini, però, non fu colto alla sprovvista. Aveva giusto inventato un supplemento, un giornale tutto «per adulti» di rinforzo alla sua prima creatura intellettual/adolescenziale. Il supplemento si chiamava Ali Baba, ma nel giugno del 1971, per via della «new entry», il titolo risultò più lungo: Ali Baba Yaga. «Baba Yaga come la strega delle fiabe russe?», domanderà qualche colto lettore slavista. «Baba Yaga come il personaggio di uno dei brani musicali di Quadri di un’esposizione di Mussorgskij?», chiederanno invece i musicologi. La risposta è sì, sì a entrambe le domande: l’inventore di Baba Yaga, Guido Crepax, disegnatore famoso e grande appassionato di musica, il nome l’aveva preso da Mussorgskij, e Mussorgskij dal folklore russo.
Ciò detto, addio alla Russia e addio al compositore, la strega Baba Yaga inventata da Crepax per turbare i sogni della sua avvenente Valentina non aveva la minima connotazione etnica e non si dilettava di spartiti. Adesso che le storie di Baba Yaga tornano in libreria dopo vent’anni dalla loro ultima apparizione (e a quasi quaranta dalla nascita), pubblicate da Salani in un’edizione bella e maneggevole, curata da Luisa, Antonio e Caterina Crepax (la vedova e i figli di Guido), alla domanda: ma perché proprio Baba Yaga, perché proprio quel nome?, la famiglia compatta non sa rispondere altro che: perché era il nome di una strega, il primo nome di strega che gli fosse venuto in mente.
Un bel nome sufficientemente oscuro per un personaggio oscurissimo. «Il contrario di quello che era Guido - ricorda la moglie -. Lui era illuminista, razionale. Baba Yaga è magica, dittatoriale. Una creatura dove poteva accumulare non solo quello che non era, ma quello che non gli piaceva, che lo irritava o lo spaventava. L’autoritarismo, per esempio. Da quello politico a quello sociale: l’aggressività di certo femminismo d’assalto in Baba Yaga è parodiata in modo esplicito. Si ricorda il famoso slogan "Tremate, tremate, le streghe son tornate?", Be’, con Baba Yaga sembrava che Guido dicesse: eccola qui, una strega. Fa orrore, c’è da tremare sul serio».
Se la strega Baba Yaga torna fra noi lo dobbiamo a un’impresa più vasta che la Salani e i Crepax hanno in mente: ripubblicare in edizioni agili e di prezzo contenuto il «meglio» delle storie di Valentina, corredandole di note, diciamo così, memorialistiche, e sono i ricordi di casa, le testimonianze, le osservazioni di chi viveva con Guido Crepax e ha visto nascere le sue opere. Lo scopo, ricorda ancora la moglie, è di far conoscere il lavoro del marito a un pubblico giovane, i figli e magari i nipoti di chi era ragazzo all’epoca in cui Valentina Rosselli vedeva la luce (era il 1965, la storia si chiamava La curva di Lesmo. Adesso La curva di Lesmo e altre protostorie valentinesche più la trilogia di Baba Yaga costituiscono i primi due volumi, usciti in questi giorni, del progetto editoriale).
Di questo progetto, però - immaginato dopo il successo della mostra «Valentina» organizzata l’anno scorso alla Triennale Bovisa di Milano -, il punto di partenza non è, come si potrebbe pensare, il primo volume. Il primo volume, vorrei dire, è l’antefatto, la prefazione. Per entrare nel vivo della faccenda, per ipotizzare un «meglio» di Valentina «in progress» c’è bisogno di Baba Yaga, delle sue magie e delle sue malie: è lei che fa di Valentina Valentina, di una giovane fotografa di buona famiglia e di buoni costumi un’onirica spudorata esibizionista, la preda d’ogni torturante delizia, l’oggetto di ogni accanimento feticistico, in una parola: uno dei simboli erotici più forti della pop art - cos’altro è il fumetto se non arte popolare? - italiana.
Baba Yaga, costruita da Crepax come il proprio opposto diventa una proiezione del suo inconscio (dell’inconscio di Valentina, cioè): tutti i desideri rimossi nella veglia sotto le carezze oblique della strega s’avverano nel sogno: Valentina sboccia, si apre, si sfrena anche se briglie e lacci e fruste serpiformi s’avvinghiano al suo corpo, nudo, i collant stracciati, una piuma a sollecitarle il grembo, un lemure che osserva dal soffitto. Il tutto in una perfezione compositiva perfetta, una fantasia tanto più libera quanto più «fermata» in un segno d’ossessiva minuzia, di implacabile descrittività. Potete passare un’ora a guardare «uno per uno» tutti i disegni di una tavola di Valentina prigioniera di Baba Yaga. E siamo solo all’inizio. Aspettate gli altri volumi.