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 2010  marzo 18 Giovedì calendario

DOMANDE E RISPOSTE. QUANDO I GENITORI UCCIDONO I FIGLI

Il piccolo Alessandro, morto a Genova, è l’ultimo caso di bimbo ucciso in ambito familiare.
Quanti genitori arrivano a uccidere i figli?
L’ultimo dato certo è quello fornito dal rapporto dell’Eures, Istituto di ricerca che dal 1990 raccoglie dati sugli omicidi in Italia, in particolare in ambito familiare. Tra il 2004 e il 2008 sono stati 113 i figli uccisi dai propri genitori. In media 22 casi l’anno e anche il 2009 non si discosta da questo dato.
Tutti casi simili a quello di Alessandro?
No. Dietro questo dato si comprendono tutti gli episodi che hanno in comune il rapporto di parentela tra autore dell’omicidio (il padre nel 60% dei casi) e la vittima. Ma sono delitti diversi per età, dinamica e movente: quelli che hanno coinvolto bambini fino a 10 anni sono stati in totale 64, compresi gli «infanticidi».
Che tipo di reato è l’infanticidio?
Prevede pene più lievi rispetto all’omicidio, e riguarda unicamente «la madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto» e solo quando il delitto «è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale».
 un fenomeno ancora diffuso?
Assolutamente no. Fino a trent’anni fa se ne contavano anche 50 casi l’anno, adesso un decimo. A compierlo sono donne senza appoggi familiari e sociali (immigrate clandestine, minorenni in difficoltà). Contraccettivi, aborto legale e servizi sociali hanno fatto sì che questo retaggio di una condizione femminile disperata sia quasi sparito.
Chi, e perché, arriva a uccidere i propri figli?
Gli studiosi del fenomeno innanzitutto dividono i «figlicidi» in due categorie, secondo l’età della vittima. Il genitore che uccide il figlio adulto lo fa generalmente in presenza di un disturbo, fisico o psichico, della vittima. il caso, ad esempio, del genitore che reagisce a un figlio tossicodipendente e violento o quello di chi, ormai anziano, si pone il problema di come potrà vivere il figlio non-autosufficiente. La morte in questo frangente è vista come l’unico modo per «liberare» la vittima, ed è spesso seguita dal suicidio.
E quando invece i figli sono piccoli?
Qui il disturbo è dell’omicida. un disagio psichico, spesso nascosto, che esplode in un raptus. Non a caso anche in Italia sono in aumento i «family mass murderer»: le stragi familiari, che avvengono anche in contesti inattesi. «Una famiglia assolutamente normale»: così parenti e amici dicono spesso, sorpresi, a commento di quel padre che ha ucciso moglie e figli.
Come è possibile uccidere in un quadro tanto idilliaco?
Perché idilliaco non è: dentro le mura domestiche si sviluppa violenza, anche se nascosta. Sopratutto, non c’è nulla di idilliaco nella testa di chi il delitto lo compie. Fabio Piacenti, presidente dell’Eures, spiega che chi arriva a questi raptus vive in una continua situazione di «mascheramento»: immette tutte le sue energie per apparire «normale»; per assecondare aspettative, sociali e familiari, oggi sempre più pressanti. A un certo punto non ce la fa più: uccide, e si uccide.
Ma il caso del piccolo Alessandro non rientra in questa casistica. Perché?
Qui siamo nel campo di quella che Piacenti definisce «genitorialità a rischio»: l’uso di droga, l’alcolismo, situazioni di particolare degrado economico e culturale pongono alcune persone nell’incapacità di affrontare il ruolo di genitori. Spostano il loro disagio interiore nel figlio: è lui che «porta» il disagio; è lui, alla fine, la vittima predestinata.
Perché nessuno si accorge di nulla prima che l’omicidio sia avvenuto?
Nel caso di raptus improvviso è sì possibile, proprio per il «mascheramento» operato dall’omicida. In quello dei «genitori a rischio», invece è più che possibile cogliere segnali. Però, spesso, non vengono capiti e collegati. Certo se un ragazzino si presenta a scuola pieno di lividi è facile che scatti l’allarme. Molto più difficile quando la vittima è un bambino tanto piccolo da non poter comunicare; e il pianto, anche disperato, è visto alla sua età come un fatto normale.
Ma l’uso di cocaina da parte di una madre non è comunque pericoloso?
Lo è, sicuramente. Tempo fa, a Milano, una ragazza si gettò dalla finestra con la sua piccola in braccio. Per puro caso la tragedia fu solo sfiorata. Un buon lavoro, una bella casa, una bambina sicuramente amata: però quella sera la droga le aveva devastato la testa.