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 2010  marzo 21 Domenica calendario

ANNE, STORIA DI UN TRADIMENTO

Si chiude oggi a Torino, presso il Museo diffuso della resistenza e della deportazione, la mostra itinerante
Anne Frank: una storia attuale, che illustra la vicenda di Anne – precisano i materiali esplicativi – «a partire dai racconti del suo Diario». Da Torino la mostra ripartirà verso altre città del mondo, per raccontare la tragica storia della Shoah concentrata in una tragedia di famiglia. Iniziativa benemerita, che tuttavia non dovrebbe esimere i visitatori più pensosi dal sollevare un problema generale che riguarda, appunto, il diario di Anne Frank.
Si tratta di una vexata quaestio , almeno in due ambienti tanto circoscritti quanto diversi fra loro: la cerchia degli storici e dei filologi specialisti delle testimonianze sulla Shoah; la cerchia degli imbrattacarte e dei fanatici negazionisti. Ma è una questione che non sembra essere stata esplicitamente posta, né adeguatamente chiarita, a uso del pubblico vasto – vastissimo, per fortuna – che continua a leggere il diario di Anne come il più straordinario dei testi "soggettivi" prodotti dalla Soluzione finale.
Messa giù dura, la faccenda va presentata così: chi si reca oggi in libreria e si compra (è un tascabile Einaudi, ultima ristampa 2009, prezzo 12,50) il Diario
di Anne Frank, non deve credere affatto alla quarta pagina di copertina, dove è scritto: «La prima edizione del Diario subì non pochi tagli, ritocchi, variazioni. Ora il testo è stato restituito alla sua integrità originale». Perché è pur vero che la prima edizione del testo subì tagli, ritocchi, variazioni; ma è assolutamente falso che il testo in commercio sia stato restituito alla sua integrità originaria. In realtà, il Diario che noi possiamo oggi far leggere ai nostri figli è il frutto di un lavoro di editing tanto capillare quanto discutibile, che lo rende un testo gravemente manipolato.
Diciamolo soppesando le parole, ma diciamolo chiaro: quale si presenta oggi in libreria, il libro-simbolo della Shoah costituisce un documento spurio. Peraltro, l’Einaudi non è in alcun modo responsabile di questa situazione. La casa editrice torinese è tenuta infatti a seguire le direttive della Fondazione Anne Frank di Basilea, depositaria dei diritti d’autore e di quant’altro riguardi la gestione del lascito di Anne medesima. Sicché il problema, come suol dirsi, sta nel manico: riguarda l’insieme delle scelte compiute dalla Fondazione Anne Frank a partire dalla fine degli anni Ottanta, cioè da quando la complicata vicenda dei manoscritti del Diario venne finalmente a galla.
Ricostruire nel dettaglio la storia dei manoscritti di Anne è un esercizio che rischia di sembrare noiosamente tecnico. A guardar meglio, si tratta invece di un esercizio appassionante. E necessario, sia per identificare la natura del pasticcio editoriale della Fondazione Anne Frank, sia per intendere il significato che Anne attribuì alla scrittura del suo diario durante il biennio di clandestinità nell’«alloggio segreto» di Amsterdam. Questo è un tipico caso in cui il mestiere dello storico deve consistere anzitutto nella capacità di maneggiare correttamente la "fonte": senza di che non si ha conoscenza del passato, ma chiacchiera sul passato o, peggio, abuso di quel passato.
Quando il padre di Anne, Otto Frank, unico membro della famiglia scampato allo sterminio, rientrò ad Amsterdam da Auschwitz nell’estate del 1945, la sua fedele segretaria – Miep Gies, scomparsa due mesi fa all’età di 101 anni – gli rimise non un testo continuo, redatto da cima a fondo, ma una massa di quaderni e di fogli manoscritti. Di fatto, gli consegnò non un diario, al singolare, ma dei diari, al plurale. Cioè il diario vero e proprio (gli studiosi lo chiamano «versione A»), tenuto da Anne per l’insieme dei venticinque mesi di clandestinità e di cui Miep Gies non aveva ritrovato,dopo l’arresto dei Frank per opera della Gestapo, che la metà della stesura. E inoltre una riscrittura quasi completa del diario propriamente detto (gli studiosi chiamano questa la «versione B»), cui Anne aveva lavorato nella primavera del ’44 con la speranza di pubblicarla come "romanzo" dopo la fine della guerra.
Avendo deciso di rendere noti i manoscritti della figlia, Otto procedette a un lavoro di editing sui materiali rinvenuti nell’Alloggio segreto, pubblicando la prima edizione del Diario nei Paesi Bassi del 1947: è questa l’edizione per così dire classica (gli studiosi la chiamano «versione C»), presto tradotta in numerosi paesi (in Italia, da Einaudi nel 1954) e circolante nel mondo in molti milioni di copie. Un’edizione dove Otto Frank si assunse la responsabilità di mascherare il palinsesto di scrittura della figlia, omogeneizzando in un unico testo continuo le versioni A e B del diario che, in realtà, differivano significativamente. In pratica, Otto cancellò tutto il lavorìo che Anne aveva compiuto per rielaborare il diario scritto di getto e per farne – se non proprio un romanzo ”comunque un prodotto in qualche modo letterario.
Trent’anni dopo, negli anni Settanta, i criteri di editing cui Otto si era attenuto nella pubblicazione dei manoscritti della figlia furono sottoposti allo scrutinio di un professore universitario francese, docente di letteratura a Lione, che stava per diventare il portavoce mondiale del negazionismo. Robert Faurisson era uno studioso già allora screditato, poi divenuto infrequentabile per avere messo in dubbio l’esistenza storica delle camere a gas; eppure, era un lettore di testi sufficientemente esperto per contestare la genuinità del documento che il mondo intero andava leggendo da decenni come il diario di Anne Frank.
Fu sotto la pressione delle critiche di Faurisson – ideologicamente capziose e moralmente abiette, ma filologicamente pertinenti – che negli anni Ottanta l’Istituto per la documentazione bellica dei Paesi Bassi dispose una perizia scientifico- legale, la quale accertò oltre ogni ragionevole dubbio l’autenticità dei diari di Anne. Ma dopo tale perizia, divenne impossibile continuare a mascherare il palinsesto redazionale dei diari stessi: non si poté più far finta che il diario fosse uno... Si dovette riconoscere che i diari erano due, quello vero e quello riscritto da Anne, più il terzo diario collezionato da Otto dopo la guerra. Perciò, nel 1986, la Fondazione Anne Frank pubblicò i
Diari (finalmente al plurale!) in un’edizione critica, successivamente aggiornata e tradotta in Italia da Einaudi nel 2002. Il pasticcio è venuto dopo. Per offrire ai lettori un testo fruibile, la Fondazione Anne Frank ha chiesto a una scrittrice tedesca di libri per bambini, Mirjam Pressler, un taglia e incolla ragionato delle versioni A, B e C. stata allora fabbricata una specie di «versione D», tradotta dal neerlandese in numerose lingue (in italiano, da Einaudi nel 1993) e presentata come l’edizione definitiva: la stessa edizione – salvo piccolissime differenze – che noi possiamo oggi comprare in libreria come tascabile Einaudi, sotto il titolo (ritornato al singolare!) di Diario di Anne Frank.
La fabbricazione era nuovamente un testo continuo, e dunque fittizio: dove nulla permette al lettore di riconoscere quanto proviene dalla versione A, quanto (ed è la maggior parte) dalla versione B, quanto dalla versione C, quanto infine dalla versione D, cioè dal computer di Mirjam Pressler anziché dalla penna di Anne Frank. Cancellate risultano le tracce di tutti gli interventi che Anne operò sul manoscritto negli ultimi mesi della sua vita. Cancellata risulta, quindi, una dimensione fra le più importanti e suggestive dell’intera tragedia di Anne: la sua maniera di ripensare se stessa, nel passaggio da diarista adolescente a donna scrittrice.
A questo punto, che fare? La soluzione non può consistere, evidentemente, in un invito a non leggere più il diario di Anne Frank. Piuttosto, merita di immaginare – anche nella prospettiva del giorno, abbastanza vicino, in cui i diritti d’autore entreranno nel dominio pubblico – una nuova edizione dei Diari: più fruibile dell’ardua edizione critica, ma più rispettosa della loro vicenda filologica. Per continuare a leggere Anne, senza più tradirla.