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 2010  marzo 22 Lunedì calendario

RITORNARE A CASA IL FRAGILE SOGNO DEGLI SFOLLATI

Mentre stiamo per suonare ai campanelli delle casette antisismiche dove vivono gli sfollati, ci viene in mente una battuta di Eugenio Montale: «Sarei contento se istituissero l’undicesimo comandamento: non seccare il prossimo». Con quale faccia andiamo a chiedere a un terremotato come sta? Eppure gli aquilani confermano nei fatti ciò che si dice di loro: gente fiera e gentile, sa soffrire con dignità e non mette alla porta nessuno.
La signora Marilena Ascaride vive con il marito e i due figli di 13 e 9 anni nell’appartamento numero 7 di Coppito 2. Racconta la sua storia: «Abitavamo qui vicino, nel complesso il Moro delle case Ater, che sono le case popolari dell’Aquila. Era una bella casa, pagavo 500 euro al mese di affitto. Adesso è catalogata con la lettera E: vuol dire che è una delle più danneggiate. Ci hanno mandati in albergo a Tortoreto, i miei genitori sono ancora lì. Noi dal 29 gennaio siamo qui. Com’è? La tv fa vedere che è tutto a posto e tutto bello, ma qui non è bello niente».
Come quasi tutti gli aquilani passa subito al tu: «Che cosa ti devo dire? Qui non pago nulla, ma non si sa fino a quando. Ci sono ancora scosse, quasi tutti i giorni: si sentono tanto perché la casa è fatta apposta per oscillare e non crollare. Per carità di Dio: ho due bagni, gli arredi sono più che dignitosi, c’è perfino il videocitofono. Ma non sono a casa mia. Vedi, il governo e la tv hanno dato un’immagine di efficienza e di rapidità. Ma la gente non la percepisce così. Forse hanno voluto fare troppo in fretta, forse era meglio darci una sistemazione più economica e provvisoria e cominciare a ricostruire le case danneggiate. Chi abitava in centro dovrà restare qui almeno dieci anni». Le chiediamo come campa: «I miei figli vanno a scuola all’Aquila. Io faccio la parrucchiera e avevo un negozio in centro: distrutto. Adesso ho riaperto a Pettino. La gente viene a rifarsi i capelli? Sì, un po’ di vita sta riprendendo. Ma la sicurezza dello stipendio non te la dà più nessuno».
Coppito è una frazione dell’Aquila. C’è un piccolo centro storico. A un paio di chilometri il governo ha realizzato Coppito 2 e Coppito 3, e subito si è ironizzato: «Berlusconi torna agli inizi, quando fece Milano 2 e Milano 3». Siccome in Italia ormai su ogni questione si ragiona per schieramenti, c’è chi ha esaltato queste C.A.S.E. (complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili) come un miracolo di san Silvio e chi l’ha buttata in burletta, parlando di casette di Biancaneve e di piazzata propagandistica. A vederle, dentro e fuori, a noi vien da dire semplicemente questo: sono case certamente fatte in fretta e di incerta resistenza nel tempo, ma sicuramente sono infinitamente meglio dei container, delle casette di legno e di tutte le altre sistemazioni solitamente adottate per un dopo terremoto. Sono palazzine di due piani, costruite su piastre sorrette da piloni, diciamo così, «elastici»: come palaffitte insomma, e gli esperti assicurano che resisteranno a qualsiasi scossa. Costruite in diciannove aree diverse, hanno garantito a 13.408 persone di passare un inverno al caldo e senza paure.
Non tutti hanno condiviso: c’è chi pensa che la costruzione di queste case, e la loro consegna-lampo, abbiano portato via troppo tempo e troppe risorse, così da rinviare una ricostruzione che poteva essere già avviata: «Forse si potevano consegnare alloggi più provvisori, forse con più casette di legno e meno case in muratura si poteva velocizzare l’intervento nei centri storici. Ma penso che non si potesse fare altrimenti: dare un tetto è stata considerata un’emergenza prioritaria rispetto alla rimozione delle macerie. E poi queste C.A.S.E. resteranno nel patrimonio del territorio», dice la presidente della provincia Stefania Pezzopane, del Pd. Il disagio non è dovuto alla qualità delle case, che è più che buona, ma ad altro: «L’Aquilano – dice ancora Stefania Pezzopane – ha la caratteristica di essere una terra antica con un forte radicamento della popolazione. Nel momento in cui il terremoto espelle la gente dal territorio in cui vive, si creano problemi di identità. La gente vive accanto a persone che non conosce, si sente sradicata».
«Ringraziando Iddio non ci possiamo lamentare»: è la frase ricorrente fra gli abitanti delle C.A.S.E. Distinguono il dolore dalla lamentela. Soffrono per essere sradicati, ma sono consapevoli che ad altri è andata peggio. «Io sono di centro sinistra – ci dice un pensionato che chiede di non pubblicare il nome – ma devo riconoscere che il governo ha agito meglio di quanto sia stato fatto in passato, con altri terremoti. Poi però ha rallentato. L’impressione è che Berlusconi abbia agito da imprenditore: ha fatto tanto e subito, poi ha un po’ tralasciato».
La nuova casa di Maddalena Colaianni, a Coppito 2, dentro è ancora più bella della prima che abbiamo visto. Per dire: parquet e soffitto in legno. Due stanze: ci vivono quattro persone. Lei, suo fratello e i suoi genitori. Papà è molto malato: «E tremo al pensiero di dover chiamare un’ambulanza di notte: qua attorno non hanno ancora asfaltato. Ringraziando Iddio stiamo bene, però… Per carità, noi ringraziamo il governo. Ma vogliamo tornare a casa. Abbiamo l’impressione che i lavori siano fermi». Sono arrivati qui in un giorno speciale: era il 25 dicembre. «Non ci hanno detto quanto dobbiamo restare. Sappiamo che almeno per diciotto mesi non dobbiamo pagare l’affitto. Le bollette invece sì, ed è giusto». Racconta che nemmeno una tragedia collettiva come un terremoto ferma i disonesti e gli approfittatori: «C’è gente che si è fatta dare la casa e ha cercato di subaffittarla perché aveva un’altra sistemazione propria. Per fortuna li hanno beccati». Brutte storie di una guerra fra poveri. «E’ stato – ci dice Maddalena – un periodo triste».
A poche decine di metri ci sono, ricostruiti a tempo di record, due edifici importanti. Uno è la Curia: la notte del 6 aprile anche il vescovo era rimasto senza tetto. L’altro è un edificio diventato simbolo non solo della tragedia, ma anche dello scandalo delle costruzioni sciagurate: la casa dello studente. L’hanno ricostruita in novanta giorni. Si chiama Residenza Universitaria San Carlo Borromeo perché viene dalla regione Lombardia. Ha 120 posti letto, stanze doppie con bagno, sale studio, pannelli solari e ovviamente è antisismica. Sembra un residence di montagna, in legno chiaro. «E’ stato fatto davvero un lavoro eccellente», dice la signora che gestisce, Roberta Carvelli. E ci pare vero. Questa resterà: non è una soluzione provvisoria. Come invece lo sono le «case di Berlusconi», che probabilmente rimarranno alla storia come il miglior intervento di un governo italiano per far fronte a un’emergenza. Ma la gente che ci vive ha un solo pensiero: tornare a casa. Ci vorrà, crediamo, molto tempo.
(2 – continua)