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 2010  marzo 20 Sabato calendario

BASTA GUIDE E VELINE VOGLIO SAPORI VERI

I festeggiamenti per l’Ottantesimato di Gualtiero Marchesi, decano degli chef italiani, si sono aperti ieri sera al Teatro alla Scala con una cena a sorpresa, presenti 250 amici e i giovani di successo che sono stati suoi allievi: Carlo Cracco (ristorante a Milano), Enrico Crippa (ad Alba), Paolo Lopriore (a Siena), Davide Oldani (a Cornaredo). Ai tavoli, il mondo della cultura meneghina che dal 17 aprile celebrerà gli 80 anni del maestro con una grande mostra al Castello Sforzesco, qualche nome della finanza come Francesco Micheli, e altri cuochi, da Gianfranco Vissani a Ezio Santin e Alfonso Iaccarino. Il Divin Gualtiero, commosso, come sempre ironico, pur appagato, non ama soltanto le celebrazioni. Vuole togliersi qualche sassolino... dal piatto, contro quello che definisce il «velinismo in cucina», dei giovani cuochi che in tv si credono star.
Maestro Marchesi, la possiamo chiamare così?
«Marchesi si nasce, come intitolo il mio libro nel quale racconto la mia vita... Il Presidente Napolitano mi ha anche conferito una medaglia, be’ sono soddisfatto. Ma non mi basta».
Perché? Parliamo della cucina italiana. Da che cosa è caratterizzata?
«Alla base ci sono i prodotti, sulla base dei diversi microclimi della Penisola. Io divido l’Italia in tre: al Nord c’è la parte dolce, al Centro quella piccante e salata, al Sud quella solare, ricca di sapori autentici. Infatti al ”Marchesino” sto preparando un piatto che si chiamerà Nord-Centro-Sud con spaghetti alla milanese, cacio e pepe e pasta alla Norma. Come vede, in tutti c’è un formaggio diverso: grana padano, pecorino, ricotta».
Spaghetti alla milanese? E il riso?
«Sono io il grande vecchio o no? Qui a Milano nessuno li ricorda: sono spaghetti burro, limone e prezzemolo con grana padano grattugiato».
Si parla tanto di cucina, in tv: gli italiani ricordano i loro veri piatti?
«Ognuno ama i cibi con i quali è cresciuto, regione per regione. Poi c’è l’alta cucina. In tanti pretendono di farla, in realtà deludono i clienti con ricette troppo complicate. L’avanguardista è un conservatore che cammina verso il futuro. Ma la memoria non si deve perdere mai. Noi mangiamo il nostro secolo, quello che produce la nostra cultura».
Il ministro Zaia ha sponsorizzato il panino McDonald’s...
«La mia paura è l’internazionalizzazione della cucina italiana. So bene che i bravi professionisti in Francia sono riusciti a fare diventare mondiali alcuni loro piatti. Ma poi non erano più francesi. Oggi tutto fa brodo... sarà il tempo a selezionare. Gli effimeri spariscono e tengono duro quelli come me».
A tavola bisogna divertirsi e pensare, lei mi ha detto una volta...
«Mi hanno regalato un bel libro, in questi giorni: ”Elogio dell’insapore”. L’estetica cinese non vuole violenza, nei gusti. Non si devono caricare i sapori: ci deve essere eleganza, raffinatezza, delicatezza».
Il peccato più grave ai fornelli?
«Distruggere ciò che si sta cucinando. Voglio la rivincita della materia».
Che cosa pensa della cucina molecolare con sifoni e spume?
«Non mi piace. Già Artusi scrisse che la cucina di per sé è scienza. Sta al cuoco farla diventare arte».
Nel suo libro ringrazia i critici gastronomici, ma ricorda quando rifiutò le stelle Michelin. Continua la polemica con la Guida Rossa?
«Non soltanto con la Michelin, anche con il Gambero Rosso e la Guida Espresso. Io non voglio i punteggi. Stimolano soltanto i ragazzi a diventare esibizionisti, ad avere successo prima di imparare a cucinare».
Come succede in tv...
«Vedo che in televisione molti cuochi presentano piatti tecnicamente sbagliati. L’altro giorno ce n’era uno del Sud, non ricordo chi: avrei voluto spiegargli di non inserire ingredienti inutili... per lasciare forza e sostanza al piatto. E basta con questa materia prima ridotta a pezzettini».
I cuochi sono star mediatiche?
«Il velinismo in cucina non porta a nulla. Quando dicono di uno di questi che sono subito bravi, io ribatto: aspettiamo che crescano... non si può far diventare tutti creativi. A vent’anni o trent’anni non lo si può essere».
E i suoi allievi?
«Quando hanno lavorato da me avevano meno di vent’anni. Per me sono come i miei figli. Credo molto nei giovani. Ma non vanno illusi».