PIERANGELO SAPEGNO, La Stampa 18/3/2010, pagina 20, 18 marzo 2010
TORTURE E MORTE TRA IL MARE E LA COCA
Dalla finestra, il mare calmo arriva, dolcemente, a Portofino. Alessandro l’hanno ucciso qui. Aveva otto mesi. Lì, dietro a viale delle Palme, c’era la villa dove abitava Roberto Mancini quando viveva a Genova. Nel Residence Vittoria, una targa d’oro al cancello, con i fregi un po’ leziosi sulle colonne, c’erano stati Ruud Gullit e Beppe Grillo. Alessandro, l’avevano messo sull’unico divano, proprio sotto la finestra, con le persiane verdi che adesso sono chiuse, sul cielo e sulla vita, e anche su questo mare calmo, nella camera del secondo piano. Aveva due bruciature, una sull’orecchio destro e una sull’inguine, aveva ecchimosi sul corpo e sul cranio e lesioni sul collo. Picchiato e strangolato. Sua mamma, Katarina Mathas, di 26 anni, e il suo compagno, Gian Antonio Rasero, di 30, li hanno arrestati per omicidio. Si accusano a vicenda, ma una cosa l’hanno ammessa tutt’e due: erano strafatti di coca. La Genova del bello e del male è come una cornice che ti lascia appeso alle parole e al loro degrado, all’insensatezza della vita quando si perde, anche da qui, da questi muri coperti d’edera sul vialetto di porfido che conduce al cortile con i lecci e i vasi di fiori, i giardini di pace e le storie senza luce, come quelle della studentessa di ingegneria Katarina e del suo compagno Gian Antonio, agente marittimo della Queen Yacht, a Sampierdarena, tanti soldi e notti lunghe. Paolo Mantovani diceva che i due posti più belli del mondo erano Nervi e Phoenix. Lui ci abitava a Sant’Ilario, sulla collina, e ogni tanto andava a Phoenix, Arizona. Gian Antonio, invece, aveva questa casa a Nervi, in un residence di lusso, un mese fa.
Katarina l’aveva conosciuta a dicembre, alla festa di inaugurazione della Queen Yacht. Dicono che gliel’aveva presentata l’attore Paolo Calissano. Altra terribile storia di coca alle spalle. Katarina vive a San Fruttuoso, via Donaver 17, una palazzina decorosa, di piccola borghesia. Ha l’appartamento di fronte a quello della mamma. Dina Perego, una vicina di casa, dice che «è una brava ragazza», che ce lo possono dire tutti qui, che si era laureata, ma che poi non aveva trovato lavoro. Faceva la hostess alle Convention e ogni tanto quella che distribuisce le carte nelle sale da gioco. Katarina ha un bel volto, con gli occhi verdi azzurri, il naso un po’ adunco. Una faccia interessante, da attrice. Con uno dei giocatori che serve al tavolo fa un figlio, ma lui è sposato ha già due bambini e neanche lo riconosce il piccolo. Lei lo chiama Alessandro. La signora Dina dice che erano felici con il bambino. Un tipo anziano, con un giaccone Usa, prima di scappare davanti ai microfoni ricorda che «li vedevano sempre insieme, lei che portava in giro il passeggino ridendo con lui. Stavano bene». E Stefano, il cugino di Katarina, aggiunge che non l’aveva mai visto piangere, «mai una volta. Anzi, una sola, perché aveva fame. E lei gli dette subito il latte. Era un bambino sereno». Katarina un po’ meno. Dev’essere entrata nel giro della coca. Conosce Gian Antonio. E’ sposato con una broker e ha 2 figli, ma sua moglie l’ha appena sbattuto fuori di casa. Lui ci viaggia qualche volta con la coca, raccontano gli amici, e ha pure i soldi, «o meglio, dice di averli». Lo descrivono come uno sbruffone, come uno che millanta molto «e racconta un mucchio di palle».
Lunedì è a Montecarlo. Lei lo chiama: «Mi vieni a prendere a Rapallo da un amico?». Lui va, la prende e la porta a cena a Portofino. Agli inquirenti dice che «lei aveva il bambino, ma che l’aveva lasciato dall’amico come se fosse un pacco». Ha già preparato la sua versione. Dopo cena, raccattano il bambino e la coca e poi vanno a Nervi, vicino al residence Savoia dove sta Cassano, dove abitava Milito, non distante da Pieve Ligure, dove stava Boskov, invece. Zona da milionari, con le sciure di Milano che svernano sulla passeggiata, capelli d’argento e pellicce, fra la stazioncina, la piazzetta e l’orizzonte. Loro si chiudono in stanza e sniffano. Lui racconta che si sono addormentati e che quando s’è svegliato «lei stava sbattendo il bimbo. Le ho detto cosa fai? E lei mi ha detto di stare tranquillo ed è tornata a dormire». Sembra un incubo da coca, non una storia vera. Lei dice che era uscita a comprare le sigarette e che, quando è tornata, il bambino pareva dormire, sul divano, sotto quella finestra che guarda il mare. E che poi al mattino gliel’ha detto lui: «Guarda che non si muove». Allora, l’hanno preso e portato al Gaslini. La portiera del residence racconta che li ha visti «uscire, con un fagotto in braccio, che teneva lui. Sembravano normali. Mai più avrei pensato che c’era un bimbo morto». Lei piange nel carcere di Pontedecimo: «Chi ha portato via il mio cucciolo? Non ci posso credere che non ci sia più, non posso credere che lui abbia fatto questo...». Che strano. Tutta la luce che manca a questa storia sembra esserci in questo posto. Dalla villa di Paolo Mantovani, tra gli ulivi, le palme e l’azzurro, si vede il promontorio di Portofino e ci sono le navi che passano in questo mare calmo. Anche Alessandro avrebbe potuto vederlo, dalla sua finestra sulla vita.
Sarà eseguita oggi alle 12,45 l’autopsia sul corpicino di Alessandro Mathas, mentre per domani è previsto l’interrogatorio della madre, Katarina, e del suo compagno Giovanni Antonio Rasero, in carcere per omicidio volontario. Il medico legale, professor Francesco Ventura, dovrà stabilire l’ora della morte, a quanto pare tra le 2,05 e le 2,40. Elemento importante perché proprio in quel lasso di tempo la madre avrebbe alcune telefonate (in cerca di coca) come risulta dai tabulati. Il piccolo non sarebbe morto, quindi, mentre lei dormiva, come sostiene la donna a sua difesa, indicando invece nel compagno il possibile omicida. Ora lei si dispera in carcere «Chi mi ha portato via il mio cucciolo? Non posso credere che il mio cucciolo non ci sia più. Non posso credere che sia stato quel ...» e piange. Si cercano anche eventuali segni di violenze passate, per stabilire chi sia stato ad infierire con bruciature di sigaretta, pizzicotti e torsioni della pelle prima di scaraventare il piccolo a terra. Dalle telecamere del residence invece si cercano riscontri sulle diverse versioni dei due.