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 2010  marzo 22 Lunedì calendario

OGM, SFIDA NEI CAMPI, PER VOCE ARANCIO


«Ci possono essere problemi di salute per animali alimentati a Ogm» (Carlo Petrini, presidente onorario di Slow Food).
«[Ai miei] studenti spiego, fornendo i dati, che non ci sono prove che gli Ogm siano pericolosi per la salute e l’ambiente. E che ci sono, invece, abbondanti prove del contrario» (Gilberto Corbellini, docente di Storia della medicina).
Il 2 marzo l’Unione europea ha autorizzato per la prima volta dopo oltre dieci anni la coltivazione di un Ogm (organismo geneticamente modificato): è la patata transgenica Amflora prodotta dalla Basf. Finora, nella Ue, è stato possibile coltivare solo il mais Bt dell’americana Monsanto.
La patata Amflora, nome in codice EH92-527, è il primo Ogm tutto europeo. Non è commestibile: sarà coltivata in Germania (paese che nel 2008 aveva interrotto le coltivazioni biotech) per usi industriali. Il suo amido servirà a produrre carta, calcestruzzo e adesivi. Solo gli scarti potranno essere destinati a mangimi animali.
Forti le polemiche in Italia: «Finché ci sarò io al ministero gli Ogm non varcheranno il soglio nazionale» (Luca Zaia, ministro per le Politiche agricole). «Le decisioni prese dall’Unione europea sono gravi, pericolose, dannose e frettolose» (Giuseppe Politi, presidente della Confederazione italiana agricoltori). Ma anche: «Apertura alla sperimentazione e alle innovazioni che sono state promosse dalla scienza. In Italia invece abbiamo dal 2000 un blocco totale sulle sperimentazioni [...] e ogni anno di ritardo nella sperimentazione è un pregiudizio per la nostra sopravvivenza nel futuro» (Aurelio Vasti, Confagricoltura).
I contrari ad Amflora affermano in particolare che un gene marcatore della patata può generare resistenza a un antibiotico, la canamicina, che però non viene quasi più usato per curare le persone. Ma questa resistenza si può trasmettere dalla pianta all’uomo? « più probabile che riappaiano i dinosauri» (Roberto Defez, biotecnologo del Cnr di Napoli). «Già da anni, tra le decine di Ogm legalmente autorizzati in Europa come mangimi, si usano colture contenenti gli stessi geni che donano la resistenza ad alcuni antibiotici usati per Amflora» (Dario Bressanini, ricercatore e giornalista di Le Scienze).
Se Amflora e il mais Monsanto Mon810 sono le uniche eccezioni alla moratoria Ue sulle coltivazioni Ogm, gli animali allevati in Europa possono nutrirsi di mangimi geneticamente modificati. Sono 35 i prodotti autorizzati e che vengono quindi importati. Si tratta, tra gli altri, di soia, colza, barbabietola da zucchero e cotone.
In Italia, il 25% del mangime che tiene in piedi gli allevamenti di bovini, suini e polli proviene dalle coltivazioni di soia ogm di Stati Uniti, Argentina e Brasile.
Entrambi gli schieramenti, pro e contro gli Ogm, sono cauti riguardo all’incidenza sulla fetta di carne che arriva sulla tavola: «Da un punto di vista scientifico non ci sono prove che il dna transgenico della soia venga trasferito nei prodotti alimentari ricavati dal bestiame» (Luca Colombo, agronomo, ricercatore della Fondazione Diritti genetici, contraria al biotech).
«Nel 2001, dopo 15 anni di studi, l’Unione europea ha emesso una nota ufficila nella quale si afferma che l’indagine svolta da 400 gruppi di ricerca pubblici ”non ha mostrato alcun nuovo rischio per la salute umana o per l’ambiente”, semmai ”diventano sempre più evidenti i benefici di queste piante”» (Francesco Sala, biotecnologo vegetale).
In Italia gli Ogm sono largamente impopolari, ma anche molto sconosciuti. In una ricerca Demopolis di fine 2008, alla domanda ”li volete gli Ogm?” risponde ”no” il 78% degli intervistati. Alla domanda ”sapete cosa sono gli Ogm?” risponde ”sì” solo il 66% (otto anni prima erano il 40%).
Il 19 gennaio scorso Silvano Dalla Libera, un agricoltore del Nord-est, vice presidente di Futuragra, un’associazione di 500 proprietari terrieri pro Ogm, dopo tre anni di ricorsi ha vinto la causa al Consiglio di Stato per poter coltivare mais ogm. Il ministero delle Politiche agricole ha novanta giorni di tempo, da quella data, per concedere a Dalla Libera (e poi a tutti quelli che vorranno) l’autorizzazione a seminare i terreni, scegliendo tra le sementi di mais (e sono decine) già approvate dall’Unione europea. Ma il ministro Zaia ha fatto appello al «parere di una Commissione tecnica la quale, non avendo a disposizione le prescrizioni tecniche sulla modalità di coltivazione delle colture ogm ancora in corso di definizione, difficilmente esprimerà un parere positivo».

La normativa italiana sugli organismi geneticamente modificati è contenuta in una legge del 2005 (che prevedeva il divieto degli Ogm fino al 31 dicembre di quell’anno), mai applicata di fatto perché ne è sempre stata rimandata la parte attuativa. Il 21 gennaio scorso, ancora una volta, la Conferenza Stato-Regioni ha rinviato l’approvazione delle «linee guida per la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e geneticamente modificate».
«Coltivare Ogm in sicurezza, in Italia, è impossibile: le aziende sono di piccole dimensioni e non ci sono barriere naturali sufficienti a proteggere le coltivazioni biologiche e convenzionali» (Carlo Petrini).
«Il polline del granturco vola al massimo fino a 20-30 metri. Basterebbe una distanza di sicurezza di 50 metri per evitare qualsiasi commistione. Il polline di riso ha due ore di vita e non va oltre i 40 centimetri. Il camminamento tra una risaia e l’altra già impedirebe lo scambio» (Francesco Sala).
Tracce di Ogm possono essere comunque presenti sulle nostre tavole: nelle merendine, nei crackers, nel lievito o nella panna di soia, come di ogni prodotto in vendita in Italia è ammesso fino allo 0,9 per cento di concentrazione di ingredienti ogm senza l’obbligo di dichiararlo sulla confezione.
«Il sì o il no all’Ogm sono un falso problema. Il paradosso italiano prevede l’import e l’uso dei derivati di mais e soia transgenici, ma allo stesso tempo vieta ai produttori di accedere a queste innovazioni» (Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura).
Già dai primi anni ”80, quando sono partite le prime biotecnologie vegetali, in Italia sono sorti gruppi di ricerca. Le sperimentazioni, in totale 250, miravano a rendere le varietà più resistenti alle avversità climatiche e ai virus, nonché a migliorare le caratteristiche agronomiche, ma sono state interrotte nel 1999. Oggi la possibilità di ricevere finanziamenti è limitata, e solo alcune società continuano. Tra queste la Metapontum Agrobios, che lavora per migliorare le melanzane, ma le piantine non possono abbandonare le serre sperimentali.
Nel nostro paese sono nove le colture mediterranee modificate geneticamente pronte a essere sperimentate in campo aperto. I dossier sono stati prodotti da una commissione interministeriale ma il ministro Zaia non autorizza a procedere.
Futura, dopo Amflora una patata ogm commestibile per l’uomo: la sta progettando la Basf, potrebbe essere lanciata sul mercato entro il 2015.

La questione delle sementi. «Introdurre organismi transgenici in agricoltura significa scegliere la strada dell’omologazione e della sottomissione alle grandi industrie del biotech, dalle quali ogni anno i semi transgenici – e i relativi erbicidi – andrebbero riacquistati, con grave danno per i piccoli coltivatori» (Mario Capanna, presidente della Fondazione Diritti genetici). «La maggior parte degli agricoltori (convenzionali o biologici) acquista semi ogni anno [...]. Sono ormai finiti i tempi, da quasi un secolo, in cui gli agricoltori miglioravano le proprie sementi, perché ora si preferisce acquistare sementi certificate, prive di virosi, e con germinazione e qualità molto elevata» (Dario Bressanini).
La questione etica. Lo sviluppo di sementi transgeniche per combattere la fame nel mondo è un «fatto positivo», a condizione che non si trasformi in «attività speculativa ai danni della giustizia sociale» (il vescovo Marcelo Sanchez Sorondo, presidente della Pontificia Accademia delle scienze). «Le multinazionali promettono che gli Ogm salveranno il mondo dalla fame: eppure da quando è iniziata la commercializzazione (circa 15 anni fa) il numero degli affamati non ha fatto che crescere, proprio come i fatturati delle aziende che li producono» (Carlo Petrini).
Valore del mercato delle sementi ogm nel mondo: circa 8,3 miliardi di dollari nel 2009, con la prospettiva di toccare i 9 miliardi nel 2010. Monsanto, numero uno del mercato globale, prevede per quest’anno una crescita dei ricavi del 20%. Nel 2008, un anno eccezionalmente positivo per il settore dell’agribusiness, aveva segnato un aumento degli utili del 104%. Altri marchi: DuPont, Syngenta, Bayer Crop Science, Dow ecc.
Nell’Unione europea al momento solo sette paesi su 27 coltivano Ogm. In virtù della «clausola di salvaguardia» contenuta nel regolamento comunitario relativo ai «nuovi alimenti», uno Stato «può limitare provvisoriamente o sospendere la commercializzazione di un prodotto sul suo territorio. L’esistenza di rischi per la salute può giustificare «l’adozione di una tale misura ma il rischio - ha stabilito la Corte di giustizia europea nel 2003 - non deve essere puramente ipotetico, né risultare fondato su semplici supposizioni».

In Europa ci sono 94.750 ettari coltivati Ogm, gran parte dei quali (76.057) si trovano in Spagna. La Repubblica Ceca è il secondo paese, seguita da Portogallo e Romania. In tutta Europa le coltivazioni ogm sommate non corrispondono neppure alla superficie del Comune di Roma.
Nel resto del mondo le superfici biotech nel 2009 sono arrivate a quota 134 milioni di ettari: quasi un decimo dei terreni coltivati. In totale sono 25 i paesi che coltivano colture biotech. I maggiori produttori sono nel continente americano. In testa gli Stati Uniti, con 64 milioni di ettari, seguiti da Argentina e Brasile, entrambi intorno ai 21 milioni.
Gli agricoltori coinvolti sono 14 milioni nel mondo (il 90% nei paesi in via di sviluppo). La soia è la coltivazione maggiore. Tra gli altri prodotti, mais, cotone e colza, una pianta che si usa come alimento per animali, fonte di olio vegetale alimentare e come combustibile nel biodiesel.
L’India ha scelto di puntare sul cotone ogm per poter esportare la materia di base per l’industria tessile occidentale, raggiungendo nel 2009 gli 8.4 milioni di ettari coltivati ogm. Un rapporto della Banca mondiale definisce il cotone Bt «un Ogm win-win-win», ossia di successo su tre fronti: «Ha ridotto le perdite dei raccolti, ha aumentato i profitti dei contadini e ha fortemente ridotto l’uso di pesticidi per milioni di piccoli agricoltori».