ANDREA TARQUINI, la Repubblica Affari & Finanza 22/3/201, 23 marzo 2010
I TORMENTI DI SHAEUBLE RINNEGARE L’EURO O ABBATTERE IL WELFARE
Ministro delle Finanze del secondo governo Merkel, decano della dc tedesca e dei conservatori europei, Wolfgang Schaeuble occupa una delle poltrone più ingrate e scomode oggi in Europa e nel mondo. E’ il senior leader dei politici tedeschi, è il più europeista nell’establishment. Tra chi governa a Berlino, è uno dei pochi ad avere davvero la stoffa dello statista. Ma gravano sulle sue spalle fardelli che avrebbero spezzato molte carriere. Deve difendere la linea di rigore di bilancio assoluto, in stile Bundesbank, con cui la Repubblica federale si oppone alle richieste dei partner di "più solidarietà" con i paesi più indebitati, Grecia ma non solo. Ma sa che è anche una scelta rischiosa. E sul fronte interno, allo stesso tempo, cerca disperatamente di far quadrare i conti. Tra il costo dei grandi programmi anticrisi e l’aumento delle spese per il welfare, il bilancio tedesco quest’anno registra un disavanzo record.
E così il paese primo della classe, quello che da qualche giorno dice che occorre rendere possibile l’espulsione dall’euro degli Stati spendaccioni, o violatori sistematici del Patto di stabilità e dei Trattati di Maastricht, si trova a sua volta sul banco dei cattivi o inadempienti, rimproverato dalla Commissione europea perché non taglia abbastanza le spese. Come se non bastasse, sia la Francia, sia gli alleati di governo liberali, chiedono di ridurre le tasse per rafforzare il mercato interno tedesco. Ma lui sa che, se lo facesse, deficit e debito totale della Bundesrepublik volerebbero alle stelle, salvo compensare gli ammanchi d’entrate con tagli al welfare politicamente inaccettabili, a rischio sommosse. Per Wolfgang Schaeuble, ex delfino di Helmut Kohl, ex artefice della riunificazione tedesca e del varo dell’euro, ex protagonista con Kohl dello scandalo dei fondi neri, travolto con lui e poi risorto, gli esami non finiscono mai.
La Germania sta meglio, o meno peggio degli altri europei dopo l’anno della grande crisi, ma non ce la fa a trovare la sua dimensione di numero uno a pieno titolo, non individua una strategia di leadership adatta ai suoi interessi e accettabile dagli altri membri dell’Unione europea.
E’ una congiura di dilemmi da tragedia greca, ma Shaeuble si è trovato spesso davanti a grandi prove, a volte facendosi carico anche di scelte o errori altrui. O affrontando tragedie personali. Come quando nel 1990 uno squilibrato, durante un comizio, gli sparò tre colpi di pistola riducendolo alla paralisi e a vivere e governare – lui, sportivissimo da quando era teenager su una sedia a rotelle.
Sposato, quattro figli, ottimi contatti al massimo livello nelle capitali europee e a Washington, Schaeuble ha attraversato mille tempeste, sfide e a volte sconfitte, ha conservato il pregio raro di restare uno dei pochi statisti europei gentili, aperti e fiduciosi verso i giornalisti. Tempeste e sfide, a cominciare da quando Kohl gli affidò l’organizzazione amministrativa della riunificazione tedesca, il negoziato nei dettagli con Berlino Est. E poi le trattative dietro le quinte europee, quando si doveva decidere chi sarebbe entrato a far parte dell’euro e chi no.
In entrambe le prove, Schaeuble si fece guidare dal principio della solidarietà. Allora, la Germania aveva ancora i mezzi per permetterselo, e allora non c’era ancora stato il doppio shock della grande crisi economica e finanziaria internazionale e del test della globalizzazione, il braccio di ferro quotidiano con la Cina e le altre nuove potenze. Sulla riunificazione, Schaeuble appoggiò la scelta di Kohl: cambio 1 a 1 tra il fortissimo marco federale e il marcocarta straccia dell’est che al cambio nero (quindi reale) valeva 10 Pfennig. Scelta fatta per evitare un esodo in massa e traumi sociali nell’ex Ddr, ma scelta che la Bundesbank disapprovò subito. E reagì alzando i tassi, e facendo pagare così lo scotto all’intero Vecchio Continente. Sull’unione monetaria europea, fu Schaeuble a fare muro contro i falchi del nazionalismo monetario, in parte ispirati dalla Bundesbank stessa: volle anche l’Italia e altri presunti "spendaccioni", per ampliare la massa critica della nuova moneta e darle una valenza politica europea.
Tempi eroici, anni lontani. Adesso nessun paese basta più a se stesso. Nemmeno la Germania. La crisi greca è solo cartina di tornasole, e pretesto, per spingere ognuno nella sua trincea nazionale. Anche i tedeschi. E gli interessi di Berlino divergono sempre più da quelli di Parigi o degli altri membri meno forti o meno competitivi dell’euro. L’Europa sta stretta agli interessi tedeschi, e insieme la Germania da sola è troppo piccola davanti a Usa, Cina, Russia e altri Grandi vecchi e nuovi. "Noi non possiamo accettare di diventare meno bravi come esportatori solo perché un altro paese ce lo chiede", dicono fonti governative. "Siamo maestri di export in una concorrenza leale, che gli altri facciano le nostre riforme". Tagli al welfare, pur se contenuti, più lavoro parttime, più mobilità sul mercato del lavoro. Secondo Berlino, sono indispensabili al sistema Germania per affrontare ogni giorno la concorrenza non solo Usa e giapponese, ma soprattutto cinese, indiana, sudcoreana, domani brasiliana e vietnamita. Alla richiesta della ministro delle Finanze francese, Christine Lagarde, che Berlino aiuti l’export degli altri paesi Ue sul suo mercato rafforzando la domanda interna tedesca con sgravi fiscali, Schaeuble dice di no. Lo fa per convinzione e per forza: in nome dei parametri del Patto di stabilità, mutuati dal rigore monetario assoluto stile Bundesbank. E anche perché le misure anticrisi dell’anno scorso, il costo della riunificazione (ancora in media 100 miliardi di euro l’anno), e l’esplosione di disavanzo e debito pubblico, hanno tolto ogni spazio di manovra.
"Dobbiamo rendere possibile che i Paesi che sgarrano di continuo dai criteri del Patto vengano espulsi dall’euro o minacciati di espulsione", è la linea del governo Merkel. Linea che è insieme una strada obbligata, visto lo stato desolato dei conti pubblici tedeschi, e pericolosa: isola la Germania dai partner Ue, e a lungo termine, se Berlino non consoliderà in modo durevole i suoi conti, mette la Bundesrepublik stessa sul banco degli accusati a rischio. La stessa grande idea del Fondo monetario europeo, che in Germania è stata lanciata proprio da Schaeuble dopo le proposte di Giuliano Amato, si scontra con i no della Bundesbank. Quindi viene dipinta per forza maggiore come la creazione di un’istituzione severissima, pronta a cacciare dall’euro i paesi scialacquatori più che aiutarli. Nodi irrisolti, strumenti venuti meno: la volontà politica dell’europeista Schaeuble fa conti amari con la realtà. I liberali, alleati di governo della CduCsu di lui e della Merkel, insistono caparbi nel chiedere sgravi fiscali che lui definisce irrealizzabili, non finanziabili. I partner Ue premono.
Su un altro fronte ancora, preme l’opinione pubblica, sobillata dalla stampa popolare, Bild in testa, ma anche da molti autorevoli economisti neoliberal o conservatori di qui. Aiuti alla Grecia? Non se ne parla, non se li meritano, tuonano ogni giorno. Nel momento più delicato: i consensi della coalizione tra la CduCsu e i liberali sono al minimo storico, se si votasse domenica prossima il governo non avrebbe la maggioranza. I tedeschi, scriveva qualche giorno fa in apertura di prima pagina Die Welt, quotidiano vicinissimo al partito di Schaeuble e della Cancelliera, preferirebbero un’alleanza tra democristiani e Verdi. A maggio si vota nel NordrenoWestfalia, lo Stato più popoloso della federazione. Voto a rischio per Merkel, Schaeuble e i liberali. Non è tempo di parlare davanti agli elettori (e contribuenti) di spendere soldi per altri paesi, anche se europei, dopo che già il 40% del bilancio Ue è pagato dai tedeschi. Il gigante nel centro del continente "ha da sempre una vocazione di motore dell’Europa", dice Schaeuble da vent’anni, ma è un gigante con le mani ormai troppo legate dalle sue contraddizioni, dai suoi problemi, dalle sue paure, e da quelli degli altri. Di questo dramma dell’Europa senza leadership, è lui, Wolfgang l’europeo, il vero, nascosto eroe tragico.