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 2010  marzo 22 Lunedì calendario

NELLE REGIONI LA BABELE ELETTORALE

Domenica prossima si vota: benvenuti all’ennesima performance del federalismo all’italiana, che nella lunga attesa di quello vero ha costruito maionesi normative spesso dall’impazzimento facile. Con una certezza: una coalizione fra gli elettori che hanno chiari in testa tutti i meccanismi elettorali della propria regione difficilmente riuscirebbe a superare la soglia di sbarramento.
Per sbarcare nel consiglio regionale di Calabria e Puglia bisogna raggranellare almeno il 4% dei voti nelle circoscrizioni, in Toscana la soglia del 4% è calcolata anche in relazione ai candidati presidenti mentre nelle altre regioni basta il 3%, o il collegamento con un gruppo di liste che ottenga almeno il 5 per cento. In Campania la coalizione che esce vincitrice dalle urne occupa il 60% dei seggi in consiglio, nelle altre regioni può fermarsi al 55 per cento. In alcuni parlamenti regionali il numero massimo dei componenti è fisso, in altri può essere datato dal premio di maggioranza. Agli elettori di solito è consentito esprimere una preferenza, mentre per i toscani la possibilità di avere voce in capitolo è ormai solo un ricordo del passato, perché come avviene nel "porcellum" nazionale tutto è deciso in anticipo dalle segreterie dei partiti. Più fortunati i campani, che di preferenze possono esprimerne due, purché siano politicamente corrette: per tutelare la parità di genere, la regione impone agli elettori interessati alla doppia scelta di scrivere il nome di un uomo e quello di una donna.
Per capirci qualcosa bisogna partire dalla legge Tatarella del 1995 (la 43),che ha fissato l’impalcatura su cui le singole regioni hanno agito di fantasia. La Tatarella, ritoccata nel 1999 con la legge costituzionale 1 che ha introdotto l’elezione diretta dei presidenti, prevede il proporzionale, articolato su liste provinciali ( le circoscrizioni coincidono con le province) e liste regionali collegate ai candidati presidenti (i «listini»); queste ultime concorrono per il premio di maggioranza (al 55% o al 60% a seconda delle dimensioni del successo) riservato alla coalizione che esprime il presidente eletto. All’impianto originario rimangono fedeli, almeno per ora, Lombardia, Veneto, Liguria ed Emilia Romagna, accompagnate dal Piemonte che ha modificato solo le regole per la presentazione delle liste. Tutti gli altri hanno agito di restyling, fino all’ultimo intervento della Calabria che ha ritenuto indispensabile prevedere nel nuovo statuto un aumento dei posti da consigliere (si veda l’articolo in basso).
Listini e premi di maggioranza sono gli argomenti che hanno accesso di più la creatività locale. Nella loro versione originaria, ai listini (cioè le liste regionali collegate ai candidati presidenti) è riservato il 20% dei seggi in consiglio regionale, coperti per completare il premio di maggioranza; la loro quota può dimezzarsi al 10% se la coalizione ottiene metà dei seggi complessivi fidando solo nella quota proporzionale. Campania, Marche e Toscana hanno deciso di farne a meno (le prime due collegano il presidente alle liste provinciali), mentre Puglia e Calabria lasciano alla lista regionale il solo candidato presidente. In Umbria, invece, la lista regionale non solo è conservata, ma vede l’ingresso automatico in consiglio dei sei componenti del listino collegato al presidente eletto.
Una girandola di numeri accompagna le varie versioni del premio di maggioranza; Campania e Marche assegnano il 60% dei seggi alla coalizione vincente, Calabria e Toscana mantengono i livelli della Tatarella (55% o 60% a seconda delle dimensioni della vittoria) ma ritoccano le soglie di voti necessarie a ottenere i due premi, la Puglia offre a chi vince un bonus di 13 seggi, che possono crescere se il pacchetto non è sufficiente a raggiungere il 55 o il 60 per cento. Premio automatico anche in Umbria ( sei seggi), dove però è prevista anche una clausola per le minoranze, che in nessun caso possono scendere sotto il 35% dei posti. Tutele simili sono previste anche in Campania e Toscana.