Marco Carminati, Il Sole-24 Ore 21/3/2010;, 21 marzo 2010
LE PERIPEZIE DELLA FONTE GAIA
Una delle opere più importanti realizzate a Siena tra il 1400 e il 1450 è la celebre Fonte Gaia in Piazza del Campo, capolavoro dello scultore senese Jacopo della Quercia. Tutti gli italiani dovrebbero averla presente in virtù del fatto che la fontana è da decenni ospite fissa in tv: quando le dirette televisive trasmettono il Palio, la Fonte Gaia corrisponde esattamente all’unico rettangolo del Campo sgombro dalla folla vociante. Impossibile non notarla.
Realizzata al principio del Quattrocento, questa storica fontana rappresenta il primo capitolo della mostra «Le Arti a Siena nel Primo Rinascimento ». Il visitatore deve cominciare da lì, e dalle divertenti e documentatissime vicende della sua realizzazione, nonché dalle rocambolesche avventure della sua storia successiva.
Per erigere una fontana di rappresentanza nel cuore di Piazza del Campo, i maggiorenti della città pensarono di chiamare un illustre concittadino dotato di molte abilità e di un difetto: l’incostanza.Jacopo della Quercia era natoa Siena attorno al 1371 da un orafo di origine lucchese che si chiamava Pietro d’Agnolo di Guarnieri. Il soprannome «Della Quercia» lo trasse forse dal borgo della Quercia Rossa, alle porte di Siena, anche se altri pensano di metterlo in relazione con il nome della bisnonna dello scultore che – poveretta ”si chiamava«Guercia».
Jacopo della Quercia (o della Guercia) apprese l’arte scultorea nella bottega del padre e si fece subito onore: nel 1401 partecipò al concorso per le porte del Battistero di Firenze ( ma la sua formella è andata perduta), e pochi anni dopo, a Lucca, plasmò il suo primo strepitoso capolavoro: la Tomba di Ilaria del Carretto oggi conservata nel Duomo. Più di un secolo dopo, Giorgio Vasari fu in grado di definire bene le "novità" espresse dalle sculture di Jacopo: «Operava con maggiore studio e diligenza e cominciò a mostrare che ci si poteva appressare alla natura, e dare grazia al marmo, levando via quella vecchiaia che avevano insino allora usato gli scultori che facevano le loro figure intere e senza grazie, laddove Jacopo le fece morbide e carnose ». Se le sculture di Jacopo si fecero, con l’andar del tempo, sempre più morbide e carnose, il suo carattere prese pieghe ben più aspre e irsute. Ne seppero qualcosa proprio i senesi, i quali, richiamando l’artista da Lucca nel 1408 per affidargli la realizzazione della principale fontana della città, si misero in un bel vespaio.
Per inchiodare Jacopo alle sue responsabilità fu innanzitutto necessario fargli firmare non uno ma più contratti: il primo risale al dicembre 1408, e in esso il Comune di Siena incarica lo scultore di realizzare una nuova fonte in sostituzione di una trecentesca che si chiamava«Gaia».Tale nome ”secondo la tradizione – era stato coniato in occasione dell’inaugurazione della fonte nel 1343, quando la popolazione di Siena gioì immensamente alla vista dell’acqua zampillante.
Di lì a un mese ”siamo nel gennaio 1409 ”fu necessario disturbare di nuovo il notaio per far sottoscrivere a Jacopo un secondo contratto. Stavolta molto più puntiglioso ed esplicito al punto che lo scritto venne corredato da un disegno su pergamena di Jacopo per mostrare esattamente come dovesse essere composta la fonte. Per circostanze del tutto eccezionali, questa pergamena si è salvata fino a oggi, seppur tagliata in due parti e divisa in due musei, il Metropolitan di New York e il Victoria & Albert di Londra (per l’occasione sarà ricongiunta ed esposta in mostra). Le clausole del contratto con pergamena davano all’artista poco tempo per il lavoro: la fontana doveva essere compiuta in venti mesi a partire dall’aprile 1409. Jacopo, allora, pensò di alzare la posta e riuscì a estorcere un compenso maggiore rispetto al contratto precedente: si passò da 1.700 a 2mila fiorini.
Sappiamo per certo che l’artista intascò gli anticipi pattuiti ma si guardò bene dal rispettare i tempi e i modi di consegna. Il primo impedimento fu il difficile reperimento dei marmi che, di fatto, arrivarono a Siena non prima del 1413. Nel frattempo Jacopo si era allontanato dalla città per andare a lavorare a Lucca, scolpendo statue per la cattedrale e per San Frediano. Il Comune di Siena si seccò moltissimo e fece pressioni perché l’artista tornasse a lavorare a Siena, minacciandolo, tra l’altro, di ripigliarsi gli anticipi.
A convincere Jacopo a rientrare a Siena, tuttavia, non furono le minacce del Comune, bensì un losco scandalo che lo vide coinvolto a Lucca assieme al suo aiutante Giovanni da Imola. Nessuno sa con certezza quello che accadde (forse un furto, forse un torbido fatto di sesso). Sta di fatto che Jacopo riparò immediatamente a Siena mentre il suo aiutante restò intrappolato e finì nelle galere di Lucca.
Una volta a Siena, Jacopo si mise a lavorare alla Fonte Gaia. Tra il 1414 e il 1419 i lavori andarono speditamente pur registrando molte varianti strutturali che fecero assumere alla fontana la forma trapezoidale che vediamo ancor’oggi.I mutamenti in corso d’opera causarono l’aumento dei costi di oltre 200 fiorini, che Jacopo riuscì abilmente a farsi accreditare nonostante avesse accumulato un ritardo nella consegna di circa 10 anni.
La fontana però piacque. Jacopo della Quercia venne subito ribattezzato Jacopo della Fonte, anche se il nuovo soprannome non prese in realtà mai piede. La fonte si configurava come un ampio bacino circondato su tre lati da una balaustra.L’acqua sgorgava dalla bocca di alcune lupe (la lupa è il simbolo di Siena e allude alle vagheggiate origini romane della città). La balaustra appariva poi scandita da nicchie abitate da figure. Al centro c’era la Madonna (patrona di Siena) col Bambino circondata da due angeli e affiancata dal corteo delle virtù: a destra la Prudenza, la Fortezza, la Speranza, la Sapienza; a sinistra, la Giustizia, laCarità, la Temperanza e la Fede. C’erano anche due figure femminili a tutto tondo che sormontavano la balaustra alle due estremità. Sulla loro identità non si è mai stati sicuri: un tempo vennero ritenute allegorie della Carità, oggi sono identificate in Acca Larentia e Rea Silvia, ossia la nutrice e la madre di Romolo e Remo (altra allusione alle origini romane di Siena).
Modellate nel fragile marmo della Montagnola senese, le sculture e i bassorilievi della Fonte Gaia davano ben poco affidamento in quanto a eternità. E infatti cominciarono presto a deperire, subendo le ingiurie del tempo e della stupidità degli uomini. Sappiamo, per esempio, che molti dei danni inferti alle statue vennero causati dai tifosi del Palio. In occasione della corsa del 2 luglio 1743, alcuni scalmanati salirono sulle due statue collocate nel prospetto della Fonte Gaia per vedere meglio le gare dei cavalli. La statua di sinistra, già «maculata dal tempo e dai gieli », cadde improvvisamente trascinando con sé coloro che vi si erano aggrappati. Uno dei tifosi morì, altri due restarono gravemente feriti. E la statua, ovviamente, finì a pezzi. Nel 1759 lo scultore senese Giuseppe Mazzuoli la riaggiustò alla bell’e meglio e la ricollocò sul basamento della Fonte.
La situazione della Fonte Gaia si fece drammatica a metà Ottocento, quando ci si rese conto che rotture, sbriciolamenti, fessurazioni, lacune e danni vari consigliavano un drastico provvedimento: rimuovere la Fonte, portarla al coperto e sostituirla con una copia.
La cittadinanza senese rispose generosamente alla colletta pubblica promossa dalle autorità e garantì i fondi per la copia. Del lavoro venne incaricato lo scultore Tito Sarocchi. Costui realizzò dapprima i calchi di tutte le sculture, anche di quelle molto deperite. Quindi, dai calchi plasmò i modelli in gesso necessari per realizzare le sculture in marmo, integrando o creando ex novo le parti mancanti. Le due sculture a tutto tondo, ovvero la Rea Silvia el’Acca Larenzia, si rinunciò a replicarle.
La copia della Fonte Gaia venne messa in opera tra il 1867 e il 1868 ma non nella posizione originaria: parve che la fontana potesse meglio figurare sul Campo se posta esattamente in asse con la facciata del Palazzo Pubblico, ed esattamente a metà tra le uscite su piazza dei vicoli di San Pietro e di San Paolo. Per guadagnarsi la nuova posizione la Fonte venne fatta slittare di circa dieci metri. In occasione del rifacimento la fontana perse anche la sua funzione originaria: abbeverare senesi e forestieri. Per proteggere le statue, infatti, si costruì attorno una bella cancellata in ferro battuto che chiuse definitivamente il capitolo della pubblica utilità della fonte. Ma nessuno vi fece caso. Anzi. Fanfare, discorsi e tricolori segnarono la solenne inaugurazione del 24 gennaio 1869, e venne anche pubblicato un sontuosissimo volume celebrativo.
E le statue originali che fine fecero? Vagarono per 140 anni. Prima trovarono alloggio nel Museo dell’Opera del Duomo. Poi, nel 1904, in occasione dalla«Mostra dell’arte antica senese » vennero ricomposte nel Palazzo Pubblico sotto la Loggia dei Nove. Nel 1989 il complesso di Santa Maria della Scala venne designato come loro nuova e forse definitiva casa. Qui, le ammiriamo oggi, inserite nel percorso mostra, ancora stupiti – come lo era Vasari – dell’eccezionale carnosità del marmo.