LUCA RICOLFI, La Stampa 21/3/2010, 21 marzo 2010
ELEZIONI, LE OLIMPIADI DELLE REGIONI
Domenica prossima si vota per eleggere i nuovi governatori e i nuovi consigli regionali. Forse, dopo due mesi passati a parlare di liste, di intercettazioni, di censura televisiva, di festini, di droga e di escort, è venuto il momento di dire qualcosa anche sulle 13 regioni che vanno al voto, su come sono state amministrate, su come sono cambiate in questi cinque anni. Per questo, con l’aiuto della Fondazione David Hume, abbiamo preparato il dossier che trovate in questo numero speciale della «Stampa». Un dossier in cui abbiamo simulato delle «olimpiadi» fra regioni, facendole gareggiare nelle principali materie su cui le amministrazioni regionali hanno responsabilità dirette o indirette: la sanità, innanzitutto, che assorbe il grosso dei bilanci regionali, ma anche l’assistenza, il turismo, l’edilizia, la sicurezza sul lavoro, l’amministrazione.
Che cosa ne è venuto fuori?
Innanzitutto una graduatoria della virtù, che mostra l’enorme distanza fra le regioni che funzionano e quelle che non funzionano. Fra le prime eccellono le «magnifiche quattro»: Lombardia ed Emilia Romagna, innanzitutto, perennemente impegnate a contendersi il posto di prima della classe, ma anche Veneto e Toscana, che vengono un po’ dietro le prime della classe, ma a loro volta staccano le altre regioni virtuose (Piemonte, Umbria e Marche). La Lombardia, in particolare, è l’unica regione che - in campo sanitario - è progredita sia sul versante soggettivo (soddisfazione dei pazienti), sia su quello oggettivo (capacità di attrarre pazienti da altre regioni). Le «magnifiche quattro», due stabilmente governate dalla destra (Lombardia e Veneto), due stabilmente governate dalla sinistra (Emilia Romagna e Toscana) sono la dimostrazione migliore che il buon governo non ha colore politico.
All’estremo opposto troviamo la Campania, la Basilicata e la Calabria, le tre regioni con i risultati peggiori, anche se naturalmente va ricordato che inefficienze e criticità sono anche un’eredità del passato, e che su alcune materie (ad esempio il turismo, o le condizioni economiche delle famiglie) le regioni non possono che avere una influenza parziale e indiretta. Quanto alle tre regioni restanti, né virtuose né disastrose, la Liguria risulta la peggiore regione del Centro-Nord, la Puglia la migliore regione del Sud, mentre il Lazio viene dopo entrambe, appena un gradino sopra le tre regioni peggiori. Ogni nuova amministrazione, naturalmente, fa i conti con l’eredità che riceve. Non si possono avere bilanci sanitari in perfetto ordine se si eredita una catastrofe finanziaria, come è successo al governatore del Lazio. Non si possono improvvisamente attrarre pazienti da altre regioni, se per anni i pazienti sono scappati. Non si può avere una burocrazia snella se per decenni si sono creati posti di lavoro fittizi, usando i soldi dei contribuenti per catturare voti.
Ecco perché, accanto alle olimpiadi della virtù, abbiamo fatto giocare, alle 13 regioni che domenica prossima andranno al voto, un secondo tipo di olimpiadi: le olimpiadi dell’impegno, o della buona volontà, o della capacità di migliorare. Olimpiadi che regioni ed enti locali, se partirà il federalismo fiscale, dovranno giocare anche nella realtà, perché d’ora in poi è su questo - sulla loro capacità di automiglioramento - che verranno giudicate e finanziate. Per misurare la capacità di migliorare abbiamo valutato come ciascuna regione è cambiata negli ultimi 4-5 anni sulle due materie che controlla più direttamente, ossia la sanità (qualità dei servizi e costi) e la burocrazia regionale: soprattutto dalle regioni meno virtuose ci si aspetta che, almeno, siano migliorate un po’.
Queste speciali olimpiadi le ha vinte nettamente la Campania. Che è sì la regione meno virtuosa fra quelle che vanno al voto, ma è anche quella che - negli ultimi anni - ha fatto più passi avanti, in particolare nella sanità: la crescita della spesa pro capite è stata frenata, e nonostante ciò la soddisfazione dei pazienti è aumentata, a riprova che si può migliorare pur spendendo meno. Anche Liguria, Piemonte e Marche, che nel 2004 avevano i conti sanitari in rosso per più di 100 euro per abitante, li hanno sensibilmente migliorati. Le dolenti note, invece, vengono da Calabria, Basilicata e Puglia, tre regioni da cui, viste le loro cattive condizioni iniziali, ci si sarebbe aspettati importanti progressi, e che invece ne hanno fatti ben pochi. Calabria e Basilicata hanno sì ridotto il peso dei dipendenti regionali, ma sono arretrate nella sanità. Quanto alla Puglia, è riuscita a migliorare il grado di soddisfazione dei suoi pazienti, ma al prezzo di scassare ulteriormente i conti della sanità, che erano attivi nel 2004 e sono sempre stati passivi durante l’ultima legislatura.
E il Piemonte?
Non se l’è cavata male, tutto sommato. Ha ereditato conti passivi nella sanità e li ha riportati in attivo. I suoi ospedali attirano più pazienti di ieri dalle altre regioni, presumibilmente più per il livello tecnico-scientifico di medici, infermieri e strutture che per la qualità organizzativa dell’assistenza, visto che la soddisfazione dei pazienti è in calo. E poi ci sono le presenze turistiche, che in nessuna regione sono cresciute come qui. Merito dell’amministrazione regionale, ma anche del mega-spot delle olimpiadi invernali del 2006.