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 2010  marzo 17 Mercoledì calendario

PUGLIA, DAI GEOMETRI AGLI SCRITTORI


Cè un boom di letteratura pugliese o sulla Puglia - cominciato con la ”Casa Rossa” di Francesca Marciano - e di successo al botteghino delle agenzie viaggi. Si ravviserà un po’ di retorica sulla regione laboratorio, sugli spiriti bollenti - un programma per attrarre eccellenze giovanili - o sul modello di sviluppo ecologico. Ma questo entusiasmo in fondo è il tentativo di trovare un punto di equilibrio. Tra Mezzogiorno e partito liquido, D’Alema e Vendola, Fitto e Poli Bortone. Tra Ferzan Ozpetek che ambienta un film nel Salento e Gabriella Carlucci che si candida a una sindacatura garganica. Tra industria e turismo: l’esperimento Taranto che aveva rappresentato la profonda trasformazione sociale degli anni Settanta, con i contadini che diventavano operai - ne ”La guerra dei cafoni” di Carlo D’Amicis, l’operaio appena assunto porta i figli in gita alla Zinzulusa - e la soluzione iperturistica della Otranto (troppo) risanata che sembra Rodi.
L’economia della transizione è fatta più o meno di queste cifre. Nel 2008, il Pil pugliese è di 71.446,1 milioni di euro (contro i 326.130 della Lombardia). La Puglia ha 4 milioni di abitanti, e un Pil procapite di 17.500 euro, un po’ più di Sicilia e Campania. La media italiana è circa 26.300. La regione più popolosa e ricca, la Lombardia ha un Pil procapite di 33.650 euro. Negli ultimi dieci anni sono cresciuti i settori del turismo e i servizi collegati, attività immobiliari, noleggio eccetera. cresciuto il manifatturiero in automotive, aerospazio, siderurgia e chimica. cresciuto di oltre il 30 per cento il settore delle costruzioni, mentre è in flessione l’agricoltura soprattutto nell’ultimo anno: in calo il numero degli addetti, che invece sono stabili nella pesca.
In generale sui luoghi c’è una specie di pressione antropologica, ci sono più negozi, ristoranti, più traffico, la vita non è più semplice, e il paesaggio è stato contaminato, dalle zone industriali fino alle insegne dei negozi.


I valori immobiliari si sono alzati molto, fino all’anno scorso. Adesso le cose vanno meno bene, perché all’inizio il boom turistico era determinato dai prezzi buoni. Ora sono saliti troppo e c’è bisogno di ripristinare un punto di equilibrio. Le presenze turistiche comunque continuano a crescere, soprattutto nel Gargano e nel Salento. Sta migliorando il settore vitivinicolo. Crescono i produttori locali e arrivano i produttori da fuori. Aziende agricole sono state comprate dagli Antinori a San Pietro Vernotico (Brindisi), dagli Zonin a Oria, sempre in provincia di Brindisi, i veronesi Pasqua hanno comprato vicino a Manduria (Taranto) e i piemontesi Giordano a Torricella (sempre Taranto). Nel vino gli affari sono andati bene per tutti gli anni 2000, adesso c’è una leggera frenata congiunturale, ma c’è vino di qualità: Cantéle, Castello Monaci, Tormaresca, Vetrere, Castel di Salve.
I vecchi sistemi locali del lavoro vanno così così. Il calzaturiero a Barletta, i divani di Santeramo, Gravina e Altamura sotto la dominazione dei Natuzzi, il calzaturiero del Salento, i capi spalla di Martina Franca, ci sono delle difficoltà, c’è una ristrutturazione selettiva.

Gli scrittori
C’è un boom di scrittori. Vuol dire alcune cose. Ecco quello che si raccoglie conversando in giro. La prima: è una regione ricca, se non lo fosse si scriverebbe meno. La seconda è che è una regione che sta al crocevia tra modernità e arcaismo e dunque produce letteratura (questo lo dicono De Amicis e Desiati e anche Carofiglio).
A parte Raffaele Nigro, Giancarlo De Cataldo, Vito Bruno e Gianrico Carofiglio (del quale più avanti), di base la nuova onda è generazionale: Annalucia Lomunno (Castellaneta), Pulsatilla (Foggia), Nicola Lagioia (Bari), Carlo D’Amicis (Sava), Alessandro Leogrande (metà di Taranto, metà di Goia del Colle), Cosimo Argentina (Taranto), Livio Romano (Nardò), Rossano Astremo (Grottaglie).
Poi c’è il caso Martina Franca. Dalla stesso liceo, il classico Tito Livio, vengono Mario Desiati (autore de ”Il paese delle spose infelici”, Mondadori 2008), Giorgia Lepore (’L’abitudine al sangue”, Fazi 2009), Donato Carrisi (’Il Suggeritore, Longanesi”, 2009, premio Bancarella), il poeta Michelangelo Zizzi (’Del sangue occidentale”, Lietocollelibri, 2005) e Giancarlo Liviano D’Arcangelo (’Andai, dentro la notte illuminata”, Pequod, 2007), il quale adesso sta scrivendo un romanzone a base famigliare, ispirato alla storia dei Cassano, orginariamente commercianti che hanno puntato sulle produzioni cinesi e adesso sono una forza economica nella città ch’era stata dei confezionisti.
La consistenza numerica di questo gruppo di scrittori è cresciuta assieme all’interesse nei confronti della Puglia. Alessandro Leogrande ha una formazione di scritttua realista. Ha scritto ”Uomini e caporali”, reportage sul caporalato in Capitanata (che smonta la visione della Puglia buona e integrazionista). Racconta che quando scrisse un libro su Giancarlo Cito nel 1999, c’erano solo un paio di libri su Taranto, negli ultimi anni ne sono usciti almeno una dozzina. Del resto forse è vero che un po’ è una regione laboratorio: Desiati osserva che è stata la prima regione a vivere il fenomeno degli extracomunitari, la prima che ha visto la politica tv (sempre Cito) e la spazzatura che invadeva una città (sempre Taranto).
Lagioia parla di Bari negli anni Ottanta, Desiati di una Murgia dalle sfumature magiche, Argentina della Taranto dietro viale Magna Grecia, D’Amicis di uno spazio compreso tra Torre Ovo e Torre Columena sulla costa jonica contaminata dal turismo delle rimesse - il turismo di ritorno dell’immigrazione alla Germania e alla Svizzera - in un (molto bello) ”La guerra dei Cafoni”. Che cosa unisce questa letteratura? Scrivono quasi tutti in prima persona, molti di calcio. Scrivono di base romanzi di formazione, con una predilezione per l’adolescenza mitica. Quasi tutti simpatizzano per Vendola e quasi nessuno di loro ha mai letto Maria Corti. Molti vivono fuori, dunque sono condizionati dalla mancanza come questione poetica.

Non potevi ambientarlo in Puglia?
Curiosamente quelli che vivono in Puglia sono meno identitari. Giorgia Lepore, archeologa medievista, ha scritto un romanzone storico, molto appassionante (si legge in due notti). Adesso sta scrivendo un noir. Spiega che non parla di Puglia, «perché la mia appartenenza al territorio si misura dal fatto che ci vivo. Mi accorgo però che la pugliesità rischia di diventare una gabbia. Mi è successo che tre o quattro persone del mondo editoriale mi abbiano chiesto perché non avessi scelto un soggetto legato ai posti dove vivo. Uno, a cui il mio libro era piaciuto, mi ha detto, va bene il Medioevo, ma non potevi ambientarlo in Puglia?».

Né qui né altrove
Qualcosa di simile, vale per Gianrico Carofiglio. Magistrato, ex pm («bravo investigatore», dice di sé). Scrittore di successo, al momento primo in classifica con ”Le perfezioni provvisorie” (Sellerio), oltre due milioni e mezzo di copie vendute in tutto il mondo e un personaggio, l’avvocato Guerrieri, che è un avvocato come lo vorrebbero i magistrati. Senatore della Repubblica per meriti letterari in un certo senso, giacché Walter Veltroni lo candidò in quanto scrittore e non in quanto pm. Carofiglio non è uno scrittore identitario. Guerrieri agisce a Bari, ma è una Bari poco caratterizzata, è una città metropolitana, in cui la pugliesità compare di sfuggita. Del resto non crede nella Puglia: «Esiste un’identità barese o salentina, non pugliese. Molto più dell’identità mi interessa lo spaesamento».
In realtà anche lui ha dato il suo contributo alla narrazione collettiva dei luoghi con un libro di ricordi intitolato ”Né qui, né altrove” (Laterza). la storia di una notte d’inverno in cui tre vecchi compagni di università, uno dei quali vive in America, si rincontrano e se ne vanno in giro per Bari. Non è più quella degli anni Ottanta, è una città movidista, traffico notturno, macchine in fila, locali affollati, centro storico risanato, bar, baretti, la solita pietra a vista. Siccome Carofiglio è uno scrittore molto tecnico, sa come evitare le trappole sentimentali della narrazione in prima persona e la malinconia programmatica. Il passato non è perfetto e il presente nemmeno. Non troverete, forse, il formicolio pulsante della baresità che è una caratteristica immanente nel quartiere murattiano, ma nemmeno luoghi comuni sul Mezzogiorno & le sue contraddizioni. Bari è raccontata così com’è: una città di 320.000 abitanti troppo grande per essere solo provincia e troppo piccola per essere una metropoli. La D’Addario non c’è, ma si immagina; c’è il Petruzzelli, i nomi delle strade murattiane - le vie Sparano, Putignani o Abate Gimma - il circolo della Vela (che in questi giorni è diviso da una querelle tra i soci su come sfruttare al meglio le due sedi, quella nuova al porto o quella vecchia sotto il teatro Margherita tra il borgo e la città vecchia, se debbano essere aperte entrambe oppure osservare una stagionalità) non è citato, ma si sente un’eco della danarosità come valore: del resto per i pugliesi, Bari è sempre stata la città dei soldi.
In generale Carofiglio ritiene che oggi la Puglia sia il luogo più interessante d’Italia. Dice che c’è contemporaneamente tanta roba, letteratura, cinema, politica (e che quando parliamo di Vendola riassumiamo tutte queste cose). Dice pure che non ha importanza se queste cose riflettano la realtà, o se sia sufficiente che esistano. Dice che non gli interessa applicare categorie schematiche. La conversazione con Carofiglio è spiccia, lui è brusco, puntuto, con una specie di autoindulgenza per le spigolosità che non vuole limare (come ammette in una doppia intervista - lui e la sua amica Geppi Cucciari - a Maria Grazia Ligato di Io Donna della scorsa settimana). Neppure lui ha letto la Corti, ma ha in programma di farlo.

Ninfe callipigie
Fino agli anni Settanta Taranto aveva un fascino quasi metropolitano. Era contemporaneamente agraria, nautica, militare e industriale. Il circolo di marina era un’istituzione, il siderurgico la modernità, i cantieri navali la tradizione. Oggi non c’è più la Sem (storico bar della città), il bellissimo liceo Archita è abbandonato, hanno ripittato e messo a nuovo il palazzetto d’angolo tra via d’Aquino e via Margherita. Quel che resta è lo skyline della città vista dal lato del Ponte di Punta Penna che attraversa il Mar Piccolo. La città vecchia, il profilo della Bestat e le navi da guerra in banchina cacciatorpediniere.
Oggi l’Ilva non è più un simbolo di modernità, ma dell’incubo inquinamento. Vito Bruno, che ha raccontato la Taranto di oggi in ”Il ragazzo che credeva in Dio” (Fazi, 2009) dice che «la legge antidiossina è la cosa da cui bisogna ripartire». «Anche se - nota Federico Pirro professore di Storia dell’industria all’Università di Bari e componente del centro studi confindustriale pugliese - dal 1995 al 2009 l’Ilva ha speso 4 miliardi di euro totalmente autofinanziati per ammodernare gli impienti, 900 dei quali destinati all’ambientalizzazione. Ha azzerato gli incidenti sul lavoro e negli ultimi dieci anni ha assunto quasi 8.000 giovani. L’età media dei dipendenti è 33 anni». Donato Salinari è l’unico consigliere regionale dell’opposizione pidiellina ad aver votato a favore della legge antidiossina. « l’unico modo per ripartire - dice - se davvero vogliamo pensare a un’economia fondata su turismo e agricoltura». Il modello Taranto è passato. L’idea di Vendola è più o meno questa: «Energia rinnovabile, siamo i primi per megawatt prodotti nell’eolico e fotovoltaico; ridimensionamento dell’industria pesante senza litigare con Taranto (dove gli ambientalisti vogliono il referendum), più turismo (ma senza diventare una grande pro-loco), più agricoltura e industria moderna non invasiva», spiega Pirro.
Il prezzo di questa ecologica modernità è l’invasione di pale eoliche e la sottrazione di aree da coltivare prestate al solare. Gli ambientalisti sono contro la diffusione dell’eolico e del fotovoltaico selvaggio («una contraddizione in seno al popolo», osserva Pirro). Che si potrebbe fare per uno sviluppo equilibrato e moderno? Pirro dice: «Attrazione d’investimenti, innanzitutto. Serve il rigassificatore a Brindisi, sarebbe un investimento strategico e consentirebbe anche la nascita di una filiera nell’industria del freddo. Poi bisogna rafforzare le aziende leader integrandole con i sub-fornitori locali, servendosi anche dell’aiuto delle istituzioni. Il turismo, infine, deve fare un salto di qualità, dobbiamo promuovere le aggregazioni, favorire i charter e la creazione di consorzi che vendano ricettività aggregata».
Poi c’è il resto, le pre-condizioni di uno sviluppo intelligente. Per esempio, c’è un programma per la costruzione dei porti turistici. Ma la costa vista dal mare è in pessime condizioni, deturpata dall’abusivismo. Prima sarebbe indispensabile riqualificare il paesaggio, ma nessuno sa come. Dopo quarant’anni di anni Sessanta, di anni Settanta, di anni Ottanta, di anni Novanta, bisognerebbe riqualificare le periferie, ma anche in questo caso nessuno sa come se non richiamandosi a una generica collaborazione pubblico-privato. Si vedrà. Bisognerebbe riqualificare innanzitutto le classi dirigenti, ma quello è ancora più difficile. «Manca completamente una classe dirigente borghese», dice Bruno. «C’è una classe dirigente imprenditoriale in larga misura autoreferenziale, ma ci sono anche degli elementi di novità, soprattutto nell’apertura internazionale», dice Giovanni Ferri, direttore del dipartimento economia dell’Università di Bari. «Va compiuto uno sforzo - ammette Pirro - per migliorare ciò che noi stessi abbiamo creato e per qualificare una nuova classe dirigente capace di governare i cambiamenti».
Si rimane in attesa di classi dirigenti che cancellino gli scempi delle precedenti, in cui si distinsero alcune centinaia di geometri e ingegneri comunali democristiani e comunisti. Giuse Dimitri - ritratto in un libro di Annamaria Leccese, pubblicato da Barbieri Selvaggi - tornò a casa a Manduria negli anni Settanta per occuparsi dell’azienda agricola della sua famiglia (fu poi ucciso da un balordo una notte che rientrava a casa molto tardi). Le sue tempere in fondo alludevano alla schizofrenica e sistematica insistenza della distruzione dei luoghi: dipingeva delle donne discinte, un po’ culone - una delle quali sua antenata, cui attribuiva vita spregiudicata e puttanesca - collocate in mezzo a una fauna allegorica in stile vagamente floreale, secessionista, o similia. La didascalia diceva: «Ninfa callipigia e bestiaccia morotea in banale contesto ecologico». (2. fine)