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 2010  marzo 25 Giovedì calendario

LA GUERRA DEGLI EREDI PER NON PERDERE LA TESTA


Quando la benna estrasse la prima testa dal Fosso Reale di Livorno, il 24 luglio 1984, i critici gridarono al miracolo. Poi il miracolo si replicò: una dopo l’altra, dal fango del canale dove la leggenda sosteneva che Amedeo Modigliani avesse gettato le sue saulture prima di abbandonare l’ingrata città natia, uscirono tre teste in pietra. Vennero subito esposte come trofei nella mostra allestita per il centenario della nascita dell’artista.

L’unico che ne denunciò «l’evidente contraffazione» fu un esperto d’arte di Crespina, un paese vicino a Pisa: «Appena le vidi» ricorda Carlo Pepi «rimasi di stucco e dissi che erano porcherie, fatte da due mani diverse». Indifferenti, per mesi tutti i grandi critici, da Giulio Carlo Argan a Carlo Ludovico Raggianti, celebrarono le teste come capolavori. Poi Panorama, in settembre, rivelò che una delle sculture era stata scolpita per scherzo da tre studenti livornesi con un trapano Black & Decker. Poco dopo un portuale con la passione dell’arte raccontò di avere scolpito le altre due come «provocazione culturale».

Oggi Pepi ha 72 anni, ma un quarto di secolo dopo la «beffa dei falsi Modì» la sua vita è ancora legata a doppio filo con quella di Modigliani. Non solo perché in tutta Italia ha fatto sequestrare decine di falsi attribuiti all’artista, un’attività per cui è stato cooptato dall’associazione ArtWatch International come capo della Sezione contraffazioni. Ma perché è stato Pepi a certificare l’autenticità di altre tre teste di Modì.

La nuova storia comincia nell’estate del 1991, quando un livornese con la fissazione dell’antiquariato, Giuseppe Saracino, porta l’auto da un carrozziere. Il meccanico, Piero Carboni, gli mostra tre teste in pietra: «Le ho recuperate nel 1943, da bimbetto, nella casa bombardata di mi’ zio» gli spiega.

Ignorate per quasi 50 anni, quelle pietrone a casa Carboni sono servite come fermaporta. Il carrozziere non ha idea di che cosa siano e propone un patto a Saracino: se riuscirà a venderle, faranno a metà. E qui torna in gioco Pepi. Perché anche Saracino non capisce il valore delle teste, e in cerca di idee ne mostra le foto proprio a lui. «Mi si gelò il sangue» ricorda il critico. «Parevano autentiche e tra le più belle mai fatte da Modigliani».

Le tre teste, in effetti, sono fascinose: Pepi le battezza La bellezza, La saggezza e La scheggiata (perché ne manca un pezzo). Ma subito iniziano i problemi: Pepi e Saracino svelano l’esistenza delle tre nuove sculture e i nemici che il critico si è fatto nel 1984 si risvegliano. Partono le denunce e i due vengono processati per autenticazione di opere false. Occorre una dozzina d’anni perché i giudici li assolvano: convinti della loro buona fede e forse anche della bontà delle sculture.

Gli indizi del resto non mancano: molti testimoniano che Carboni le possiede dal dopoguerra e suo zio, Roberto Simoncini, abitava nella stessa via dove nel 1909 Modigliani aveva lo studio. Vengono perfino trovati i bozzetti delle teste, sicuramente autentici. Ma nel frattempo Saracino e Carboni sono morti. Così parte una querelle legale tra i loro eredi e quelli di Simoncini: tutti vogliono le teste che, se autenticate, potrebbero valere fra 40 e 50 milioni di euro. Le cause procedono fino alla fine del 2009. «Ora» dice Pepi «si sono messi d’accordo». Ma le teste dove sono finite? Nel caveau di una banca. E Pepi vorrebbe organizzare una mostra.