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 2010  marzo 18 Giovedì calendario

ROSA E OLINDO: ACCUSE AI CASTAGNA

Loro due seduti vicini in punta alla panca nella gabbia degli imputati. All’estremità opposta del lungo legno un sacchetto di plastica trasparente con due di tutto: due panini avvolti nei tovaglioli, due mandarini, due merendine, due bottigliette di minerale. Seduti vicini - maglietta verde chiaro e acceso lei, pantaloni verdi e giacca grigia lui - ma come affettivamente più lontani rispetto a due anni fa, quando stavano stretti e carezzanti nell’aula d’Assise di Como, quasi l’abitudine alla separazione avesse coltivato una scoperta di individualità e un nuovo mutismo minato la simbiosi.
Immobili. Quasi uguale ad allora, più ordinata Rosa Bazzi. Più pallido, desolata e scolpita fissita Olindo Romano. Immobili a veder aprire la prima udienza dell’Appello, porta affacciata sulla speranza del dubbio da insinuare nella giuria, due togati e sei giudici popolari, cinque uomini e una donna. E in quasi settecento pagine di motivi d’appello, corredati già da consulenze di alto livello, i difensori Bordeaux, D’Ascola e Schembri dubbi e contestazioni alla sentenza di ergastolo del primo grado - quattro morti ammazzati, tra cui il bambino Youssef Marzouk, e un tentato omicidio - ne hanno portati tanti e pesanti. Non c’è più l’appassionato e tonante Vincenzo Pacia, morto pochi mesi fa.
In aula i parenti delle vittime: padre e un fratello di Raffaella Castagna, uccisa con la madre Paola, Elena, figlia di Valeria Cherubini e del sopravvissuto Mario Frigerio, Azouz Marzouk che ai giornalisti ripete: «Non serve perizia psichiatrica». E’ tranquillo, pacato: «Chiunque è coinvolto deve essere punito». In aula sta quasi sempre curvo sul banco delle parti civili. Di Olindo dice: «Mi ha guardato con occhi cattivi».
Ma Olindo guarda la Corte. Scrutano lui e la moglie i giornalisti e il poco pubblico. Ma soprattutto sono dipendenti del Palazzo di Giustizia a scendere, entrare, fermarsi cinque, sei minuti con gli occhi piantati sulla coppia. Una donnetta con un cappottino verde scuro è come paralizzata, come se l’immagine dovesse imprimersi sul rullino antico di una macchina fotografica vecchissima e lenta. Stanno a fissare il «male», poi quando l’hanno digerito se ne vanno.
Ma chi ora rappresenta il «male» deve essere scrutato dentro, non su visi, pelle e abiti. Non serve perizia, dice la Pg Nunzia Gatto («li hanno già visitati 88 volte»). Niente affatto è la replica la difesa. Ha presentato sedici pagine del professor Filippo Bogetto, direttore della Clinica psichiatrica dell’Università di Torino, preparate con due colleghi, Paola Rocca e Silvio Bellino. Se la richiesta sarà accolta e l’esame si farà, il pubblico griderà alla scappatoia. Invece Bogetto ci vede un passo indispensabile per qualunque sentenza, completa se si risponde al quesito: «Perché?».
E’ vero che Rosa e Olindo sono già stati «trattati» da consulenti di parte (non sempre attraverso incontri) e medici del carcere, ma il cattedratico, dopo approfondito esame della psichiatria forense, quella che spiega, rispetto a quella clinica, quella che cura, annienta il valore delle attenzioni già rivolte alle due menti: non c’è stata un’anamnesi completa, una «biografia psichica», i colloqui in carcere non sono stati un’indagine bensì interventi su disturbi manifestatisi con la carcerazione, stati d’ansia e perdita del sonno, con prescrizione di farmaci, da Rosa respinti. Soltanto colloqui impostati in funzione di una valutazione forense possono svelare alterazioni psichiche datate, non condizionate dagli eventi successivi al delitto del quale sono accusati: l’ipotesi del disturbo delirante può starci per Rosa, come per Olindo quello della psicosi indotta.
Se la corte presieduta da Luisa Dameno accoglierà le richieste degli avvocati, allora l’Appello non sarà routine ma una nuova istruttoria, con alcuni elementi di una delicatezza dolorosa, come registrazioni ambientali, intercettazioni, testimonianze, contraddizioni che riguardano Pietro Castagno, fratello e figlio di due vittime. Gli avvocati vogliono che si riaprano alcuni capitoli («Perché furono sospesi gli accertamenti sul fratello di Raffaella?»), la famiglia replica scandalizzata: «Una speculazione indegna».
Ieri, prima dell’udienza, Olindo ha fatto avere una lettera sua e di Rosa ai due inviati di Tg1 e Tg2: «Sentimenti calpestati. Diritti violati, negati. Violenza gratuita a una nostra debolezza psicologica. Hanno impedito alla nostra difesa di esercitare. Nonostante tutto abbiamo fiducia nella giustizia».