FRANCO GIUBILEI, La Stampa 18/3/2010, pagina 22, 18 marzo 2010
GLI ARCHEOLOGI DEL FLIPPER
Fino agli anni Settanta non c’era bar in Italia che non avesse il suo bravo flipper, con le sue lucine intermittenti, la grafica sgargiante e quel rumore inconfondibile della pallina che sbatteva da una parte all’altra della macchina. La moda era talmente diffusa in Europa e negli Usa, che gli Who nel 1969 edificarono un’opera rock intorno a un’immaginaria star del «pinball», Tommy, che non sentiva, non parlava e non vedeva ma in compenso giocava da dio a flipper. Poi sono arrivati videogiochi e slot, i cassettoni metallici multicolori sono stati spazzati via e con loro un pezzo di storia dell’intrattenimento, ma anche dell’arredo e dell’immaginario pop di un’epoca cominciata negli States nel secondo Dopoguerra.
I giochi estinti
Come tutti i pezzi celebri ridotti a ferrivecchi dal nuovo che avanza, intorno a quegli stessi flipper negli ultimi anni è cresciuta una passione che sa di nostalgia, modernariato e fascino dei tempi andati. A Bologna, da quindici anni l’associazione Tilt raccoglie pinball e altri giochi ormai estinti con l’obiettivo dichiarato di creare un museo del flipper, sul modello di quelli già esistenti negli Usa: di recente hanno trovato ascolto da parte di Provincia e Comune, quindi il progetto si è temporaneamente incagliato a causa del crollo della giunta Delbono. « solo questione di tempo, o almeno lo speriamo, ma abbiamo già individuato una sede e dovremmo riuscire ad aprirlo», dice il presidente di Tilt Federico Croci, in questi giorni a Rimini per la fiera del gioco Enada.
La caccia ai pinball di ogni periodo, ma soprattutto a quelli di fabbricazione italiana, è la ragione di vita dell’associazione, che finora è riuscita a mettere insieme 500 macchine: oltre a 400 flipper ci sono i nonni dei moderni videogiochi, fra cui il primo esemplare del 1971, e poi mini-bowling, simulatori di guida e giochi col fucile, tutta roba ormai introvabile. Sono la storia del flipper e la sua salvaguardia però il chiodo fisso di quelli di Tilt, 60 soci a Bologna e 400 in tutto il mondo. Fra i pezzi rari della collezione per esempio c’è l’antenato del pinball, cioè la bagatella, un piano inclinato con fori e percorsi obbligati su cui veniva lanciata la pallina, secondo uno schema vecchio di qualche secolo: «L’esemplare più antico che abbiamo noi è un modello del 1871, americano, che è anche il primo con cui è stato brevettato il lanciabiglie», spiega Croci. Appartengono allo stesso genere alcuni modelli italiani degli Anni Dieci. E poi c’è il primo flipper vero e proprio, classe 1947 e di fabbricazione americana, che deve il suo nome alla presenza delle palette con cui il giocatore rilancia la pallina col pulsante (paletta in inglese è appunto «flipper», ndr).
La storia del pinball in Italia comincia con i primi pezzi abbandonati nelle basi militari americane alla fine degli anni Quaranta, prosegue con l’arrivo delle macchine usate dalla Francia e dalla Germania nel decennio successivo, ma ha un precedente significativo già sotto il fascismo, quando Mussolini vietò gli antesignani dei flipper perché venivano prodotti negli Usa: «Sono stati ribattezzati ”Bigliardino dell’Italia redenta” e rimessi in circolazione, noi ne abbiamo uno degli Anni Trenta», racconta il presidente di Tilt. Neanche nel Dopoguerra il gioco ha avuto sempre vita facile: negli anni Sessanta, il periodo di massima espansione commerciale del pinball in Italia, fu il governo a promuovere una legge che vietava tutti i giochi tipo flipper, classificandoli come d’azzardo perché si vinceva una partita. «Era il 1965 quando Giulio Andreotti ha firmato il provvedimento – ricorda Croci -, allora le ditte Usa, per aggirare l’ostacolo, hanno fatto cancellare la scritta flipper da tutte le macchine sostituendole con ”nuovo bigliardino elettrico”, eliminando la possibilità di vincere partite o palline». La crisi vera, dopo un boom durato fino agli anni Settanta, quando i flipper elettromeccanici furono rimpiazzati da quelli elettronici, è arrivata negli anni Ottanta, con l’arrivo dei videogiochi, per trasformarsi in catastrofe con l’avvento delle slot-machine, che dal 1995 cancellarono i pinball dai locali italiani.
E così i gloriosi flipper sono finiti ad arrugginire nei magazzini, e lì sono rimasti finché gli appassionati non hanno cominciato l’opera di recupero e di restauro. Non è solo questione di collezionismo: gli aficionados a scadenze fisse si affrontano in campionati veri e propri, come quello italiano il prossimo 10 aprile a Rovigo, quello europeo a Zurigo in ottobre e i mondiali americani in programma a maggio.
Tommy
Nel film di Ken Russell del 1975, con musica e testi degli Who, una scena cult è dedicata al flipper. Con la canzone «Pinball wizard» scritta da Pete Townshend.3
Massimiliano Vitasevic, 39 anni, bresciano, di professione tecnico ortopedico, ha nella sua collezione personale 16 flipper, un juke-box e tre slot-machine.
Cosa l’ha spinta a interessarsi di flipper?
«Giocare a flipper mi è sempre piaciuto fin da bambino, quando facevo partite da 100 lire l’una con mio nonno che mi accompagnava. Nel 1994 mi sono comprato il primo flipper, perché volevo giocarci in casa».
Quali sono i pezzi migliori della sua collezione?
«Due flipper americani di marca Bally, uno del 1963 e uno del 1965, che in Italia non sono mai arrivati. Ho anche un Old Chicago, sempre della Bally, del 1975, col disegno di un noto artista di flipper che ritrae John Dillinger e la donna in rosso».
Che quotazione possono raggiungere?
«Un modello come il Bally del 1963 si può vendere intorno ai 1.500 euro, poi magari trovi lo stesso pezzo in un negozio di modernariato di Milano lievita a 2.500 euro. Diciamo che per un flipper elettromeccanico funzionante la valutazione media su eBay si aggira intorno agli 8-900 euro».