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 2010  marzo 22 Lunedì calendario

OGNI ANNO ACQUE PI PULITE CON 15 MILIARDI DI DOLLARI

«L’acqua sporca non può essere lavata». Questo antico proverbio africano, che oggi appare un po’ desueto, nasce in un contesto geografico preciso, quello di territori dove l’atavica mancanza di reti fognarie comportava la perdita delle acque reflue a ogni ipotesi di riuso (per esempio irriguo per quelle cosiddette "grigie"), tanto più grave se si considera che l’intera fascia nord-orientale del continente da tempo è afflitta da crescente penuria idrica.
Ma in gioco non è solo la disponibilità assoluta di acqua, destinata a calare soprattutto in prospettiva per l’effetto congiunto delle progressive perdite legate ai mutamenti climatici e all’aumento dei consumi per l’incremento demografico. A preoccupare, a breve, sono soprattutto le malattie, che in molticasi sfociano in terribili epidemie (almeno 5 milioni l’anno le vittime,secondo l’Unesco,dieci volte superiori al tributo pagato a tutte le guerre in atto nel mondo) dovute all’utilizzo di acque inquinate come risorse potabili. La sola diarrea (cui vanno aggiunti colera, tifo, epatiti e gastroenteriti) causa ogni anno 2 milioni di morti. Senza scordare i costi economici più generali: si stima che in Bangladesh il problema dell’acqua inquinata riduca il Pil di ben l’1,4% l’anno, dell’1% in Colombia e dello 0,6% in Tunisia, fino all’enorme 5,6% indicato per il Laos dal "Water and Sanitation Programe" della Banca mondiale.
Alla sua qualità – e a questi particolari risvolti sanitari ”si richiama dunque l’odierna "Giornata mondiale dell’acqua". Dal 1994, ogni 22 marzo, essa riporta l’attenzione del mondo su una risorsa assolutamente vitale – ben più del petrolio o di ogni altro minerale prezioso, tanto da essere anche chiamata "oro blu" ”,la cui disponibilità,in apparenza illimitata e a prezzi simbolici, troppo spesso svilisce la sua importanza agli occhi dei consumatori, favorendo sprechi sempre più intollerabili.
 infatti assai noto (e sempre più usato per tentare di limitare i consumi) il rapporto diretto che lega il prezzo dell’acqua al suo utilizzo.Che vede l’Italia collocata in "maglia nera". Benchè la dinamica delle nostre tariffe resti piuttosto schizofrenica (secondo quanto ha calcolato Legambiente, per un consumo medio annuo di 200 metri cubi di una famiglia di tre persone, nel 2008 si andava dai 141 euro del Molise ai 331 della Toscana, con uno scarto di ben il 135%), l’Italia, che comunque presenta i listini più bassi d’Europa (a Berlino lo scorso anno la stessa quantità si pagava 968 euro), per consumo procapite di acqua potabile è al primo posto europeo e al terzo mondiale, dopo l’Arabia Saudita (dove il prezzo è politico) e il Messico (paese che patisce un crescente inaridimento del suolo).
Ma il rapporto non va neppure interpretato in modo rigido: là ove c’è penuria, come in Africa nord-orientale o nella fascia centrale dell’Asia, un aumento di pochi centesimi al metro cubo non sposta significativamente i consumi già limitati, ma incide in modo cospicuo su redditi in genere assai miseri. Anche le tariffe idriche di Berlino, tuttavia, per quanto molto elevate (assorbono oltre il 4% del reddito procapite di quasi 24mila euro), non riescono a ridurre i consumi in un paese in cui la disponibilità di acqua potabile per i cittadini è già prossima alla soglia della vulnerabilità.
 invece della massima importanza l’impatto che ha l’utilizzo di acque pulite sulla sanità globale, se è vero, come dicono le cifre della Banca mondia-le, che oltre 1,1 miliardi di persone non dispongono di sufficiente acqua potabile e che 2,6 miliardi sono privi di adeguate reti fognarie.
Si può porre rimedio a questa situazione? In teoria sì e non è neppure troppo difficile. Basta mobilitare gli opportuni stanziamenti. E qui partono le dolenti note. Secondo il "Millenium Development Goals" dell’Onu, dimezzare il numero di quanti non dispongono di acqua potabile entro il 2035 costerebbe 350 miliardi di dollari. Una somma inferiore a 15 miliardi l’anno, «pari ad appena lo 0,02% della ricchezza mondiale prodotta lo scorso anno – ricorda Nicolas Apostolidis, della società australiana di consulenza Ghd, che opera per il "World Business Council for Sustainable Development" ”. In altre parole, servirebbero solo 6 centesimi al giorno procapite per ogni cittadino dei paesi del G-7». Un sacrificio sicuramente sopportabile.