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 2010  marzo 22 Lunedì calendario

BASTA BUCHI NELL’ACQUA E’ ORA DEI RUBINETTI LIBERI

L’opposizione alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali, e l’acqua in particolare, è una battaglia di retroguardia economicamente negativa. E per i beni dell’ambiente è doppiamente negativa, perché la situazione che si vorrebbe perpetuare, ne genera un grande spreco. Si tratta, poi, di una battaglia che mentre nuoce particolarmente al Sud di Italia, giova al potere sul territorio della criminalità organizzata.
La legge Ronchi contro cui si sono scatenati Pd, Italia dei valori e sinistre varie non stabilisce, come essi asseriscono, la «privatizzazione» ma la «liberalizzazione» dei servizi pubblici locali di trasporto, pulizia e l’illuminazione delle strade, smaltimento dei rifiuti, ciclo dell’acqua, da quella potabile, alle fognature, al trattamento delle acque reflue. Ciò per l’attuazione delle regole della Comunità europea, così come interpretate dalla Corte di giustizia europea, che è la Corte costituzionale europea. Questi servizi degli enti locali, fino ad ora spesso gestiti da imprese municipali, debbono essere fatti oggetto di gara fra tutte le imprese dell’Unione europea, salvo quando siano gestiti da società miste, fra l’ente locale e imprese private, in cui queste abbiano almeno il 40% della società e svolgano compiti operativi specifici. In questo caso, l’obbligo di gara non riguarda la società che gestisce il servizio ma il socio privato.
C’è poi un regime transitorio, per le attuali imprese pubbliche, per adeguarsi in un numero limitato di anni a queste nuove regole. Non si può certo dire che una impresa che è al 60% pubblica sia privata! Ma, di certo, se il 40 % o qualcosa di più di tale impresa è di un gruppo privato, che non è stato scelto fra gli amici politici del sindaco e dei suoi assessori, ma mediante una gara intemazionale, la gestione dell’impresa pubblica dovrà essere resa trasparente ed efficiente. ll che attualmente, molto spesso, non accade, in particolare per i servizi idrici e per lo smaltimento dei rifiuti. E ciò specialmente non accade nel Mezzogiomo. Le liberalizzazioni vere, come queste, non le minimali della famosa «lenzuolata» di Bersani, ci occorrono per accrescere il ruolo del mercato e lo sviluppo economico. E c’è un danno particolare per il Mezzogiorno, nel regime attuale, perché ivi le imprese pubbliche locali, essendo meno robuste, investono poco. La quota degli investimenti delle imprese pubbliche locali del Sud sul totale nazionale è il 20% mentre gli abitanti del Sud sono il 35% degli italiani. Ne conseguono meno occupazione nelle attività di investimento e infrastrutture meno buone.
Nel 2008, secondo l’Istituto centrale di Statistica, sulla rete d’acqua potabile italiana si sono registrate perdite per il 47%. L’erogazione di acqua potabile è stata, così, 9,1 miliardi di metri cubi, per un fabbisogno medio, procapite giornaliero di 250 litri, che dà luogo ad un consumo annuo di 4,3 miliardi di metri cubi. In sostanza si sono sprecati 4,3 miliardi di metri cubi di acqua. da supporre che una impresa privata che ha almeno il 40% di una società di acqua potabile non desideri continuare in questo spreco, che riduce i ricavi, a parità di acqua immessa nei tubi e di prezzi, e quindi lo riduca. Non è detto che ciò debba dar luogo a un aumento del prezzo dell’acqua, rispetto al prezzo attuale che è molto inferiore al costo. Infatti riducendo le perdite dei tubi, aumentano i ricavi, soddisfacendo a bisogni insoddisfatti. Ma supponendo che questi prezzi vengano aumentati perché per ridurre le perdite dei vecchi tubi, bisogna fare investimenti, che vanno ripagati, si avrà una riduzione del costo attualmente a carico del contribuente per alcuni miliardi annui per i servizi in perdita. Inoltre i prezzi maggiori ridurranno gli sprechi.
Gli italiani consumano 250 litri al giomo di acqua potabile mentre la media europea è di 160 benché tedeschi, francesi e inglesi non si lavino di meno e non lavino meno panni e stoviglie. Ma dove il prezzo dell’acqua è maggiore, la gente sta più attenta nell’utenza. Alla fine loro spendono meno, perché non debbono pagare le tasse comunali per il deficit di bilancio delle società idriche. Per la rete non potabile italiana le perdite dai tubi, salgono al 65%. In Puglia, Sardegna, Molise e Abruzzo, tali perdite arrivano all’80%, a Bari al 106% e a Palermo sono l’88%. Una parte dell’acqua che i tubi perdono è prelevata dalla mafia del luogo che la rivende ai contadini e così li controlla. Però, la gestione dei servizi pubblici locali da parte dei poteri politici e delle loro clentele, è un grosso strumento per prendere e dare favori. Deve essere molto gradito alle sinistre, se sono scese in piazza per protestare.