varie, 22 marzo 2010
I CACCIATORI DI TESTE, PER VOCE ARANCIO
Executive search o head hunter (cioè cacciatori di teste): individui che cercano e selezionano manager di successo per conto di aziende intenzionate ad assumere dirigenti.
Secondo l’Associazione mondiale dei cacciatori di teste (Aesc) che raccoglie oltre 270 società, dopo mesi di stasi le aziende iniziano di nuovo a bussare alle porte delle principali società di head hunting per l’assunzione di nuovi dirigenti. Da luglio a settembre 2009, rispetto al trimestre precedente, a livello globale gli incarichi assegnati ai cacciatori di teste sono aumentati dell’11 per cento e i loro ricavi del 10. Da un punto di vita geografico a tirare la volata è l’area asiatica che ha messo a segno un miglioramento degli affari del 32 per cento, seguita dal Nord America (+ 24 per cento), dall’Europa (+ 11 per cento) e dal Sud America (+ 6 per cento). In Italia la crescita degli affari delle società che si occupano di executive search è stata del 10 per cento.
Nel 2008 il business mondiale dei cacciatori di teste, con oltre 11 miliardi di dollari di ricavi, era calato del 34 per cento.
A rimettere mano al proprio organigramma sono soprattutto le aziende tecnologiche, dove la richiesta di nuovi manager è cresciuta da luglio a settembre 2009 del 26 per cento sia nel comparto dei gestori di telefonia mobile sia in quello dello sviluppo delle reti. La finanza ha registrato un incremento del 13 per cento, il settore dei beni di largo consumo è cresciuto del 12 per cento.
In Italia ci sono circa 200 mila manager, dirigenti e quadri. Ogni anno (in periodi normali) uno ogni venti cambia lavoro: «Emigra in un’altra azienda oppure indossa una nuova casacca nello stesso gruppo. In circa un terzo dei traslochi entra in gioco un head hunter. Negli altri casi (la maggioranza), l’azienda fa da sé: passaparola, segnalazioni, promozioni, cordate» (Vito Gioia e Attilio De Pascalis, Come farsi cacciare dai cacciatori di teste, edizioni Il Sole 24 Ore).
«I manager italiani sono sempre più ricercati dalle multinazionali. Negli ultimi cinque anni, infatti, sono cresciute del 35 per cento le posizioni executive ricoperte da italiani nel mondo, in totale circa 3.000. E nella Penisola i posti di country manager sono affidati a italiani in oltre l’80 per cento dei casi. E’ quanto emerge da un’analisi condotta da Asa Amrop. Nel complesso la presenza di italiani fra i top manager internazionali resta ancora limitata, meno del 3 per cento. Ma bisogna considerare che di solito queste posizioni sono riservate a manager della nazione che ospita la casa madre. E l’Italia annovera solo dieci società nella classifica di ”Fortune” delle prime cinquecento del mondo. Negli ultimi anni, tuttavia, c’è stato un significativo incremento della presenza nostrana» (Vito Gioia e Attilio De Pascalis, Come farsi cacciare dai cacciatori di teste).
In media, in Italia, i dirigenti di aziende private guadagnano 56 mila euro all’anno (calcolando lo stipendio fisso netto più le gratifiche, i premi e i bonus). Secondo un’indagine commissionata da Manageritalia e realizzata nel 2007 da Astra ricerche tramite 1019 interviste, gli italiani sono invece convinti che guadagnino circa 250 mila euro netti all’anno (ovvero cinque volte più della realtà.
Nel libro Come farsi cacciare dai cacciatori di teste, Vito Gioia, a capo di Asa Amrop, e Attilio De Pascalis, giornalista economico, spiegano tutti i trucchi per essere scovati dagli head hunter. Innanzitutto, si legge nel volume, alle società interessano persone di successo che sappiano vivere e vincere con gli altri. «Non robot o schiacciasassi. Ma acrobati, equilibristi, contorsionisti, trapezisti, cavallerizzi e domatori d’impresa». Questo, però, non basta. «Innanzi tutto occorre che i cacciatori di teste possano scovarlo facilmente. Molti manager, invece, sono o si rendono invisibili. [...] I soggetti vengono individuati uno a uno partendo da una lista di aziende target che, secondo il giudizio del consulente e del cliente, potrebbero contenere i manager giusti. Quindi, oltre a essere un buon pretendente, bisogna avere la fortuna di trovarsi in una delle imprese obiettivo. Esiste poi la banca dati interna della società di executive search. Per entrarci bisogna, ovviamente, mandare il proprio curriculum vitae alle società di selezione più importanti. E, per quanto sorprendente possa apparire, la cosa migliore è di spedire il cv proprio nel momento in cui non se ne ha bisogno. Quando le cose vanno bene e non si ha intenzione di cercare un altro posto. Meglio evitare, invece, di telefonare o chiedere incontri. Lo scopo dell’invio del cv è di entrare nella banca dati del cacciatore di teste. Sarà lui (o lei) a farsi vivo se il profilo interessa per una specifica ricerca in quel momento».
Le società più importanti di head hunter: Egon Zehnder (www.egonzehnder.com). Fondata nel 1964, ha 62 uffici in 73 paesi. In Italia la società è prima per fatturato. L’attività si sviluppa per il 60% a Milano (milan@egonzehnder.com) e il 40% a Roma (rome@egonzehnder.com). Heidrick&Struggles Attiva da più di 50 anni ha uffici in tutto il mondo. Tra le top five del settore è quotata al Nasdaq (per inviare il curriculum, collegarsi al sito www.heidrick.com. e cliccare su contact us). Key2People In pochi anni è diventata la terza "agenzia" di head hunters per giro d’affari. partner italiano di un network internazionale, la IIC Partners executive search worldwide (compilare il modulo alla voce ”contattati” su www.key2people.com). Robert Half International Multinazionale fondata da Robert Half nel 1948 opera in tutto il mondo con 330 uffici. Quattro le sedi italiane a Milano, Torino, Roma e Genova (gli indirizzi di posta elettronica, città per città, alla voce ”contatti” sul sito www.roberthalf.it). Korn/Ferry Ottanta uffici in 40 paesi (tra cui l’Italia) la Korn/Ferry nasce nel 1969. Il quartier generale è a Los Angeles (www.kornferry.com). Asa Amrop, una delle maggiori organizzazioni italiane e mondiali di executive search (www.asa-amrop.com).
La raccomandazione con la maggior parte degli head hunter non funziona. Non sono loro che danno il lavoro. Ciò che cercano è un buon prodotto da vendere al cliente. E alla fine l’ultima parola spetta a lui, al cliente che paga la ricerca. «Non serve essere segnalati da un personaggio eccellente - spiega Duccio Alberti, consulente di Egon Zehnder - quello che è importante è che l’indicazione arrivi da una persona di cui mi fido. Se un professionista di qualità presenta un’altra persona, c’è il forte sospetto che anche quest’ultima sia della stessa pasta. Per intenderci non c’è bisogno che si muova un politico o un amministratore delegato per segnalarci un candidato. Mi fido molto di più se un giovane direttore finanziario viene segnalato da un cfo che nell’ambiente è stimato: questo basta e avanza» (a Francesco Guidara su Capital).
Altro consiglio degli head hunter: costruirsi una rete di contatti magari entrando in un circolo culturale o musicale o in un club sportivo di prestigio. Alberti: «Va benissimo giocare a golf o andare a teatro se si vuol essere notati, ma non seguire l’onda o la moda. Il mio consiglio è di frequentare ambienti che piacciono e là stabilire contatti» (a Francesco Guidara su Capital).
Convegni ed eventi vanno vissuti in modo moderato, discreto e mai ostentato. Renzo Noceti di Key2Peolpe: «Il presenzialismo non paga, del resto l’Italia è una piscina piccola, le vasche sono sempre quelle ed è molto facile incontrare gli stessi pesci». (a Francesco Guidara su Capital).
Negli ultimi tempi anche i social network sono diventati un utile strumento per farsi notare dai cacciatori di teste. Ad esempio Linkedin - la più grande business community al mondo con oltre 43 milioni di utenti nel mondo, professionisti di 200 paesi e più di 170 settori di business - è diventato uno dei punti di riferimento sia per le società di selezione del personale che per le aziende in cerca di specifiche professionalità. Linkedin ha un sistema di attivazione molto semplice: una volta iscritti, si viene guidati da un form pre impostato nella compilazione del proprio profilo, attraverso l’indicazione di informazioni professionali, come le esperienze lavorative, passate e presenti, il percorso formativo seguito, le competenze acquisite e le conoscenze. Ma anche personali, come hobby e interessi vari.
In Italia l’utilizzo dei social network con finalità professionali sta muovendo i primi passi, ma le prospettive sono interessanti. Tomaso Mainini, executive director delle divisioni sales&marketing e retail di Michael Page (società specializzata nella ricerca di profili professionali di alto livello): «Si tratta di un canale nuovo, in buona parte ancora da esplorare. Già oggi, comunque, alcune aziende possono visitare un sito come Linkedin per conoscere i professionisti che lavorano presso le aziende concorrenti e, magari, prendere i loro contatti per poi avanzare un’offerta di lavoro». Secondo Mainini, tuttavia, le dichiarazioni su queste community non vanno prese come oro colato: «Solitamente le competenze e le conoscenze sono autoreferenziate e non verificate perché provenienti dallo stesso utente che le inserisce o dalla sua cerchia di conoscenti […] Non arriveremo mai a selezioni tramite questi strumenti ma sono molto utili per reperire nominativi interessanti per le aziende clienti» (Duilio Lui su Italia Oggi).
Facebook ha siglato un accordo con Careerbuilder, fornitore di una piattaforma per indicizzare e categorizzare le offerte di lavoro in modo tale da raggiungere i candidati presenti sul social network che hanno un profilo in linea con l’offerta.
«L’aspetto molto personale di Facebook, con la possibilità di inserire in ogni momento riflessioni, spunti, postare foto e video, commentare quello che succede nella propria vita privata e nella realtà circostante, solleva problemi di privacy. Non è escluso, infatti, che un selezionatore a caccia di candidati giudichi negativamente le inclinazioni politiche o le opinioni espresse sul sito e decida magari di accantonare una prevista offerta di lavoro» (Duilio Lui su Italia Oggi).
Secondo una ricerca condotta da Robert Half international in Canada e Stati Uniti, il 67% dei manager considera i siti di network professionali utili per reclutare nuovi dipendenti e il 25% valuta positivamente anche quelli con impronta più generalista come Facebook.
Executive Surf, fondata nel 2000, è stata la prima Internet Company italiana di cacciatori di teste. L’amministratore delegato Alessandro Tosi: «Entrare in Rete è sicuramente una scelta obbligatoria. Tutto il nostro settore, trattando prevalentemente un prodotto immateriale come l’informazione, destinato alle imprese, ha in Internet una grande opportunità. Rispetto all’head hunting tradizionale cambia soprattutto la maniera con la quale il servizio viene erogato: il web è un ponte diretto e interattivo tra il cliente e i candidati. La Rete è anche sinonimo di risparmio di tempo: «Per trovare un manager impieghiamo due settimane contro i due mesi degli operatori tradizionali».
Eric Salmon 39 anni fa lanciò per primo in Italia il mestiere aprendo gli uffici della Egon Zender. Anche Luca Pacces, partito nel 1975 e oggi vicepresidente della Spencer Stuart, è nato e cresciuto con la professione. Nella maggior parte dei casi, però, i partner delle ditte di ricerca di alti dirigenti sono professionisti che vengono dalle imprese. Qualche esempio: Giordano Tamagni, cofondatore della Key2People, era direttore risorse umane della Pirelli; l’amministratore delegato della Spencer Stuart Pierluigi Fattori era il numero uno della direzione del personale Fiat; Aurelio Regina, partner e responsabile dell’ufficio di Roma della Egon Zehnder, era direttore corporate affairs della Philippe Morris. L’età media, in genere, è elevata. Per il cacciatore di teste, infatti, è importante avere un lungo curriculum che significa esperienza e soprattutto relazioni, fondamentali per persone che per andare a caccia non usano certo gli annunci sui giornali ma l’agenda (oltre agli archivi delle loro società).
Il compenso di un head hunter, di solito, corrisponde a circa un terzo della retribuzione annua lorda del manager che sarà assunto.