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 2010  marzo 19 Venerdì calendario

DAL VERMOUTH IN SALOTTO ALLA NUOVA APERICENA

Vogliamo dire che, anche in questo caso, l’invenzione fu di Torino e lo scippo di Milano? La legge vale anche per il rito che più milanese non si può e cioè l’aperitivo, visto che l’abitudine di una bevanda alcolica per aprire lo stomaco nasce nel 1796 nella bottega subalpina di Antonio Benedetto Carpano, col suo vermouth che poi era un vino aromatizzato con la china. Ma è al Caffè dell’Amicizia di Novara, dunque a metà strada fra le due città rivali, che Gaspare Campari s’inventa nel 1860 la ricetta del bitter. Ed è subito anniversario: 150 anni festeggiati ieri nella sede storica della Campari di Sesto San Giovanni, brillantemente ripensata dall’architetto Mario Botta, con l’inaugurazione di un bar-galleria che alla Campari descrivono come «un moderno agorà». E intanto la liturgia metropolitana dell’happy hourtrova nuove varietà e declinazioni.
Sul come, il quando e il perché si sia passati dal piattino con le patatine rinsecchite e le due olive due della tradizione al carosello di frittate, frutti di mare, crudité, salse tzatziki, melanzane al funghetto, chili con carne e tigelle imbottite che imperversa nelle mescite di rito ambrosiano c’è una certa consonanza. Ricostruisce Marina Diani, direttrice del Globe, il locale all’ultimo piano dei grandi magazzini Coin con bancone ultrafornito e una media di 250 consumazioni a sera: «« cominciato tutto una decina d’anni fa,con il prolungamento degli orari d’ufficio. Dopo una giornata così, nessuno ha più avuto voglia di precipitarsi a casa senza un momento di decompressione. Hanno cominciato ad andare a bere con i colleghi, poi hanno chiesto qualcosa da mettere sotto i denti, poi nessuno si alzava dalla sedia. Noi ristoratori ci siamo organizzati». Sull’esempio delle tapas catalane e dei cicchetti veneziani, ma con una vocazione al gigantismo che talvolta sgomenta.
Nei bar dei grandi alberghi e all’ultimo piano della Rinascente e di Coin, lungo i Navigli e all’Arco della Pace, al Basso di Città Studi dove negli anni Sessanta il leggendario Mirko Stocchetto inventò il Negroni sbagliato (e se passate dopo le sei Mirko è sempre lì, imperterrito, alla cassa) o al Ricci di via Vittor Pisani, è comunque un flusso continuo di persone che a quella pausa mai rinuncerebbe. Qui si combinano affari e amorazzi, si sgranocchiano pettegolezzi sull’Expo e su Fabrizio Corona, si fa ballare l’occhio, come si dice a Milano, ma pure la Borsa di Piazza Affari. Più prosaicamente, con l’happy hour si sostituisce la cena: 6 o 7 euro nei locali per ragazzi in zona Ticinese, lasciate pure che salgano a 10 o a 15 in quelli di livello superiore, ma volete mettere con i conti stratosferici al ristorante nella città più cara d’Italia? La signora Diani è convinta che l’aperitivo sia «la nuova pizza: si socializza e non si spende troppo. In più, ci si può togliere uno sfizio: da noi, le ostriche, il cous cous, la tartare di tonno».
La gara, allora, è a inventarsi sempre qualcosa di nuovo. Di questi tempi sotto il Duomo va molto l’aperisushi, meglio servito al tavolo in piattini individuali che consumato al bancone: dopotutto sempre di pesce crudo si tratta, e decisamente poco gradevole la prospettiva di conquistarsi un maki o un California roll andandoselo a pescare là dove prima hanno grufolato decine di altri aperitivisti. Al Lounge dell’albergo Westin Palace si va invece a lezione di cocktail, cioè per il prezzo della pura consumazione, nell’orario canonico 18-21, si può passare dietro al bancone e imparare i segreti dell’aperol spritz (aperol, spumante e selzt), della bicicletta (bitter campari e vino bianco) e anche dei campanilistici naviglio grande (crodino, spremuta di pompelmo e fragola) e madonnina (crodino, spremuta d’arancio e cannella). Col beverone fai-da-te arrivano dalla cucina gli stuzzichini: in questo caso, con una certa leziosità meneghina, il menu gorgheggia di una «frittellina di riso e pistilli di zafferano», di un «mondeghillo», che poi sarebbe una polpetta, «di carni bianche al sesamo» e di una «fetta di salame di Varzi su toast croccante di polenta». «Ci si diverte e intanto s’impara, eccome», spiega il barman Alessandro Borelli. «Donne e uomini in egual misura, ma le signore ci mettono più impegno». Tocca registrare, però, che i più cool hanno fatto il giro completo, e ricominciano a preferire lo stile anni Sessanta. Un cocktail «ben lavorato», dove l’alcol si senta ma non stordisca.Le due patatine nel piattino. E basta così.