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 2010  marzo 21 Domenica calendario

3 articoli – IL MONITO DEL PAPA AI PRETI PEDOFILI «RISPONDERETE A DIO E AI TRIBUNALI» – «I am truly sorry »

3 articoli – IL MONITO DEL PAPA AI PRETI PEDOFILI «RISPONDERETE A DIO E AI TRIBUNALI» – «I am truly sorry ». Benedetto XVI si rivolge alle vittime dei preti pedofili, «avete sofferto terribilmente e ne sono veramente dispiaciuto», esprime «vergogna e rimorso» e parla a tutti i fedeli «con umiltà» e «l’affetto di un cristiano come voi, scandalizzato e ferito per quanto è accaduto nella nostra amata Chiesa». E al di là della solennità delle espressioni – «dovrete rispondere davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti», dice ai responsabili – l’essenziale è il lucido realismo del Papa nell’affrontare la crisi dei preti pedofili, «nessuno s’immagini che questa penosa situazione si risolverà in breve tempo». Nella lettera ai cattolici irlandesi, un testo che non ha precedenti, Ratzinger non attenua mai la gravità dello scandalo e arriva a dire che abusi e silenzi «hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione». Il documento che a mezzogiorno di ieri ha fatto il giro del mondo «non cerca scusanti», considera padre Federico Lombardi. Certo la pedofilia, chiarisce il Papa, «non è un problema specifico né dell’Irlanda né della Chiesa». Ma Benedetto XVI si concentra sulla Chiesa e i suoi «fallimenti», l’unica condizione per una «rinascita e rinnovamento spirituale» è la chiarezza: «Non posso che condividere lo sgomento e il senso di tradimento che molti di voi hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati». Il Papa si rivolge a tutti, compie un’analisi delle cause e dispone provvedimenti: a cominciare dalla « visita apostolica», un’ispezione vaticana nelle diocesi coinvolte per stanare tutte le responsabilità. Trovare «rimedi efficaci» significa capire perché è successo. Benedetto XVI condanna l’omertà, «c’è stata una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali». E tra le cause elenca le «procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati» e una «insufficiente formazione» nei seminari e noviziati, e la «tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità». Risale anche alla «secolarizzazione» negli «ultimi decenni», all’insufficiente «riferimento al Vangelo», e allude a una sorta di lassismo giuridico dopo il Concilio: «Il programma di rinnovamento proposto fu a volte frainteso» e «vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari». Ma è l’attenzione alle vittime, «vi chiedo di non perdere la speranza», il cuore della lettera. Benedetto XVI ricorda di averne già incontrate e si dice «disponibile a farlo in futuro». Nelle sue parole si riflettono i loro racconti: «So che alcuni di voi trovano difficile anche entrare in Chiesa». E ancora: «Avete sperimentato che, quando eravate sufficientemente coraggiosi per parlare, nessuno vi ascoltava. Quelli di voi che hanno subito abusi nei convitti devono aver percepito che non vi era modo di fuggire dalle sofferenze». Ai colpevoli sono rivolte le parole più forti, «avete rovesciato vergogna e disonore sui vostri confratelli», Benedetto XVI li invita a un «esame di coscienza» e a costituirsi: «La giustizia di Dio esige che rendiamo conto delle nostre azioni senza nascondere nulla. Riconoscete apertamente la vostra colpa, sottomettetevi alle esigenze della giustizia, ma non disperate della misericordia di Dio», purché ci sia «pentimento sincero». Quanto ai vescovi, il Papa ha studiato con attenzione il rapporto go- vernativo su abusi e coperture: «Alcuni di voi e dei vostri predecessori hanno mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme di diritto canonico codificate da lungo tempo». E un punto su cui il Papa insiste: le norme c’erano e non vietavano le denunce, «continuate a cooperare con le autorità civili nell’ambito di loro competenza». Quanto alla prevenzione, si è compiuta «una gran mole di lavoro» nel mondo, anche se bisogna «migliorare e aggiornare» le «procedure già esistenti». E poi ci sono le «iniziative concrete», essenzialmente spirituali, come l’adorazione eucaristica e l’anno penitenziale: ogni venerdì preghiere, digiuni e opere di misericordia «per ottenere la grazia della guarigione e del rinnovamento». Oltre alla visita apostolica e a una «missione» per vescovi, preti e religiosi: esercizi spirituali e preghiera. La lettera incoraggia i tanti sacerdoti per bene e guarda al futuro: guarigione, rinnovamento, riparazione. Il cardinale Sean Brady, primate d’Irlanda, invita a pregare perché sia «l’inizio di una grande stagione di rinascita e di speranza». Sapendo che sarà difficile. Gian Guido Vecchi PERCHE’ NON CHIEDE «PERDONO» - Sullo scandalo della pedofilia il Papa – con questa lettera – ha detto tutto e di più ma non ha chiesto perdono come per esempio avrebbe voluto Hans Kueng: e c’è una ragione, anzi due. Egli non ama il «mea culpa» come genere letterario, al quale invece era portato il predecessore. Inoltre ritiene giusta la richiesta di perdono da parte del Papa solo quando si tratti di un fatto del quale sia responsabile l’intera comunità cattolica. E non è questo il caso. Nel documento di ieri egli esprime «grande preoccupazione» e «senso di tradimento», «vergogna», «rimorso». Si dice «profondamente turbato», «scandalizzato e ferito». Parla di «crimini abnormi», «conseguenze tragiche», «fiducia tradita», «dignità violata», «disonore», «danno immenso», «oltraggio», «indignazione», «tristezza», «lacrime». Davvero non c’è da aspettarsi altro sul piano delle parole. Ma c’è un passo rivolto alle «vittime» in cui dice: «A nome della Chiesa esprimo apertamente la vergogna e il rimorso che tutti proviamo». Qui viene spontaneo immaginare che papa Wojtyla avrebbe detto: «A nome della Chiesa io chiedo perdono». Interrogandoci sul perché non lo dica il Papa teologo, conviene ricordare che egli da cardinale assecondò il «mea culpa» wojtyliano e da Papa si è più volte richiamato a esso. Anzi in due occasioni l’ha ripetuto con le parole del predecessore, il 12 febbraio 2009 e il 17 gennaio scorso, con riferimento alla «ingiustizia» che il popolo ebraico ha «subito» nella storia. Ma se di quell’ingiustizia la Chiesa e il papato possono riconoscersi corresponsabili, dello scandalo della pedofilia no: questa è sotto traccia l’argomentazione del Papa teologo. Gli «abusi» sessuali dei preti sono un «tradimento» di alcuni e non una responsabilità comune. Luigi Accattoli ALLE VITTIME NON BASTA «CI ASPETTAVAMO CRITICHE PIU’ FORTI» - « Desidero dire in modo chiaro e inequivocabile che la Chiesa cattolica ai più alti livelli ha sempre saputo degli abusi sessuali... Abbiamo perseguito una deliberata politica di copertura, protetto i colpevoli per evitare scandali, senza pensare alla sicurezza dei bambini... Per questo sono profondamente dispiaciuto». La lettera che aspettavano non è arrivata. Venerdì era stata l’associazione «One in Four» a condensare in un finto messaggio papale le aspettative delle vittime irlandesi, deluse ieri dalle parole di Benedetto XVI. Chi ha subito le violenze accusa il Pontefice di aver sorvolato sul ruolo del Vaticano in decenni di insabbiamenti sottolineando invece le responsabilità dei singoli, figure di secondo piano inserite in un contesto di trasformazioni economico-culturali e secolarizzazione. Nessun diretto riferimento alle indagini governative sugli scandali di pedofilia, dal Rapporto Ferns del 2005 ai due fondamentali rapporti del 2009, «Ryan» e «Murphy», che hanno accertato centinaia di casi e l’esistenza di un radicato sistema di coperture. «Una lettera pastorale non era lo strumento appropriato – dice al Corriere Andrew Madden, l’uomo che nel 1995 raccontò la propria storia di abusi aprendo la stagione del sospetto e della ricerca della verità ”. Il Papa avrebbe dovuto rivolgersi all’intera società irlandese, non solo ai cattolici. E dare per acquisite le conclusioni delle indagini, solo da lì si può ripartire». Il testo, che oggi sarà letto in tutte le chiese del Paese, lascia aperta la possibilità di un incontro tra il Pontefice e le vittime – forse in occasione del Congresso eucaristico del 2012, è l’ipotesi che circola sulla stampa locale. «Il messaggio riafferma che le gerarchie rispondono prima di tutto al diritto canonico – dichiara Mary Collins, in prima linea nella battaglia per un rinnovamento radicale della Chiesa irlandese ”. A Benedetto XVI chiederei cosa c’entra questa legge con Gesù, perché la Chiesa non riesce a tornare a Cristo». «Adesso comincia la fase più delicata – ci dice John Kelly, capo dell’associazione Irish Soca, che accoglie con "cauto ottimismo" il messaggio del Papa ”. La lettera ha un linguaggio criptico, non estende il discorso agli altri Paesi dove sono stati commessi abusi ma utilizza una parola forte, "colpa", e intima ai vescovi di sottomettersi alla giustizia secolare. A quale giustizia si riferisce? Parla di cooperazione ma non di inchieste penali. Chiediamo un’affermazione chiara del primato dell’autorità civile sul diritto canonico, aspettiamo di vedere come la Chiesa riuscirà a garantirlo». Di «cammino lungo e doloroso» ha parlato in serata l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin, capofila dei progressisti negli schieramenti che si sono delineati in questi mesi nell’episcopato nazionale. «Questo cammino potrà dirsi compiuto solo quando la nostra miseria umana incontrerà la pietà liberatrice di Dio» ha detto Monsignor Martin ai fedeli raccolti nella chiesa di Santa Maria, la «Pro-cattedrale», così chiamata in memoria delle persecuzioni subite nei secoli dai cattolici irlandesi. Maria Teresa Natale