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 2010  marzo 23 Martedì calendario

L’EUROPA SUL PIANO INCLINATO

L’uscita dalla crisi finanziaria mondiale assomiglia sempre di più a certe ascensioni dal percorso molto esposto nelle quali a ogni passo si rischia di cadere e si è in preda alle vertigini. Il senso di vertigine è chiaramente visibile se si guarda all’euro che sta mostrando vistosi segnali di indebolimento per l’incapacità dell’Europa non solo di risolvere ma addirittura di affrontare il problema del debito pubblico greco.
Sono ormai 15 giorni che il neo primo ministro di Atene, Giorgio Papandreou, viene lasciato a bagnomaria tra esitazioni e silenzi, o meglio sottoposto a una serie di docce fredde sulla possibilità di ottenere un finanziamento dai partner europei. Per conseguenza di queste docce fredde è però l’euro che si sta prendendo la polmonite: se gli europei non sapessero risolvere i problemi monetari di un piccolo paese della loro area, vedremmo accrescersi la sua vulnerabilità e ridursi fortemente la sua credibilità come grande valuta mondiale.
Alla base dell’indecisione europea ci sono le incertezze tedesche. Berlino sembra incapace di un dialogo costruttivo e indulge in un eccesso di moralismo che si può sintetizzare in tre punti. Il primo è che i greci sono «cattivi» perché il rapporto deficit/Pil è all’astronomico livello del 12,9 che fa sembrare gli italiani, con un valore del 5 per cento, dei maestri di virtù. Il secondo è che sono anche degli imbroglioni perché, pur di entrare nell’euro, nel 2004 truccarono le cifre della loro situazione finanziaria pubblica. Per conseguenza - ed ecco il terzo punto - è bene che paghino duramente e non presentino il conto al contribuente tedesco. Per usare l’espressione di un precedente cancelliere tedesco, Helmut Schmidt, rivolta contro l’Italia nel 1974, durante una grave crisi della lira, la Germania non presterà «nemmeno uno stanco marco» (keine muede Mark) a gente fatta così.
Andrebbe osservato che il deficit greco è stato a lungo tollerato dall’Europa forse anche perché il collocamento del debito greco ha procurato profitti non trascurabili alle banche tedesche; che nel 2004 si chiusero gli occhi sui «trucchi» greci anche perché nessun paese era del tutto alieno da qualche abbellimento contabile: e che nel 1974 la Germania fu alla fine costretta a concedere un grosso prestito alla sciagurata Italia, per evitare il collasso della nascente Unione Europea, pure costringendola all’umiliante pignoramento di una parte ingente delle sue riserve auree. Il prestito però venne puntualmente restituito e l’economia italiana riprese la sua corsa per altri quindici anni.
Oggi al posto del marco c’è l’euro e il «potere di indirizzo» dei tedeschi sulla moneta comune è sicuramente minore. Rifiutare il prestito ai greci, o concederlo a condizioni che li condanni a dieci anni di stagnazione (è questo più o meno il costo del rientro dal debito) significa imporre loro qualcosa di simile a onerose riparazioni di guerra. I tedeschi dovrebbero ricordare che proprio le riparazioni di guerra imposte alla Germania segnarono la fine della democrazia nel loro paese e contribuirono potentemente a creare le premesse della seconda guerra mondiale; al contrario, la rinuncia alle riparazioni di guerra nel 1945 da parte degli alleati occidentali pose le basi per il miracolo tedesco, mentre i russi spogliarono la Germania Orientale della sua attrezzatura industriale determinandone una pesante inferiorità tecnologica ed economica nei confronti delle zone occidentali.
Purtroppo l’esitazione sul debito greco avviene in un momento in cui il governo francese è indebolito da una pesante sconfitta elettorale, la Gran Bretagna ha seri problemi economici e un cambio politico in vista, la Spagna e l’Italia non sono certo brillanti, sia pure per ragioni diverse. Il vuoto delle strategie tedesche si colloca così in un vuoto politico-economico europeo mentre si teme un aumento del costo del denaro dopo la stretta monetaria cinese, la ripresa economica americana stenta ad andare a regime e c’è una forte tensione sino-americana sul cambio della moneta di Pechino. Quasi duemilacinquecento anni fa, trecento guerrieri greci fermarono, almeno temporaneamente, l’avanzata dell’imponente esercito persiano alle Termopili; oggi il debito greco, di assai modesta entità nel contesto mondiale, potrebbe rappresentare un cuneo non trascurabile nelle prospettive di una stabile ripresa.
La Grecia va quindi aiutata. Ma come? Non certo pagando a pie’ di lista, in questo almeno i tedeschi hanno ragione. Occorre quel «passo in avanti» di fronte al quale i governi nazionali dell’Unione europea sono così esitanti: non si esce in maniera soddisfacente dalla crisi greca senza un più stretto coordinamento delle politiche economiche dei paesi aderenti all’Unione. Obiettivi e strumenti devono essere maggiormente decisi a Bruxelles e meno a Parigi, Madrid, Roma e naturalmente Berlino: alcune riforme - a cominciare da quelle pensionistiche - sono più importanti dei prestiti e inevitabili per la Grecia e per tutti gli altri. Dietro l’esitazione sul prestito ad Atene si indovina la riluttanza dei maggiori paesi europei a spogliarsi di molte prerogative della politica economica nazionale. Al contrario, l’«armonizzazione» europea non deve restare una parola vuota e passa attraverso una vasta gamma di politiche che vanno dall’immigrazione alle pensioni, dall’energia al sistema fiscale. Solo se si incamminerà sulla strada del coordinamento l’Europa potrà proseguire verso l’unità economica e politica; e purtroppo quella strada è un piano inclinato, se non si avanza, inevitabilmente si scivola verso il basso.