FULVIO MILONE, La Stampa 19/3/2010, pagina 23, 19 marzo 2010
ELISA CLAPS (2
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Una fitta ragnatela di veleni e depistaggi ha intrappolato per 17 anni i poveri resti di Elisa Claps, la cui tomba segreta è stato un sottotetto della chiesa della Santissima Trinità, in via Pretoria, la strada dei bar e dei ristoranti di Potenza. Ora che il corpo è stato scoperto e che i familiari hanno riconosciuto gli occhiali, la catenina e i brandelli di vestiti trovati accanto al cadavere, le indagini prendono nuovo vigore. «Avevamo un quadro indiziario e ora, con il ritrovamento del corpo, siamo giunti a una svolta», dice Franco Roberti, capo della procura di Salerno. Ma perché è la magistratura di Salerno che indaga su un delitto compiuto in Basilicata? Per rispondere alla domanda occorre affondare le mani nella matassa di bugie e contraddizioni che per molto, troppo tempo ha avvolto il caso Claps. L’inchiesta è condotta dalla procura campana perchè il pm potentino che si occupava del caso, Felicia Genovese, era stato accusato da un pentito di avere fatto di tutto per «coprire» le responsabilità del principale indiziato per la scomparsa di Elisa, Danilo Restivo. Perché? Secondo il collaboratore di giustizia, il padre di Danilo, personaggio influente nel capoluogo lucano, aveva pagato il marito del pm, Michele Cannizzaro, re della sanità lucana, affinché si desse da fare per fare sparire il corpo. L’indagine fu archiviata, le dichiarazioni del pentito si rivelarono una bufala. Ma nel frattempo gli atti erano finiti a Salerno e lì sono rimasti come prevede la legge. E in fondo è stato un bene perché l’inchiesta ripartì: Restivo, già condannato per dichiarazioni false davanti al pm nel caso Claps, venne indagato per omicidio, occultamento di cadavere e violenza sessuale.
Prima di allora le indagini languivano. La polizia non pensò neanche di fermare Restivo e interrogarlo subito dopo la denuncia di scomparsa fatta dai familiari di Elisa. Se ci pensò, non lo fece. Lasciò che Danilo andasse a Napoli per partecipare a un concorso, e lo convocò il giorno dopo. Gli investigatori, poi, dettero credito a una serie di testimonianze improbabili, come quella che voleva la ragazza viva e vegeta in Brasile.
Don Marcello Cozzi, coordinatore per la Basilicata dell’Associazione Libera, da anni vicino alla famiglia Claps, si arrovella davanti a tante domande che non trovano risposta: «Ma come è possibile che nessuno, in tutti questi anni, si sia accorto della presenza di un cadavere nel sottotetto raggiungibile solo attraverso i locali della canonica? Che cosa ha spinto l’assassino ad abbandonare il corpo sul pavimento, senza murarlo nella speranza che non fosse mai trovato? Chi lo ha aiutato? Soprattutto: è possibile che a nessuno degli investigatori sia venuto in mente per 17 anni di ispezionare quei luoghi?». Don Cozzi parla esplicitamente di depistaggi: «Credo si dovesse dare una mano all’assassino, occorreva coprire la sua colpa». E del «clima omertoso» che circondava la scomparsa di Elisa Clips parla anche l’arcivescovo di Potenza, Ennio Appignanesi: «Lo percepii da subito». Ma Appignanesi dice di più: cita il parroco che in quegli anni reggeva la chiesa del mistero, don Mimì Sabia: «Forse confidava troppo nella responsabilità dei laici e dei giovani» che frequentavano la canonica. Non sapremo mai se don Sabia abbia avuto dei sospetti: è morto due anni fa, forse portando con sé nella tomba il segreto della morte di Elisa Claps, i cui resti sono stati portati ieri sera nel Policlinico di Bari per l’autopsia.
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«Non c’entro niente, non sapevo neanche dell’esistenza del sottotetto della chiesa». Danilo Restivo, l’unico indagato per l’omicidio di Elisa Claps, parla dall’Inghilterra dove ormai vive, e dove anni fa è stato coinvolto nelle indagini sul delitto di un’altra donna. Attraverso i suoi avvocati, giura di non sapere nulla delle circostanze della morte di Elisa e aggiunge di essere «assolutamente innocente».
La sua posizione si è indubbiamente aggravata, ora che il corpo di della ragazza è stato trovato nella chiesa della Santissima Trinità, quella in cui lei fu vista per l’ultima volta con Danilo. «Non credo che la mia posizione processuale sia più compromessa di prima - dice -. Al contrario, mi auguro che dagli accertamenti in corso possa risultare la mia completa innocenza».
Eppure la polizia ha raccolto più di un indizio contro di lui in questi anni. Danilo mentì durante gli interrogatori fatti dal magistrato. Lo dimostra la condanna subita per le false dichiarazioni rese al pm che indagava sul caso Claps. Il 12 settembre 1993, poco più di un’ora dopo la scomparsa di Elisa, Restivo andò in ospedale per farsi medicare una ferita ad una mano. Ai magistrati disse di essere caduto mentre si trovava in un cantiere, ma i magistrati non gli credettero. «Invece è la verità - assicura lui -. Mi ferii nel cantiere delle scale mobili di Potenza mentre tornavo a casa, accadde mezz’ora o tre quarti d’ora dopo avere incontrato Elisa».
Eppure gli inquirenti sono sicuri che Danilo mentì. Come non disse la verità su ciò che aveva fatto fra le 12, quando la ragazza scomparve, e le 13,45, ora in cui si presentò al pronto soccorso. Disse che era andato a zonzo per Potenza, quindi di essere andato nel cantiere dove era caduto ferendosi. Ma c’è dell’altro. Nonostante che Restivo affermi il contrario, il ritrovamento del cadavere rischia di compromettere davvero la sua posizione. Danilo, infatti, disse ai poliziotti e successivamente al pm che il suo incontro con Elisa era durato pochi minuti: «La messa era appena finita, erano rimasti pochi fedeli. Ci appartammo dietro l’altare, parlammo un po’ e poi la vidi andar via mentre io rimasi a pregare». Gli inquirenti, in realtà, ipotizzano che la ragazza non sia mai uscita dalla chiesa. Se così non fosse stato, qualcuno l’avrebbe uccisa in un altro luogo per poi riportarla nella basilica, raggiungere il sottotetto e abbandonare lì il corpo senza vita. Una ricostruzione, questa, ritenuta assai improbabile.
In realtà, come scrissero i giudici che condannarono per le false dichiarazioni il sospetto assassino di Elisa Claps, l’uomo «ha rivestito un ruolo, se non di protagonista, certamente di persona che avrebbe potuto e dovuto offrire una corretta informazione alla polizia e al magistrato inquirente dei fatti e delle circostanze a sua conoscenza». Di più: «La condotta di Restivo - sostennero ancora i giudici - è stata particolarmente grave per la sua tenace condotta menzognera», e per la sua indifferenza «di fronte ai traumi dei familiari della vittima». Le bugie di Danilo, conclusero i giudici, impedirono «di conoscere gli effettivi spostamenti della Claps dopo l’incontro dei due in chiesa, e di indirizzare le indagini nella direzione più opportuna».