Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 20 Sabato calendario

«I PM NON AVEVANO NULLA. MIO MARITO GIORGIO SI E’ UCCISO INUTILMENTE»

Svegliarsi, parlare, lavorare, cucinare, fare la lavatrice, prima o poi il dolore passerà. Finora non è successo. Ma un giorno, forse. «Oggi tante visite, tante chiamate. A che serve? Due persone mi hanno abbracciato dicendo che erano amiche di Giorgio, che gli dispiace di aver detto e scritto certe cose. Davvero? E in questo anno e mezzo, dov’ erano, questi presunti amici? Che facevano?». Prima del 29 novembre, e dopo. Lo ripete il figlio più grande guardando l’ erba che sta ricominciando a crescere nel giardino, lo ripete ogni due minuti sua madre Mimma, che non vuole essere definita «vedova Nugnes» perché anche quello è un modo per inchiodare tutti quelli che restano. I sopravviventi, come dice lei. C’ è un prima e c’ è un dopo in questa villetta al fondo di una strada vicinale, ai bordi del quartiere di Pianura. Non può essere altrimenti. L’ assessore Giorgio Nugnes si ammazzò nella tavernetta, giù nel piano interrato. Era stato già sepolto da una valanga di accuse, quella di aver partecipato agli scontri contro l’ apertura della discarica, e soprattutto lo stillicidio quotidiano del suo coinvolgimento in Global service, la madre di tutte le inchieste, il lavacro che avrebbe ripulito Napoli da ogni sporcizia. Perquisito, interrogato, pedinato. Cercò solidarietà tra amici e compagni di partito. Non la trovò. Stava venendo giù tutto, ognuno per sé. «Mi hanno detto che devo parlare, perché non si ripeta quel che è successo con mio marito. Tranquilli, ho risposto. Giorgio era uno scugnizziello di Pianura divenuto assessore, uno estraneo al ceto dirigente di questa città. Non si ripeterà, mi pare evidente». Ieri un tribunale ha stabilito che abbiamo scherzato. Tutti assolti, due condanne lievi. I quattro assessori comunali arrestati nel megablitz ne escono immacolati. Dovevano essere cinque. Uno non ce la fece. «Vuole la frase da titolo? Eccola. Non è morto solo Giorgio, quel giorno. morta una intera famiglia, che adesso sta facendo una gran fatica a resuscitare. Non so che farmene di questa assoluzione postuma. Nemmeno per un minuto ho mai desiderato che condannassero tutti. Perché sperare che passassero un guaio? Sull’ onestà di mio marito non avevo dubbi. Ma se almeno Giorgio fosse stato colpevole, adesso avrei una risposta. Invece niente, nemmeno quella». C’ è una dignità obbligata nelle parole di Mimma Costantino, maestra elementare, vedova, madre di due figli. La gestione del «dopo» ha sempre avuto un tratto di riservatezza. Nessun urlo davanti alla solitudine siderale che ha avvolto la sua famiglia e il ricordo di suo marito, nessun proclama. Neppure oggi, che potrebbe. «Non c’ era nulla, in quella inchiesta. Non c’ erano tangenti, niente. Giorgio ne era convinto. Eppure era pedinato, intercettato, fotografato, riceveva messaggi in codice. I pubblici ministeri, la Dia, la Digos, la Finanza sulle sue tracce. Manco fosse Dillinger. E adesso mi chiamano per dirmi che è stata fatta luce. Ma pensate che siamo stupidi? La luce c’ era già un anno fa. I magistrati, campioni della verità assoluta, si sono mai chiesti come mai questo poveraccio di Nugnes, che forse era il più pulito di tutti, sia morto con quattro lire in banca? Dov’ erano queste tangenti? Magari ci fosse stato un reato: non sarebbe morto invano». La rabbia è come il dolore. Un fatto personale, da non esibire. «Mi trattengo. Non voglio instillare odio nei miei figli. Puro Kafka, no? Mancava il reato, ma qualcuno, intanto, perseguitava il signor Nugnes... Prima che morisse, andammo insieme all’ Istituto Pascale, per fare dei controlli. Vedemmo davanti a noi un gruppo di persone in attesa di sottoporsi a chemioterapia. Ci guardammo in faccia e tornammo indietro. Mio marito avrebbe potuto telefonare per passare davanti, fare queste cose da potente che a Napoli funzionano sempre. Non gli passò per la testa, mai. morto perché era un uomo semplice, che non si capacitava di quel che gli stava accadendo. Si sentiva perseguitato ingiustamente, e aveva ragione. Allora e oggi, che ormai è troppo tardi. I magistrati? Non penso che pagheranno. E non farò nulla, di pubblico o privato, contro di loro. Non sono Don Chisciotte. Sono una madre che cerca di tenere insieme la famiglia, vivendo del suo stipendio e della pensione di reversibilità del coniuge. Non siamo ricchi, non lo siamo mai stati, ma non andiamo in giro con le pezze al culo. Non so gli altri, ma noi ci teniamo davvero, alla dignità».
Marco Imarisio