Il Tempo, 21/3/2010, 21 marzo 2010
Bertinotti: «I miei primi settant’anni» (riassunto) - Per Fausto Bertinotti i settant’anni sono «una tappa intermedia, dopo una vita intensamente e lungamente vissuta»
Bertinotti: «I miei primi settant’anni» (riassunto) - Per Fausto Bertinotti i settant’anni sono «una tappa intermedia, dopo una vita intensamente e lungamente vissuta». Oggi, che non fa più politica attivamente, si divide tra l’università e la direzione di una rivista (Alternative per il socialismo), «poi, naturalmente si dovrebbe dire in primo luogo, faccio il presidente della Fondazione della Camera dei Deputati che è un ruolo istituzionale». A questo punto della sua vita dice di non avere grandi rimorsi o rimpianti: «Naturalmente questo non vuol dire che uno pensa di aver fatto tutto giusto. Per esempio è certamente vero che facendo un bilancio di marito, di padre e di nonno è indubbio che mi assolvo di più come nonno, perché invece come marito e come padre l’impegno politico ha sottratto attenzioni e tempo a mia moglie e a mio figlio e ha caricato mia moglie di un compito davvero esorbitante per una lunghissima parte della nostra vita». Il suo primo maestro di vita e di politica è stato il padre: «Quasi tutto quello che so è cominciato da lui. L’idea dell’uguaglianza. L’idea che gli uomini non nascono uguali, ma nascono per diventare uguali. Me lo ricordava spesso, insieme a un altro elemento quasi religioso, cioè la libertà individuale. Io non credo di aver mai sentito da mio padre un ordine, non ricordo di aver preso mai una punizione». Alla domanda ”Lei si piace?” risponde: «Non mi dispiaccio, poteva andare peggio». Sulla sua fede calcistica milanista: «Sono nato nella periferia milanese, sostanzialmente potevo scegliere tra il Milan e l’Inter. Potevo scegliere mille altre cose, anzi ero persino attratto dalla Sampdoria per i colori della maglia. Mi piaceva molto questa fascia orizzontale. Nella sostanza o Milan o Inter. Già tifavo Coppi, uno che vinceva sempre. Per questo ho scelto il Milan, perché allora perdeva quasi sempre. O forse per i colori. Rossonero sono i colori dell’anarchia».