ADRIANO BONAFEDE, la Repubblica 18/3/2010, 18 marzo 2010
UNA FINANZA CREATIVA DA 35 MILIARDI ESPOSTA A RISCHI DELLA SPECULAZIONE - ROMA
Che strana storia, questa dei derivati degli enti locali. Prima fu lo stesso governo Berlusconi, dopo la vittoria alle elezioni del 2001, ad aprire le porte all´uso di questi strumenti finanziari anche per Regioni, Comuni e Province (il Tesoro li ha usati anche negli anni precedenti e continua tranquillamente a utilizzarli ancora oggi anche se la sua attività non è resa pubblica). Poi, a metà 2008, è stato il nuovo governo Berlusconi, sull´onda degli scandali suscitati dalle inchieste giudiziarie, a sospenderne l´utilizzo per gli enti locali fino all´emanazione di un nuovo regolamento. Intanto in questi anni ben 35 miliardi di euro sono finiti in derivati aprendo le porte a ogni tipo di speculazione.
Il nuovo regolamento è ancora allo stato di bozza. Nel frattempo, la VI commissione Finanze e Tesoro al Senato ha svolto una lunga indagine uscita proprio nei giorni scorsi con un documento in due voluminosi tomi. La conclusione unanime cui è giunta la commissione presieduta da Mario Baldassarri è che questi strumenti sono certamente da regolamentare meglio. Al tempo stesso, però, «non presentano profili di rischio sistemici per la finanza locale italiana». La stessa commissione dà un sostanziale placet alla bozza del ministero, pur chiedendo qualche aggiustamento.
Ma quali sono, appunto, questi problemi? E perché sono finiti nel mirino dell´autorità giudiziaria? Per capirlo bisogna risalire indietro nel tempo e vedere quali sono i motivi che consigliarono al governo di aprire le porte di questi sofisticati prodotti anche agli enti locali. All´inizio degli anni 2000 i Comuni e gli altri enti locali si trovavano di fronte a una situazione abnorme: con l´ingresso nell´euro i tassi d´interesse si erano enormemente abbassati mentre i loro mutui pluriennali - contratti soprattutto con la Cassa depositi e prestiti a tasso fisso - costavano tantissimo. Gli enti locali avevano cercato di ricontrattare le condizioni ma più di tanto non si poteva fare perché a fronte dei prestiti la Cdp doveva remunerare i correntisti postali.
Un modo per permettere a Comuni, Province e Regioni di abbassare il costo dei mutui era quello di utilizzare strumenti derivati che sono largamente in uso nella finanza internazionale. Il principale derivato utilizzato è stato quindi il classico swap di tasso d´interesse. Con questo contratto l´ente locale si rivolge a una banca e scambia (swap, appunto) il pagamento delle rate del vecchio mutuo con un nuovo prestito a tasso variabile dal costo più basso.
La banca si fa pagare perché deve sostenere una nuova raccolta di fondi. Sotto accusa sono finite le cosiddette "commissioni" che ora i giudici sospettano essere illegali. Secondo gli istituti bancari sono in realtà un "margine di credito", lo stesso che una banca si prende quando fa un mutuo. Ad esempio, Euribor più 1,50: in questo tasso sono compresi i costi sostenuti e i margini, che però di solito non vengono esplicitati. Tuttavia, sempre le banche fanno notare che nessuno s´interessa di quale sia il margine: un istituto può avere un costo di raccolta più basso e un margine più alto di un´altra banca e viceversa. Quello che conta davvero, per l´utente, è il costo finale del prestito ed è questo che andrebbe confrontato.
Nel corso del tempo, gli enti locali hanno usato i swap di tasso anche al contrario, dal variabile al fisso, quando hanno visto una curva ascendente. Altri contratti, come i swap di ammortamento e mutui bullet (simili ai Bpt, e cioè con un rimborso tutto insieme alla fine e il pagamento di una cedola annuale) sono finiti sotto accusa perché in alcuni casi le banche hanno approfittato della scarsa conoscenza finanziaria degli addetti finanziari degli enti locali. Una cosa però è certa: quello che hanno fatto Comuni, Regioni e Province era in generale legale, se è mancato qualcosa è stata una normativa dalle maglie più strette e maggiori controlli da parte del ministero. Tutte cose contenute nel regolamento ancora in gestazione.