Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 20/03/2010, 20 marzo 2010
ASPETTANDO VENERE
Argenti di sfolgorante bellezza: così apparvero a Malcom Bell III, l’ archeologo della Virginia che li scoprì per la prima volta nel 1987 nelle vetrine del Metropolitan Museum di New York. «Vedendo quel tesoro ho riconosciuto subito la corrispondenza dei pezzi esposti con quelli descritti sei anni prima a Morgantina e ho informato le autorità italiane, ma le richieste per la sua restituzione all’ epoca non hanno avuto esito positivo». Così lo studioso, che ieri si trovava a Roma per festeggiare l’ apertura della mostra a Palazzo Massimo con i sedici argenti finalmente restituiti alla Sicilia, ricorda quello che fu l’ inizio di un lungo percorso. «Quando li vidi a New York, questi oggetti mi apparvero bellissimi, ma non parlavano, non avevano significato. Perché non si conosceva il luogo dove erano stati scavati, a chi erano appartenuti e soprattutto come erano riusciti ad arrivare intatti fino ai nostri giorni». Quello di Morgantina è infatti uno dei pochi tesori della Sicilia ellenistica sopravvissuti, tra i tanti celebrati dagli autori antichi. Molto ambiti come bottino di guerra, i manufatti in metallo erano i primi a essere depredati e in genere venivano fusi, anche per poterli trasportare più facilmente. I sedici argenti, in mostra a Roma fino al 23 maggio e poi destinati alle teche del museo di Aidone, sono in argento dorato. Alcuni destinati al simposio, come le due grandi coppe con piedi a forma di maschere teatrali che dovevano servire a mescolare il vino con l’ acqua. O come la brocchetta, l’ attingitoio, le quattro coppe con raffinati medaglioni sul fondo e le decorazioni a reticolo, la tazza a due anse. Altri quattro manufatti sembrano invece destinati a una funzione sacra, anche per la presenza di dediche votive. Si tratta di un piatto ombelicato, del tipo usato di solito per versare liquidi durante la celebrazione di sacrifici, di un piccolo altare cilindrico decorato con bucrani (teschi di bue) e ghirlande, e di due contenitori per profumi con coperchio decorato a rilievi figurati. Oltre a questi oggetti funzionali, il tesoro comprende una coppia di corna bovine, molto probabilmente elementi decorativi di un elmo da parata, e un medaglione con la figura di Scilla, che doveva appartenere a una coppa o a un piatto. Finemente cesellata, la ninfa con le gambe deformate da musi di cani feroci, che secondo la leggenda si contendeva con Cariddi lo stretto di Messina, appare nell’ atto di lanciare un sasso. Immagine che è stata interpretata come allusione al «naufragio» che l’ eccesso di bevute potrebbe procurare. Sugli argenti sono state puntinate annotazioni in lingua greca, eseguite nel corso del tempo e nei passaggi di proprietà. Alcune iscrizioni indicano il peso degli oggetti, altre hanno rivelato il nome di un proprietario, Eupolemos. Che potrebbe essere anche il proprietario della casa in cui il tesoro è stato ritrovato. «Benché il nome sia documentato altrove - fa sapere Malcom Bell - un Eupolemos è noto anche a Morgantina come un cittadino che nella seconda metà del III secolo a. C. aveva acquistato un terreno nelle vicinanze della casa dove fu trovato il tesoro». L’ ha scoperto lui stesso, dirigendo gli scavi regolari nel sito siciliano, ripresi dopo che i carabinieri della Tutela del patrimonio erano riusciti a scoprire dai loro informatori il punto preciso del ritrovamento. Gli archeologi guidati da Bell hanno riportato alla luce, fra le strade dell’ impianto ortogonale della città antica, un’ abitazione della seconda metà del IV secolo a. C., (entrambe le piantine, della città e della casa, sono esposte nella mostra romana) già derubata dagli scavatori clandestini. Nella fossa sotto il pavimento è stato riconosciuto il nascondiglio del tesoretto: vi era rimasta una moneta di bronzo coniata tra il 216 e il 212 a. C. che attesta la probabile data del seppellimento. Una seconda moneta, cento lire del 1978, ha documentato invece il periodo della frequentazione dei clandestini. così che gli argenti hanno cominciato a «parlare». Ma perché raccontino tutta la storia bisognerà ancora scavare a lungo. «Resta da stabilire, tra le altre cose, se questi argenti siano tutti di origine siciliota o vengano anche da fuori, per esempio da Taranto», precisa Bell. E c’ è ancora tutto da scoprire intorno alla celebre Venere di Morgantina, la statua restituita dal Getty Museum, che tornerà in Italia a gennaio del 2011. Stefano De Caro, direttore generale per l’ antichità, immagina di presentarla con una grande mostra per metterla a confronto con le numerosissime statue di Afrodite presenti nei musei italiani. Bell spera che nel frattempo i carabinieri individuino il punto preciso in cui i clandestini hanno dissotterrato la scultura, che ha testa e arti in marmo e il corpo in calcare, lo stesso calcare che si trova nella zona tra Ragusa e Modica. E si potrebbe appurare che non di Venere si tratta, ma di Demetra, come sostiene l’ archeologo Antonio Giuliano. O forse di Proserpina, come invece ipotizza un altro archeologo, Clemente Marconi, che ha avuto l’ incarico dell’ edizione scientifica della statua. Intanto per lei Aidone sta preparando un altro museo, la chiesa di San Domenico, di impianto quattrocentesco: per restaurarla il ministero dei Beni culturali ha appena stanziato un milione e settecentomila euro.
Lauretta Colonnelli