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 2010  marzo 20 Sabato calendario

POCHI DC E PSI SI SONO ARRICCHITI, OGGI INVECE

Siccome ogni tanto per rompere il ghiaccio c’è bisogno di una captatio benevolentiae, l’intervistatore mette subito sotto gli occhi dell’intervistato un’indagine di Ilvo Diamanti su «Repubblica»: s’intitola «La nostalgia dei vecchi partiti» e dice che «il 45% degli italiani, oggi, giudica positivamente la Dc». Paolo Cirino Pomicino sorride: «Ho sempre detto che il tempo è galantuomo». Poi rivela: «Nel 1997, quando ebbi il mio secondo infarto e al Gemelli mi diedero tre ore di vita, Di Pietro venne a trovarmi. Mi magnificò la Democrazia cristiana: sempre votato per voi, mi disse. Era convinto che sarei morto e che quel colloquio non avrei mai potuto raccontarlo».
Settant’anni, ex ministro della Funzione pubblica e del Bilancio, è uno dei politici travolti da Mani Pulite: ha subìto 42 processi e una condanna a un anno e otto mesi per finanziamento illecito al processo Enimont; ha patteggiato altri due mesi per corruzione (fondi neri Eni). Non è più parlamentare dal 2008 ma non ha abbandonato la politica: è presidente del Comitato di controllo strategico per le amministrazioni centrali dello Stato («Lo faccio gratis») e con il suo nome di battaglia, Geronimo, scrive sui giornali per ricordare, un giorno sì e l’altro pure, che «Mani Pulite ha portato alla scomparsa della politica». Per lui quell’inchiesta non fu un complotto, ma certamente «un disegno politico».
Un disegno di chi, Pomicino?
«Da tempo una parte del Paese voleva portare l’ex Pci al governo. Ma l’ex Pci sbagliò strategia: invece di scegliere il campo socialdemocratico puntando a un accordo con Craxi, scelse l’opzione giudiziaria».
Ne è sicuro?
«Me lo confermò nel ”92 Gerardo Chiaromonte, in un colloquio di fronte alla stanza del presidente del Consiglio, che era Amato. Poco dopo lo disse anche ad Altissimo».
Quale fu la risposta del Paese a questo errore?
«Fu Silvio Berlusconi. Il quale nel 1994 non poteva entrare in politica con un bagaglio culturale o politico, che non aveva. E allora ci arrivò portando soltanto il suo carisma personale. Puntando tutto sull’anticomunismo – perché chi non ha cultura ha sempre bisogno di un nemico – e sul leaderismo. Lì è cominciata l’involuzione democratica dei partiti. La sinistra, invece di puntare a distinguersi da Berlusconi, l’ha inseguito, cercando disperatamente un leader all’anno, senza però trovarlo mai».
Qual è stato il risultato della fine dei vecchi partiti?
«L’azzeramento delle culture politiche di riferimento ha portato a due conseguenze. La prima è sul piano istituzi: la riforma elettorale basata sul premio di maggioranza. Un sistema che in un Paese come l’Italia, dove non ci sono solo due opzioni politiche, porta a governare una minoranza. Non ci si pensa mai, ma dal ”94 a oggi non c’è stato un solo governo che sia stato maggioranza nel Paese. Voglio dire: noi del pentapartito avevamo sempre una maggioranza assoluta. Adesso va al governo chi ha il 40 per cento o anche meno. Ecco perché pure esecutivi con larghissima maggioranza parlamentare non sono riusciti a governare: perché non c’è un rapporto realistico fra il Parlamento e la società».
L’altra conseguenza?
«Il veleno maggioritario ha inquinato i pozzi della democrazia: si è accentuata la violenza verbale della politica, con una rissa permanente sul nulla».
Torniamo a Mani Pulite. Tutto è cominciato allora.
«Non dimentico il cappio sventolato da un leghista in Parlamento: in quel momento loro incassavano il famoso contributo illecito per cui Bossi è stato condannato nello stesso processo in cui sono stato condannato io. Eppure noi eravamo i ladri, loro il nuovo».
Non pensa che ve la siete andata a cercare?
«La nostra colpa è stata quella di non dire apertis verbis che la politica aveva bisogno di soldi. Eravamo condizionati dalla cultura cattocomunista secondo la quale il denaro è sterco del diavolo. Gli stessi imprenditori preferivano pagare in nero perché un contributo alla luce del sole veniva interpretato come la premessa a favori da ricevere».
Lei continua a parlare di finanziamento ai partiti. Ma ci furono anche arricchimenti personali.
«Non lo nego. Ma meno di quanto si creda: se guarda ai grandi leader della Prima Repubblica, si accorge che nessuno è diventato ricco».
Lei, Pomicino?
«Io ho dovuto vendere la casa perché non riuscivo a pagare il mutuo, e mi sono fatto prestare i soldi per farmi operare al cuore. Guardi, gli arricchimenti personali ci sono molto di più adesso che i partiti non hanno bisogno di tanti soldi, visto che non ci sono più i funzionari da pagare e le sedi da tenere aperte, e visto che i finanziamenti pubblici sono stati quintuplicati. Poi, posso dirle una cosa?».
Ci mancherebbe.
«Certe cose ci sono sempre state. Anche Craxi, per dire, fece dei regali alla Pieroni. Ma non la mandò in Parlamento. Adesso le amanti, le mogli, i parenti e gli amici li si nominano consiglieri regionali, parlamentari, sottosegretari, ministri. Ma l’ha mai data un’occhiata alle liste elettorali? Presto avremo un presidente della Camera che dirà: do la parola a mio cognato. E’ stata intaccata la sacralità delle istituzioni, cosa che noi non abbiamo fatto mai».