Corrado Stajano, Corriere della Sera 22/03/2010, 22 marzo 2010
LA VITA ESEMPLARE DEL GIUDICE GALLI CONTRO LA FOLLIA DEL TERRORISMO
Il 1980, quando, il 19 marzo fu assassinato a Milano il giudice Guido Galli, fu un terribile anno di morte. Il 12 febbraio fu ucciso a Roma Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura; il 16 marzo, a Salerno, Nicola Giacumbi, procuratore della Repubblica; il 18 marzo, a Roma, Girolamo Minervini, consigliere di Cassazione; il 28 maggio, a Milano, Walter Tobagi, giornalista del Corriere della Sera; il 23 giugno, a Roma, Mario Amato, sostituto procuratore della Repubblica; il 2 agosto la strage di Bologna, con quasi cento morti; il 31 dicembre, a Roma, il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi. Ma in tutto quell’anno furono una quarantina gli uomini e le donne’ agenti di polizia, carabinieri, dirigenti industriali, studenti, professori, un cuoco, un tipografo, medici, ingegneri, guardie carcerarie – assassinati dalle Brigate rosse, da Prima linea e dalle altre formazioni del terrorismo di sinistra e di destra. Erano quei poveri morti dai nomi dimenticati i rappresentanti dello Stato imperialista delle multinazionali che secondo il disegno dei terroristi dovevano essere eliminati per distruggere lo Stato di diritto? Guido Galli fu ucciso con tre colpi di P38 alle 16.50 del giorno di San Giuseppe, nel corridoio al secondo piano dell’Università Statale, dove il magistrato insegnava Criminologia. La fotografia scattata dopo la morte è simbolica. Un codice aperto, un paio di occhiali e, qualche metro più in là, il cadavere coperto da un lenzuolo con un piede che spunta tra macchie di sangue. Alessandra, la figlia ventenne, iscritta al primo anno di università dove si trovava per una lezione di Diritto greco, sentì il boato e il rumore del candelotto lanciato dagli assassini di Prima linea – gli stessi che sotto la guida di Sergio Segio avevano ucciso l’anno prima Emilio Alessandrini’ per coprirsi la fuga. Ebbe un cupo presagio, salì di corsa le scale, fu lei a riconoscere il padre sotto quel lenzuolo. Il magistrato, giudice istruttore al Tribunale di Milano, era nato a Bergamo nel 1932, figlio di un industriale. Si era laureato con una tesi in Procedura civile, aveva vinto nel 1959 il concorso per entrare in magistratura. Quell’anno si era sposato con una ragazza che conosceva da sempre. Dal matrimonio nasceranno quattro figli, un quinto sarà adottato. Uomo della normalità, colto, tra i magistrati più intelligenti, segue l’itinerario consueto di chi lavora nell’amministrazione della giustizia. Nel 1969 vince il concorso per la libera docenza. Insegna procedura penale a Modena, poi a Milano. Scrive saggi giuridici, è un uomo serio, equilibrato, di idee progressiste, dotato di autorità naturale, con un alto senso della famiglia e delle istituzioni. Tecnicamente agguerrito, antiretorico. Il primo processo importante che gli tocca in sorte è quello del fallimento della Sfi, la Società finanziaria italiana, con la bancarotta del Cotonificio della Val di Susa mandato in rovina da Felice Riva. Conosce allora Giorgio Ambrosoli, consulente dei commissari liquidatori. Due destini che si incrociano dolorosamente. Guido Galli fa parte della corrente di «Impegno costituzionale», nata da una costola di Magistratura democratica. Viene eletto nella giunta esecutiva dell’Associazione magistrati e si batte perché il processo di piazza Fontana non venga trasferito lontano da Milano. (Adesso anche lui sarebbe accusato di essere una «toga rossa»). Poi il terrorismo. Galli ha una dedizione profonda per il lavoro che fa. Tribunale, casa, la lettura, quando può la montagna, una grande passione. La sua vita è tutta qui. Nel settembre 1978 viene arrestato a Milano Corrado Alunni, uno dei fondatori delle Br. In disaccordo con la strategia del gruppo ha creato le Formazioni comuniste combattenti, le Fcc. Galli lavora instancabilmente a quell’istruttoria. In pochi mesi il processo’ un’ordinanza di 331 cartelle fitte – è pronto per il dibattimento. Ha capito com’è pericoloso il terrorismo minore, una galassia di sigle. Con un lavoro di grande sottigliezza intellettuale ha ridefinito il concetto di banda armata. I terroristi si sono resi conto che quel giudice li conosce nel profondo e ha trovato gli strumenti giuridici per sconfiggerli. Decidono così la sua condanna a morte. Il 18 marzo sotto casa. Non esce. Nel pomeriggio all’Università. Non fa lezione. Sarà per il giorno dopo. Guido Galli sa di essere nel mirino. Ha timori, sospetti? Lo sorreggono la profonda fede religiosa e il senso del dovere. Non ha una scorta, nonostante il pericoloso processo che ha istruito. Ogni giorno prende l’autobus da corso Plebisciti, dove abita, al tribunale. Indifeso. Trent’anni dopo ci si è ricordati di lui. Un po’ tardi per un uomo esemplare come Guido Galli.
Corrado Stajano