ADRIANO BONAFEDE, la Repubblica Affari & Finanza 22/3/201, 23 marzo 2010
DERIVATI, IL TESORO DA 300 MILIARDI
Giulio Tremonti ha una bella gatta da pelare con lo scandalo dei "derivati" degli enti locali. Un caso finito sui principali giornali economici internazionali, dal Financial Times al Wall Street Journal: è infatti la prima volta in assoluto che quattro grandi banche vengono rinviate a giudizio per queste operazioni. Ma il ministro dell’Economia ha un’altra segreta preoccupazione, che lo scandalo dei derivati possa arrivare anche a lambire il proprio dicastero. Perché se è vero che gli enti locali hanno fatto derivati per 35 miliardi, è altrettanto vero che il Tesoro ha fatto più o meno le stesse cose in questi anni. Anzi, casomai con qualche eccesso in più, oltre che con cifre ben più consistenti (si parla di 2300 miliardi).
Ma andiamo con ordine. In pochissime settimane il nostro paese è riuscito a finire sui giornali di tutto il mondo in diverse circostanze ma tutte collegate a un uso distorto o non trasparente dei "derivati". Ovvero di quei complicati contratti finanziari che vengono usati da soggetti come gli hedge fund, le banche d’investimento e le società di gestione del risparmio. dei giorni scorsi la notizia del rinvio a giudizio di quattro grandi banche internazionali. Ma qualche settimana prima era stato sollevato il tema di un costoso derivato sul debito pubblico greco che Goldman Sachs aveva messo in piedi nel 2001, grazie al quale di fatto il paese mediterraneo era riuscito ad entrare nell’euro. Tale circostanza è stata ricordata da chi in Europa ha avversato la candidatura del Governatore Mario Draghi a presidente della Bce, affermando che lui a quell’epoca era consulente della banca, circostanza poi smentita dallo stesso Governatore, che ha ricordato di essere arrivato dopo quell’episodio. Draghi ha anche risposto a un articolo uscito sul New York Times il 15 febbraio scorso, che ricordava che operazioni su derivati simili a quelle della Grecia erano state fatte sul debito pubblico anche in Italia negli anni Novanta con l’aiuto di Jp Morgan e altri istituti quando lui era direttore generale del Tesoro. E che per tali servizi il Tesoro aveva pagato laute commissioni. «Ma tali operazioni – ha spiegato una nota della Banca d’Italia – avevano il fine di diminuire il costo del denaro e non quello di nascondere l’effettivo stato dei conti pubblici».
Ma tutti questi eventi servono ad arrivare a una prima conclusione. Con la storia dei derivati l’Italia ha perso un bel po’ della sua credibilità internazionale. Certo, sul caso Draghi c’è stata una chiara strumentalizzazione da parte di chi ha avversato la sua candidatura a presidente della Bce. Rimane il fatto di un paese dove un normale strumento finanziario ha dato adito a sospetti sui suoi possibili usi distorti.
Il punto è però che Comuni, Regioni e Province sono soltanto la punta di un iceberg. Sotto la quale c’è un’attività dello stesso Tesoro, mai esplicitata e resa pubblica e mai verificata con attenzione da altri organi dello Stato (Parlamento o Corte dei Conti). Intanto c’è da dire che gli enti locali sono potuti entrare nel mondo della finanza proprio grazie a una norma voluta dal governo Berlusconi nel 2001. Il ministro Tremonti (anche allora come oggi capo dell’Economia) firma nel giugno 2003 il decreto attuativo. Gli enti locali si buttano a capofitto sui nuovi strumenti finanziari, tanto che in meno di sette anni mettono in piedi operazioni sui derivati per ben 35 miliardi, circa un terzo del loro debito. E si può peraltro capire il perché di tanto entusiasmo. Con tassi di mercato che nel 2005 raggiungevano i minimi storici, perché magari non swappare a tasso variabile un tasso fisso elevato (magari di vecchi mutui della Cdp), in una situazione nella quale i trasferimenti statali venivano sempre più ridotti e i bilanci erano in piena sofferenza?
A un certo punto, però, entrano in scena i pm, che cominciano a guardare dentro a quei contratti pieni di termini tecnici (swap, collar, mark to market, ecc.) scoprendo – è il caso di Milano – che potrebbero essere state pagate decine di milioni di commissioni non dovute. Poi lo stesso ministro Tremonti, nel 2008, appena insediato, sull’onda degli scandali che stanno montando, decide di bloccare l’utilizzo dei derivati per gli enti locali fino a un nuovo regolamento. Il quale gira come bozza da mesi ma finora non ha visto la luce. Nel frattempo, la VI Commissione del Senato guidata da Mario Baldassarri ha prodotto due voluminosi tomi per dare dei consigli al ministro dell’Economia, appoggiando comunque la sua bozza di regolamento.
Il nuovo regolamento dovrebbe precisare le operazioni che si possono fare e quelle che non si possono fare. E, soprattutto, dovrebbe determinare un compenso "equo" per ciascun tipo di derivato in modo che i giudici – in caso di incertezza abbiano dei riferimenti, che dovrebbero essere validi anche per il passato fornendo una sorta di "interpretazione autentica". In mancanza della quale c’è il rischio che a stabilire l’equo compenso siano i giudici, alcuni dei quali non sembrano accettare il principio per cui le banche vanno pagate, ed ogni operazione può avere un prezzo diverso in funzione della sua complessità.
Inoltre, tutte le operazioni degli enti locali venivano regolarmente inviate prima della chiusura al ministero per il controllo. Dunque – salvi i casi di truffe – tutto è stato fatto secondo le regole, e se queste non hanno funzionato è perché avevano le maglie troppo larghe. Mentre i controlli, semplicemente, non sono stati accurati.
Un’altra cosa imbarazzante per Tremonti è che se il ministero dell’Economia emana un nuovo regolamento non si comprende perché non debba valere anche per il Tesoro (e di conseguenza anche per il passato). In pagina è pubblicato un grafico che dimostra che il Tesoro ha fatto molte operazioni in derivati: dal 2002 al 2006 ha "fatto cassa" creando flussi positivi per circa 6,4 miliardi, ma poi gli stessi contratti che durano nel tempo hanno cominciato a mostrare il rovescio della medaglia producendo delle perdite: tra il 2007 e il 2008, quando peraltro governava il centro sinistra, sono stati persi 1,2 miliardi.
stato commesso qualche errore? E se è così, è lo stesso di cui sono accusati gli enti locali per il fatto di aver creato con le loro manovre possibili perdite future? Ma se anche le scommesse fatte fossero state vinte, poiché il New York Times ha definito laute le commissioni pagate dal Tesoro italiano, non c’è il rischio che siano addirittura più alte, in percentuale, di quelle pagate dai Comuni ora sotto accusa?
E non è finita. Certamente fra le operazioni autorizzate per gli enti territoriali non c’era quella dei contratti "senza sottostante". Ovvero quelli in cui non si scambia (swap) un mutuo a tasso fisso per uno variabile o viceversa, ma dove invece si fa una pura e semplice scommessa, come quella sui cavalli. Tra il 2001 e il 2005 sembra che effettivamente siano state messe in atto operazioni senza sottostante come incasso anticipato di flussi cedolari futuri, vendita di opzionalità e scommesse sulla forma della curva. Qualcuno ha sbagliato la scommessa? Ha guadagnato prima causando successivamente un danno erariale, che magari andrà avanti anche per i prossimi anni? Oppure sono cose che si possono fare: ma chi le verifica? Tremonti controlla i Comuni, ma chi controlla Tremonti? Tutte domande, per ora, senza risposta.