Enrico Franceschini, la Repubblica, 19/3/2010, 19 marzo 2010
Successo, una scalata a curve e zig zag la strada migliore è obliqua - La distanza più breve tra due punti, ci insegnavano a scuola, è una linea retta
Successo, una scalata a curve e zig zag la strada migliore è obliqua - La distanza più breve tra due punti, ci insegnavano a scuola, è una linea retta. Ma non è necessariamente la migliore. Il modo più diretto per arrivare al successo spesso non è diritto: è un percorso fatto di errori e casualità, di esperienza accumulata, di tentativi a zig-zag. Insomma, la via che porta alla realizzazione di noi stessi rifugge dalle scorciatoie e dall´istinto: è obliqua, come il lento formarsi della conoscenza. A sostenerlo è John Kay, economista e guru dei cambiamenti sociali, intellettuale scozzese passato per Oxford, autore di saggi best-seller e consulente di grandi aziende. Nel suo nuovo libro, Obliquity: why our goals are best achieved indirectly (Obliquità: perché i nostri obiettivi si raggiungono meglio indirettamente), il professor Kay raccoglie dati dalla realtà e dalla storia per dimostrare che la strada che porta al successo, e anche alla felicità personale, non è affatto la distanza più breve tra due punti. un sentiero contorto, complesso, pieno di curve. Il canale di Panama, uno degli esempi forniti dal libro, non segue il percorso più logico per congiungere l´Atlantico al Pacifico: ma la linea serpeggiante che porta da un oceano all´altro è quella che ha richiesto il minor quantitativo di scavi. Altro esempio: banche ossessionate dal profitto come Lehman Brothers e Bear Stearns, che esponevano nei loro uffici slogan come «Siamo qui per fare una cosa sola: il denaro», sono miseramente fallite nel terremoto finanziario degli ultimi due anni; mentre società come la Microsoft di Bill Gates e la Walmart di Sam Walton, i due uomini più ricchi della terra, mettono al primo posto la soddisfazione e il coinvolgimento del cliente, e continuano a generare montagne di soldi. Ancora: l´alpinista Reinhold Messner scalò l´Everest da solo, senza ossigeno, lungo la parete più difficile, non tanto per arrivare in cima quanto per raggiungere «la felicità attraverso la sopportazione del dolore». Come nella filosofia del buddismo zen, riassume il concetto Kay, «la meta si raggiunge in modo obliquo. Non si diventa ricchi pensando solo ad arricchirsi, né si è felici desiderando soltanto la propria felicità personale». L´autore stila sette regole fondamentali in difesa della sua formula: scopriamo ciò che vogliamo solo mentre cerchiamo di raggiungerlo; ogni teoria dipende da reazioni imprevedibili; abbiamo sempre più di una possibilità tra cui scegliere; non c´è un nesso assoluto tra intenzioni e risultati; l´ordine emerge in modo spontaneo; le buone decisioni sono il prodotto di buone valutazioni; l´esperienza è necessaria e la conoscenza è essenziale. L´ultimo punto è una sfida dichiarata a un altro celebre guru della società contemporanea, l´americano Malcom Gladwell, il quale nel libro Blink affermava che tutte le decisioni importanti si prendono d´istinto, nello spazio di pochi attimi. «Sciocchezze - replica Kay - dietro ogni decisione presa rapidamente si nascondono lunghi studi, esperienza, conoscenza». E capovolge un famoso caso citato da Gladwell a sostegno della sua tesi: il fatto che a un esperto del Getty Museum bastò un´occhiata per capire che il Kouros, una statuina greca acquistata per una fortuna dal museo, fosse un falso. «Se lo dicessi io o il primo che passa, nessuno ci darebbe retta», osserva Kay. «Ma quando lo dice un esperto autorevole della materia, il suo parere viene ascoltato».