PIERO COLAPRICO, la Repubblica 22/3/201, 22 marzo 2010
FELPE E COLTELLI
Ha vent´anni, si fa chiamare Ryu, è italiano e per tre anni ha fatto parte della gang dei Latin King di Milano. questa la nuova frontiera di chi entra nelle strade dei graffiti: è il mix, è la destrutturazione, il multietnico. «Non ero l´unico non ecuadoregno della gang. Insieme con me - racconta Ryu, con accento milanesissimo - c´erano asiatici, arabi, slavi. Molti di noi pensano che New York, la città delle novanta provenienze, sia il futuro migliore per tutti...». Felpa e coltello. Codici d´onore e regole per combattere. Musica salsa, bachata, merengue, reggaeton, cumbia e «stile» di vita.
Esiste un mondo giovanile sotterraneo, un impasto di bande e di gruppi, che agli estranei fa l´effetto di un labirinto, dal quale sembra meglio girare alla larga. Gli episodi violenti non sono pochi, come sa anche Manfredi Alemanno, 15 anni, figlio del sindaco di Roma: una settimana fa è stato picchiato al quartiere Parioli da un gruppo di giovani figli di immigrati. Altri giovani sempre più spesso si calano sulla fronte i cappucci delle felpe e vanno all´attacco degli immigrati: a Milano c´è stata per un po´ la caccia dei neonazisti ai filippini, a Roma continua quella ai bengalesi. E a Campo de´ Fiori l´ultimo agguato, l´altra notte, con uno studente americano accoltellato al torace da una gang sudamericana.
«Io - continua Ryu - sono entrato nei Latin King grazie a Internet. Ho cercato contatti, li ho trovati, ho cominciato a uscire con un gruppo, ma poi, una sera, ho incontrato un vero Latin King, mi ha detto che stavo in compagnia di truffatori, di inventori. E non sapete quanti ce ne sono, e secondo me sono quelli che fanno i casini, come le violenze sessuali, per noi vietate… Così, con questo nuovo amico, piano piano, sono entrato nella gang più importante di Milano». Periodo turbolento, così lo ricorda, tra risse e fughe e paure, ma anche «bellissimo, perché c´è un alone di fascino, se stai in una banda. Per le ragazze funziona e mi sentivo tra fratelli, tra gente che avrebbe fatto tutto per me, come io per loro».
Sino alla tragedia: «Una mattina ero alla stazione, perché andavamo fuori città, a un raduno della nostra Nazione, come ci chiamiamo. Suona il telefono, c´è uno che piange, mi dice che hanno ammazzato "Boriqua"». E cioè David Stenio Betancourt Noboa, 26 anni, ecuadoriano: il Rey, e cioè il capo dei Latin King New York. Era l´aprile scorso, il re usciva dal Thini Cafè, nella zona tra via Brembo e via Nervesa, e a colpirlo sono i rivali, i Latin King Chicago.
«Vado all´obitorio - continua Ryu, ancora emozionato - e l´ho visto, aveva le mani nelle tasche della felpa. L´hanno preso a tradimento. Era stato in carcere, ma voleva la pace tra i vari gruppi. Poi le tv ci hanno dipinto quasi come assassini seriali, ma la realtà è che Bouriqua aveva detto basta alla violenza». I sociologi di «Codici - agenzia di ricerca sociale» confermano, così come la seconda sezione della squadra Mobile di Milano, che ha acchiappato gli assassini di Bouriqua. E ha collaborato anche all´arresto dei dominicani che tre settimane fa, in via Padova, hanno ucciso un egiziano.
Anche questa storia andrebbe, almeno in parte, rispiegata fuori dai luoghi comuni. I latinos erano stati tutto il giorno a spasso, avevano un appuntamento con un manager musicale e sul bus stavano ascoltando i loro «pezzi». Erano eccitati e contenti, con la speranza di un contratto in serata, quando il giovane, che poi sarebbe morto, gli ha ordinato a brutto muso di smetterla. Non c´era alcuno scontro tra africani e latini, la lite scoppia tra chi era felice e chi non sopportava le risate. E - come succede sempre più spesso, ovunque, tra giovani «depoliticizzati», in cerca di emozioni da film noir nelle discoteche, nei parchi, nelle piazze - sono spuntati i coltelli.
«Io - continua l´italiano Ryu - non sto dicendo che siamo santi, però è sbagliato descriverci come emarginati. Prova a pensare. Siamo meglio noi, che abbiamo un codice, o quei ragazzi di buona famiglia, perfettamente a posto, che a Milano hanno massacrato un barbone perché ne hanno schifo? Esiste una violenza notevole, in questi anni, e sono le bande che la tengono a freno. l´esatto contrario di quello che si dice. E guarda che ti parlo con sincerità. Per un po´ ho curato una discoteca dei Latin King nella zona di corso Como. Beh, ero alla porta, per evitare i casini, e facevo le perquise. Ho trovato coltelli nelle mutande, negli stivali, dovunque, ma averli non è come usarli».
Il fenomeno delle «Pandillas», le bande, nacque a Genova, perché qui a metà degli anni ´90 approdano dall´Ecuador migliaia di donne con figli al seguito e senza mariti. I ragazzi, senza controllo, ritrovano un´identità nella banda. Nel 2003 la prima maxi operazione della polizia porta una decina di arresti e individua otto baby gang e nel 2006 viene firmata una storica pace tra Latin King e Nietas (portoricani) con i capi venuti espressamente dal Sudamerica e dagli Usa. In ogni città, comunque, le spedizioni punitive non finiscono. Basta accennare con le mani al gesto di una «corona rovesciata» per togliersi il rosario e andare all´attacco.
Un censimento, per difetto, indica in un migliaio i ragazzi nelle gang in Italia, concentrate soprattutto a Milano, Genova, Torino, Roma, Napoli. Milano è la «città madre», dove tutti passano e trovano rifugio, e a parte i Latin King (ecuadoriani), i Comando (peruviani), i Nietas, presenti ovunque, ci sono Trinitarios (domenicani), i salvadoregni Ms (Mara Salvatrucha, occhio ai «18» più che ai «13», i primi riconoscibili dal tatuaggio di tre carte da gioco con il sei), poi i filippini riuniti nella gang «Ghetto», più i tanti italiani, come i «Napoletani del Corvetto». E se a Milano i paninari e i sambabilini sono scomparsi da decenni, inserendosi qui e là, a Roma i pariolini esistono ancora, così come i Coatti, gli Emo e i Truzzi. A Torino c´è una proliferare di micro-gang, dagli Ottogallery, ai Ninja, ai Vatos Locos (latini), ai Truzzi, alle Gotiche, ai Cabinotti. A Genova resta la roccaforte dei Forever e dei Soldao Latinos. A Napoli sono forti i Nietas, ma anche gli italiani R 601.
Ci spiega Paul, un ragazzone dalle spalle larghe e i denti bianchissimi, quale bisogno porta questi ragazzi nelle gang. Fa l´elettricista nella zona di Rozzano, paesone alle porte di Milano ribattezzato con ironia «Rozzangeles». «Avevo undici anni - racconta Paul - quando in Ecuador sono entrato in una pandilla. C´era mio fratello, più grande di me di un anno, e là ho visto cose terribili. Ti mettono anche in mano la pistola, e ringrazio Dio che a me non è successo di sparare. Quando sono arrivato a Milano, ho conosciuto, grazie a una collana, un nostro segno, altri come me. E mi sono inserito subito nella gang. Abbiamo degli obblighi seri, se andiamo a scuola dobbiamo essere promossi, se lavoriamo dobbiamo essere stimati. E le donne della gang non sono zoccole, devono vestirsi senza volgarità, e l´aborto è proibito, ci devi pensare prima». Perché entrare nella gang? «Mio padre e i suoi fratelli bevevano, ho imparato le regole della vita grazie alla banda, sono tra amici, non ho mai sgarrato». Ora Paul è papà, lavora, ed era un pezzo grosso, piuttosto temuto.
Sarebbe però un errore strategico, non solo politico, ritenere le gang un feudo esclusivamente straniero. Se a Torino si sente dire: «Ci sono dei cabinotti da asciugare, diamoci da fare», attenzione. La frase ha un significato: «cabinotti» sono i ragazzi vestiti da ricchi e «asciugarli», preferibilmente in due zone del centro storico, sta per rapinarli. E le rapine, le risse, gli agguati, non sembrano finire mai.