Giorgio Dell’Arti, La Stampa 20/3/2010, pagina 84, 20 marzo 2010
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 8 - E’ SCOPPIATA LA RIVOLUZIONE
La Rivoluzione a Torino?
Sì, precisamente, il conte di Cavour era iscritto all’Accademia da pochi mesi e a Torino scoppiò la rivoluzione. Possibile che non lo sappia?
Mi giunge nuovissima.
Perché ho adoperato la parola «rivoluzione». Se avessi detto «moti»…
I moti! Erano anni che non sentivo questa parola…
I moti del ”20. I moti del ”21…
I moti del ”20, i moti del ”21! i moti del ”30, i moti del ”31! Ciro Menotti, i fratelli Bandiera, Silvio Pellico e Pisacane. Mamma mia, due palle mostruose.
Lei è evidentemente un cretino.
Come sarebbe…
Sì, scusi, lei non sa vedere, dietro parole troppo abusate o nomi e cognomi troppo sentiti, degli esseri umani veri, per esempio Ciro Menotti, un uomo ricco, intelligente, con moglie e quattro figli, che si lascia strangolare da una corda per qualcosa in cui crede.
Occhèi, occhèi, calma, chiedo scusa, in fondo se sto qui è perché voglio saper qualcosa, mi dispiace per Ciro Menotti, per Pisacane e per tutti gli altri, ammetto che, effettivamente, non ci si pensa mai. Non sarà anche che è passato troppo tempo? Troppe cose sono accadute da allora, questo che lei racconta è un altro mondo. Erano veramente degli italiani, quelli? Ciro Menotti, ma guarda…
Che poi Ciro Menotti non c’entra niente, lo impiccarono dieci anni dopo. Adesso invece c’era stato un moto a Napoli. Tra il 1° e il 2 luglio del 1820 trenta borghesi e 127 militari avevano marciato da Nola ad Avellino esibendo una coccarda azzurra, nera e rossa…
Cioè?
Erano i colori della Carboneria…
La Carboneria! Siamo tornati veramente a scuola.
La Carboneria era una delle tante società segrete.
Ma perché avevano questa mania di fare le società segrete?
Per imitazione della società segreta più importante, cioè la Massoneria (che esisteva da un sacco di tempo). E perché il rovesciamento di un regime spingeva i nostalgici del passato a non smettere di vedersi, naturalmente di nascosto. Quindi i carbonari erano patiti di Bonaparte oppure nostalgici della Rivoluzione oppure incazzati generici che s’attaccavano a qualunque umor nero di passaggio, per esempio l’oppressione dello straniero oppure l’oppressione del tiranno, o anche, certamente, la patria. La «patria» era poi roba ottima per commuoversi, anche se in fondo un po’ remota. Sembrava più a portata di mano, e più simile all’Ottantanove, la rivoluzione istituzionale, cioè basta con i re assoluti, dateci la Costituzione.
Anche qui, a costo di farmi prendere nuovamente a parolacce, le chiedo che cosa gliene importava alla fine della Costituzione.
Ma allora non ha capito l’assolutismo. Decideva tutto il re, consultandosi al massimo con qualche amico suo, metteva tasse, esigeva pedaggi, ti mandava a cercare se eri rimasto troppo chiuso in casa, ti faceva penare se volevi farti un viaggio all’estero (legga, su questo, l’autobiografia di Vittorio Alfieri), ti perseguitava a suo piacimento se smettevi di piacergli. E non contavi niente, non c’era nessun modo di far qualcosa se non arruffianandoti a quelli che stavano a corte. Scusi, i poveri avevano il problema di sopravvivere, e della tirannide gliene fregava poco. Ma tra i ricchi e gli istruiti ce n’erano molti che di un sistema simile non ne potevano più. A Napoli ci fu quindi questa marcia di 150 persone comandate da Guglielmo Pepe…
Centocinquanta? Vorrà dire 150 mila?
No, no, proprio 150. Guardi che erano pochissimi, una minoranza sparutissima, una volta che a Torino c’era stata una riunione segreta il conte Avogadro - massone - aveva esclamato: «Pensa un po’, non siamo in grado di portare in piazza Castello più di settecento persone e poi parliamo delle sorti della patria». Quei pochi però bastavano a far paura. A Napoli, il re terrorizzato concesse subito la Costituzione. A Torino la cosa si seppe, creò fermento e speranza, quattro studenti si presentarono al teatro d’Angennes con i berretti rossi e neri, i carabinieri ne arrestarono due, il giorno dopo fu occupata l’università, poi fu presa la cittadella di Alessandria, poi Santorre di Santa Rosa guidò i costituzionali su Novara. Qui trovarono effettivamente gli austriaci, che li rimandarono a casa. Vittorio Emanuele I, non volendo sparare sui piemontesi, aveva abdicato in favore del fratello Carlo Felice. Carlo Felice in quel momento era a Modena, la reggenza era stata affidata al giovane Carlo Alberto. Il giovane Carlo Alberto, terrorizzato dalla folla che gli gridava da sotto le finestre, aveva concesso la Costituzione. Tornato da Modena, il nuovo re aveva abrogato tutto e spedito il nipote in esilio a Firenze. Poi, di 93 condannati a morte, ne aveva fucilati appena tre. Anche i costituzionali erano stati aiutati a scappare da tutti quanti, amici e nemici. Michele di Cavour aveva prestato 5.417 lire a Santa Rosa per farlo imbarcare a Genova sapendo che poi, con l’aiuto dei decurioni, avrebbe recuperato i soldi dalle casse della città. Persino Carlo Felice, poi, per aiutare gli esuli condannati a morte, mandò loro dei soldi per aiutarli. Alla fine tutto s’aggiustava, anche a quel tempo. Saranno anche stati piemontesi, ma erano pur sempre italiani.