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 2010  marzo 20 Sabato calendario

NELLA GIUNGLA ALLA RICERCA DELLO «SBALLO SUPREMO»

«Caro Allen, ieri sera ho preso l’ultima dose di yage che avevo portatocon meda Pucalpa. Inutile tirarmela dietro negli Usa. Tiene pochi giorni. Stamattina ancora sballato. (...) Lo yage è un viaggio spazio-temporale. Sembra che la stanza si scuota e vibri tutta. Il sangue e la materia di molte razze, neri, polinesiani, mongoli delle montagne, nomadi del deserto, levantini poliglotti, indios - razze non ancora concepite e non ancora nate, combinazioni non ancora avvenute attraversano il corpo».
 il 10 luglio del 1953. William Burroughs, autore di La scimmia sulla schiena e Checca, colui che diventerà l’ispiratore d’un intera generazione di poeti beat, si trova a Lima. Scrive all’amico Allen Ginsberg, il poeta che sarà ricordato come il migliore nella generazione dei Gregory Corso e dei Lawrence Ferlinghetti. L’argomento di discussione - non stupisce - è una droga. Si chiama yage e dovrebbe essere «il più pazzesco degli allucinogeni», lo «sballo supremo ». La storia di questa pianta «meravigliosa» si trova in Le lettere dello yage, un volume che raccoglie la corrispondenza fra i due scrittori tra il 1953 e il 1960, quando sia Allen che William intrapresero spedizioni in Sudamerica per procurarsi il vegetale stupefacente. Il libro, uscito da Sugarco l’ultima volta nel 1994, ritorna ora in una bella edizione Adelphi (pp. 220, euro 12), con una esauriente introduzione di Oliver Harris.
Si tratta di un epistolario, ma sembra di leggere un romanzo. Burroughs, in fuga dal Messico dove aveva ammazzato la moglie sparandole in testa (giocavano al tiro al bersaglio: lei si metteva oggetti sulla testa e lui sbagliò mira), si reca in Amazzonia nel ”53 per ottenere notizie sulla favolosa «liana» che dovrebbe permettergli di approfondire le sue esperienze psichedeliche. Già in una lettera dell’anno prima scriveva: «Non c’è dubbio. Lo yage è un affare dalle implicazioni straordinarie e io sono l’uomo in grado di apprezzarlo». Non c’è dubbio che William avesse grandi competenze in materia di droghe, ma l’av - ventura nella giungla si rivela quasi comica. Anche perché, per prima cosa, Burroughs provvede a sballarsi con altre sostanze: «Mi sono imbattuto nel mio vecchio amico Jones il tassista», scrive da Panama, «che mi ha venduto un po’ di coca tagliata alla cazzo di cane. Per poco non soffocavo a furio di sniffare abbastanza di ”sta merda da pigliarmi uno sballo. Panama è così. Nessuna meraviglia se vien fuori che riempiono le troie di gommapiuma».
La prima volta che si imbatte nello yage, poi, sta malissimo. Glielo prepara un brujo, uno stregone. Personaggio non proprio affidabile. «Sono stato truffato dagli stregoni», scrive. E spiega: «L’ubriacone, bugiardo e scansafatiche più incallito del villaggio ne è immancabilmente anche lo stregone». La dose è eccessiva, e William non la regge. Poi ci fa l’abitudine e scopre che questa droga meravigliosa assomiglia alla marijuana e di certo non risolve i problemi che si porta dietro (come chiaramente non avevano fatto neppure eroina, acidi e quant’altro). In compenso, a Burroughs capitano mille altre sventure. Breve riassunto in una missiva. Sono stato, dice, «messo in galera dalla pula, ripulito da un puttano del posto. (...) Alla fine lamalariami hamessoKO». Tuttoquesto perché Will non ha perso il vizio di pagare i ragazzi per ottenere prestazioni sessuali. E questi gli rubano qualsiasi cosa e gli attaccano pure malattie.
A Ginsberg, che intraprende la sua avventura sette anni dopo, non va molto meglio. Allen si trova in difficoltà. Scrive all’amico, nel giugno del 1960, dopo aver provato lo yage: «Questa alterazione quasi schizofrenica della coscienza fa paura. (...) Avevo in programma diriportarne un po’a New York, ma ho quasi paura di farlo - non sono certo un curandero, da solo sono perso e non ho intenzione di passare ad altri (...) un incuboche non riesco a fermare». Sembra di capire che ”la droga perfetta” non solo non esiste. Ma se anche esistesse, non servirebbe a nulla. Di tutta la ricerca, che ha dell’epico, rimane questo pugno di lettere assieme a qualche manoscritto sparso di Burroughs. La vera esperienza è leggere il resoconto di questa vicenda come uno - splendido - libro d’avventure.