Tom Strandage, Il Sole-24 Ore 21/3/2010;, 21 marzo 2010
A CACCIA DEI SEMI CHE SALVERANNO IL PIANETA
giunta l’ora di dichiarare una tregua nella battaglia alimentare. Negli ultimi anni si sono moltiplicate in modo proporzionale tra gli ambientalisti e chi fa campagna politica le polemiche e le discussioni. Il cibo mette in rapporto diretto i consumatori più ricchi del mondo con i suoi contadini più poveri; le scelte alimentari sono sempre state un potente mezzo di espressione sociale; il cibo è un prodotto che si consuma, quindi mangiare qualcosa implica una profonda approvazione per quel dato cibo.
Queste dispute si sono riacutizzate negli ultimi mesi dopo i plateali aumenti dei prezzi dei generi alimentari verificatisi all’inizio del 2008. Tutte le parti in causa ritengono che il loro approccio sia quello migliore e più giusto per affrontare la crisi, ma lo spettro del cambiamento del clima fa sì che sia venuto il momento di superare queste controversie e individuare invece una sintesi tra i vari diversi approcci alla produzione alimentare.
Al contempo, la popolazione del pianeta si avvia a toccare nel 2075 il record demografico di 9,2 miliardi di persone, secondo le previsioni delle Nazioni Unite. Per barcamenarsi nell’imminente concomitanza di una crisi alimentare, una crisi del clima e una crisi demografica, è dunque necessario individuare nuove modalità risolutive per migliorare la produzione alimentare, riducendo al contempo le emissioni di gas serra prodotte dall’agricoltura (corrispondenti al 15% del totale) e garantire che ci sia sufficiente cibo per tutti.
Ciò implicherà in primis di dover ammettere che nessuno schieramento nell’attuale battaglia alimentare – la lobby del biotech, la massa del biologico, i fanatici del cibo local – possiede tutte le risposte giuste. Ogni approccio presenta pro e contro.
I sostenitori delle colture geneticamente modificate, per esempio, affermano che le biotecnologie possono migliorare i raccolti e renderli più resistenti alla siccità o alla presenza di sale nel terreno. Un giorno forse ciò diventerà praticabile, ma simili avveniristiche colture per il momento non esistono nemmeno.Chi propugna l’agricoltura biologica ne sottolinea il minor impatto ambientale e la ridotta dipendenza dai combustibili fossili. Tutto ciò è vero, ma i metodi organici di coltura possono richiedere terreni più vasti per produrre la stessa quantità di raccolto. I fanatici del cibo local, invece, fanno leva sulla riduzione delle emissioni di gas serra riconducibili ai trasporti, ma per alcuni generi alimentari di fatto le emissioni provocate dal loro trasporto sono una bazzecola rispetto ad altri fattori.
In sintesi, possiamo affermare che nessuno di questi approcci è la formula magica e risolutiva di tutti i problemi. La vera sfida, pertanto, è individuare il modo migliore per rendere sinergiche tutte queste modalità. Qualche compromesso si renderà necessario non soltanto per i diversi tipi di approccio al problema, ma anche al loro interno. Combinare tecniche biologiche di controllo degli infestanti con un uso prudente di sostanze chimiche, e praticare la coltura biologica accostandola ai fertilizzanti chimici potrebbero essere metodi per ottenere il massimo dalla sinergia di pratiche tradizionali e moderne. Simili tecniche non risulteranno gradite ai puristi del biologico, ma potranno ridurre drasticamente l’uso di sostanze chimiche, tagliare i costi e ridurre l’impatto ambientale.
Altro approccio promettente è l’"aratura convenzionale", insieme di tecniche di dissodamento sviluppate dagli anni 70 per ridurre al minimo l’aratura o eliminarla del tutto,per limitare quanto più possibile l’erosione del suolo e l’uso di combustibili.
Le tecniche di modificazione genetica e di coltivazione biologica dovrebbero poter andare bene d’accordo, qualora si riuscisse a creare nuovi semi che poi facciano a meno di fertilizzanti e sostanze chimiche, ma naturalmente i sostenitori di entrambe queste pratiche dovrebbero seppellire le rispettive asce di guerra. Altre idee innovative e sorprendenti sono state proposte, quali i progetti per coltivare prodotti alimentari con tecniche idroponiche all’interno di grattacieli di vetro (talora in modo biologico).
Occorre mettere in disparte qualsiasi tipo di fondamentalismo alimentare, e trovare nuovi compromessi. Il nostro pianeta si trova ad affrontare una sfida non facile tra il fondamentalismo che ambisce a un ritorno tradizionale alla terra da una parte e una cieca fiducia nelle nuove tecnologie dall’altra. Il futuro della produzione alimentare e il futuro del genere umano sicuramente dipendono da un ragionevole compromesso.