Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 22 Lunedì calendario

ADRIANA ASTI - ROMA

Seduta in fondo, nella sala più interna di Babington’s, quasi sparisce dietro il piccolo tavolo tondo. E, nello spazio ovattato della celebre sala da tè di piazza di Spagna, Adriana Asti sembra ancora più minuta rispetto a come appare sul palcoscenico. Parla con briosa lentezza e il suo sguardo morbido comunica serenità mentre mostra lo stesso disincanto con cui da quasi mezzo secolo sta sulle scene. Attrice versatile quanto professionalee stimata, ha recitato con Visconti, Strehler, Ronconi, Pasolini, Buñuel e di lei e per lei hanno scritto Cesare Musatti, Natalia Ginzburg, Enzo Siciliano, Giuseppe Patroni Griffi. All’argentino Copi autore, attore e suo grande amico, è stata accanto in Les Bonnes di Jean Genet. Eppure, premette con un pizzico di civetteria, lei al teatro è arrivata per caso, senza fatica.

Come dire che «non ho dovuto chiedere mai». «Era il primo dopoguerra, avevo diciott’anni, abitavo a Milano, famiglia borghese. Vennero certi signori... c’era anche Romolo Valli. Volevano sapere dai miei genitori se volevo fare teatro.

Loro si misero a ridere; non ero mai stata capace neanche di recitare una poesia. Accettai, ma quasi subito presi a dire di voler lasciare il teatro, una voglia di fuga che in seguito avrei provato tante altre volte. Ma non l’ho mai fatto. Il teatroè come il deserto che avviluppa,è come il mare per i marinai, è impossibile andarsene. E, se non è mai stato la mia grande passione, è stato ed è tuttora la mia vita». Sto recitando anche adesso.

Con Bob Wilson in Les beaux jours, Giorni felici, di Samuel Beckett, uno spettacolo bellissimo. Ho debuttato in francese a Lussemburgo, poi c’è stata la tournée in Italia e ora, in settembre, andrò in Brasile e subito dopo a Parigi. A Roma arriveremo l’anno venturo, quindi ci sposteremo a Milano, Palermo, Catania».

Quando si parla della sua ultima sfida, la scrittura, i suoi occhi mobilissimi si accendono mentre mostra l’edizione francese del suo romanzo appena uscito in Italia per Piemme, La lettrice dei destini incrociati, già andato in libreria in Francia due anni fa con il titolo di Rue Férou. Una storia eccentrica e visionaria ambientata nella Parigi dove lei abita da oltre vent’anni con il suo secondo marito, Giorgio Ferrara (il primo era stato Fabio Mauri). «Non ho mai tempo per me, ma quello per scrivere l’ho trovato. stato bellissimo, si scrive da soli, e io amo stare da sola. La lettrice dei destini incrociati è Augusta, una donna particolare, sognatrice, ambigua. Racconto di lei e anche un po’ del mio quartiere e di molte altre persone che conosco realmente». Mette via il libro, mentre insiste sul bello della solitudine. Indugia a dire che soltanto nell’ozio non si annoia e che, tra la gente, spesso si sente male: «Sono stata in analisi per tanto tempo, chiesi al mio analista se di noia si può moriree la risposta fu sì. Non l’ho dimenticato».

Torna al teatro. «All’inizio mi affidarono piccole parti. La prima fu quella di un paggio nella Dodicesima notte. Avevo una sola battuta: "Vieni a me, vieni morte!". Non mi piaceva stare in scena, esibirmi. Però mi riusciva bene e fui scritturata dal Piccolo Teatro di Milano.

Recitavo con Strehler. Girammo per mezza Europa,e già volevo andarmene, non mi sentivo adatta. Fu Paolo Grassi a ricordarmi che avevo un contratto. Rimasi. Anche Lella Brignone mi esortò a restare e qualche tempo dopo andai via dal Piccolo con lei. E con la Brignone e con Luca Ronconi recitai in Santa Giovanna; facevo la parte dell’amante del marchese ed ero tutta scollata, con lo strascico e i capelli biondi. Stavo molto bene - sorride con una malizia senza età - Mi chiamò un produttore cinematografico ma, quando mi vide senza parrucca, sbottò: "Ma come,è tutto qui? Vabbè, non se ne fa niente". In quel periodo conobbi Luchino Visconti che mi offrì di recitare in Il Crogiolo, la commedia di Arthur Miller, con un ruolo importante, da prima donna».

Era il 1955. Qualche anno dopo arrivò Vittorio Gassman con Stasera si recita a soggetto di Pirandello. «Mi chiamò per interpretare Mommina, un grande personaggio che mi fece raccogliere applausi incredibili. Morivo in scena, e non c’è niente di meglio che morire in scena. Il successo fu enorme e io mi ritrovai un po’ più motivata, anche se, ogni tanto, sentivo ancora la voglia di smettere». Luchino Visconti le riaccende i ricordi più intensi. «Per Altri tempi di Harold Pinter, eravamo io, Valentina Cortese e Umberto Orsini. Alle prove, in casa sua, Luchino mi disse perentorio: "Tu sarai nuda", e io, "Come nuda?", e lui ancora, "Sì, sarai nuda". Mi fece tingere i capelli di biondo, e mi mise un accappatoio bianco. Io entravo, mi toglievo l’accappatoio e rimanevo completamente nuda. A quel punto Valentina e Umberto mi mettevano del talco su tutto il corpo con un piumino. All’Argentina venne a vederci tutta Roma, tanti attori... la Magnani, Sordi. E lì ho scoperto una cosa meravigliosa, che recitare nudi è magnifico. Nessuno ti ascolta, puoi dire tutto quello che vuoi e nessuno se ne accorge. Ero felice. Poi arrivò Pinter, da Londra. Vide la pièce e disse: "Come hanno ridotto il mio spettacolo!" Visconti non aveva usato i diritti che Pinter aveva dato in Italia e aveva coinvolto Gerardo Guerrieri per la traduzione. Un mese dopo lo spettacolo venne bloccato. Da Pinter».

«In seguito ci fu una pioggia di richieste per recitare nuda, e tutti a dire "Che vergogna!", perché ero considerata un’attrice intellettuale, ero amica di Moravia, di Pier Paolo Pasolini, di Gadda. Io, invece, mi spogliavo volentieri e, in quel periodo, ho fatto anche film magari non bellissimi, ma ero felice. Poco dopo mi chiamò Luis Buñuel per Il fantasma della libertà, un film dove dovevo apparire vestita solo con le mutande, calze a rete e scarpe con il laccio alla caviglia, mentre suonavo il pianoforte.

Ero molto preoccupata che, vedendomi nuda, Buñuel mi avrebbe mandato via. Quando lo incontrai avevo un impermeabile di Valentino, meraviglioso, tutto foderato di pelliccia. Lui venne in camerino e io lo aprii, sì proprio come quelli che si esibiscono. Lo feci per capire se potevo andare bene. Lui rimase stupefatto. Mi prese, mi mise al pianoforte e mi fece suonare un Preludio di Chopin, con il seno che dondolava.

Mentre ripeteva: " Je ne suis pas pornograph, je ne suis pas pornograph ". Il mio periodo di nudo finì lì.

 ondivaga Adriana Asti, vira tra umorismo e malinconia, festosità e distacco, in parallelo con il suo versatile talento. «Non faccio differenza tra cinema e teatro. Se sto facendo il cinema, mi piace il cinema. Il primo regista con cui ho lavorato credo sia stato Leopoldo Trieste per Città di notte, e poi Dino Risi mi fece un provino. E, nel ’69, girai Duet for Cannibals, un film svedese con la regia di Susan Sontag. In Italia uscì con il titolo La tarantola dal ventre caldo, che ero io.

Torna alla vena di mestizia. «Della mia vita passata ricordo poco, forse perché l’ho raccontata tanto quando ero in analisi. Anzi, quando è morto il professore (Cesare Musatti ndr ), ho smesso di ricordarla. Sono stata in analisi per trent’anni, lui è stato il mio punto di equilibrio, mi ha convinto a continuare a fare l’attrice». Prende a parlare della sua vita privata, «serena, appagata», della sua amica Franca Valeri («a lei mi sento molto legata»). Riprende: «Con mio marito Giorgio va avanti dagli anni Settanta e il nostro è un matrimonio felice. La mia è una solitudine anomala: viviamo lontano dal mondo che ci circonda, abbiamo tanti interessi in comune. Lui è il direttore del Festival di Spoleto ed è stato per quattro anni all’Istituto di cultura italiana a Parigi, dove viviamo dal 1987. Come il lavoro, anche Parigi è stata una scelta casuale. Il regista Alfredo Arias mi aveva chiesto di recitare in La locandiera di Carlo Goldoni.

E mi piacque talmente recitare in francese e stare lì, che ci sono rimasta. Da allora ho fatto la spola con la casa di Roma (adesso però la sta svuotando: "Ne voglio una più piccola") e con quella di Todi, dove ormai andiamo solo d’estate».

Sul cinema, in parte affonda in parte sorvola. «Ho lavorato con Pasolini, Monicelli, Bertolucci, con Visconti in Rocco e i suoi fratelli, e presto reciterò con André Techiné che è un grande regista francese. Il film è tratto da un romanzo francese, è con attori francesi, ma si svolge a Venezia. Inizieremo le riprese a maggio. Il cinema italiano mi ha spesso cercato per cose ripugnanti e la televisione per qualche fiction, ma quando penso che sono brutte cose, io dico no.

Quando invece si tratta di storie buone come La meglio gioventù, è un piacere».

Ottimista e vitale: «Che bellezza lo spettacolo precedente a quello che sto facendo ora, Stramilano, tutto su Milano, tante vecchie canzoni, tante poesie, tante stupidaggini. Ha avuto molto successo, è andato ovunque, anche a Parigi. Mi sono divertita a recitare. E a cantare. Sì, canto e anche in Oh, les beaux jours ho un pezzo da La vedova allegra.

E poi dipingo, non molto perché non ho tempo, ma ho fatto anche una mostra.

E non scrivo spesso per lo stesso motivo. Dimenticavo, ho fatto anche doppiaggio. Da ragazza mi chiamarono per dare la voce a Romy Schneider. Poi, negli anni, ho doppiato tante attrici, anche italiane. Allora non si usava parlare, bastava solo l’avvenenza: Claudia Cardinale, in La ragazza con la valigia; Lea Massari in Sogni nel cassetto di Castellani; Stefania Sandrelli in La bella di Lodi.

E tutto questo l’ho fatto con allegria. In fondo io sono allegra, ho una natura allegra».