Alessandra Farkas, Corriere della Sera 18/03/2010, 18 marzo 2010
AMO I POETI MA NON VOGLIO VEDERLI
«Non condivido la tesi del mio amico David Remnick, direttore del New Yorker, secondo cui la poesia è in crisi. Da quando il mondo è mondo, la gente legge più romanzi che poesie, e il fatto che un’arte tanto difficile continui ad esistere è un vero miracolo». Gli occhi chiaro-cangiante di Harold Bloom, classe 1930, s’illuminano quando parla della sua grande passione. Quella cui ha dedicato innumerevoli libri, tra cui L’arte di leggere la poesia, in uscita da Rizzoli il prossimo 24 marzo.
«Cominciai ad interessarmi alle rime prima dei 10 anni, quando scoprii poeti yiddish quali Jacob Glatstein e Moyshe-Leyb Halpern – racconta l’autore de Il canone occidentale, L’angoscia dell’influenza e di altri 30 libri che hanno rivoluzionato la storia della critica letteraria mondiale ”. Solo più tardi approdai a luminari della lingua inglese come Hart Crane, William Blake, William Wordsworth, John Milton, William Shakespeare, Wallace Stevens, e William Butler Yeats, ai quali ho dedicato la mia vita».
In questo saggio, essenziale e incisivo, di 110 pagine, Bloom attinge alla sua lunghissima esperienza di critico, insegnante e lettore per spiegare la natura della poesia. Per i suoi amati poeti, anche nel privato Bloom ha fatto uno strappo all’antica regola di «non socializzare mai con gli autori che recensisco» («In fondo puoi conoscerli meglio dai loro scritti. Nel privato sono spesso insopportabili, incostanti e molto meno interessanti»). «John Ashbery e Mark Strand sono miei amici intimi’ spiega ”. Come lo era A. R. Ammons, scomparso nel 2001, che ancora mi manca».
Anche Bloom ha rischiato di morire quando, nel 2008, è caduto, scivolando a piedi scalzi sul parquet della sua casa di Manhattan. «Era un tranquillo sabato qualunque. Mia moglie era all’opera e io stavo meditando solo soletto su un mio recente saggio quando, nella mia proverbiale sbadataggine, sono inciampato, spezzandomi tutte le vertebre della schiena». Rincasando alcune ore più tardi, la moglie Jeanne lo trovò in terra privo di sensi.
«Dopo un lungo intervento, il professor Grauer che mi operò a New Heaven mi disse che ero stato miracolato: temeva morissi in sala operatoria, o che rimanessi paralizzato per sempre. Da allora non posso fare a meno del bastone». L’incidente è giunto dopo il colpo apoplettico che, dal 2007, lo tiene lontano da Yale, dove insegna Discipline Classiche dal lontano 1955. «Ho passato troppo tempo in ospedale – sospira ”. Per mia moglie è stato durissimo».
Certo, Saul Bellow aveva 74 anni quando si risposò per la quinta volta e 84 quando mise al mondo il suo quarto figlio: una bimba. «Saul era un pazzo’ ribatte Bloom ”, incarnava ciò che il grande critico e poeta inglese del 18esimo secolo Samuel Johnson ha definito il "trionfo della speranza sull’esperienza". Era un individuo impossibile e, a dire il vero, ci stavamo cordialmente antipatici».
Dopo la morte di J.D. Salinger, alla fine di gennaio, i media americani son tornati a parlare della sua relazione con Claire Douglas, seconda moglie dell’autore de Il giovane Holden. «Eravamo amici intimi quando lei viveva a New York. Mi manca molto, anche se continuiamo a scriverci. Non le ho mai chiesto di Salinger, perché sapevo che non voleva parlarne. Claire è una donna straordinaria e ora vive in California per star vicina ai nipoti».
Uno dei suoi rari amici scrittori è Philip Roth. «Negli ultimi tre anni, non ho più la forza per stargli dietro. Phil richiede un sacco di energia». Ma una serata di vent’anni fa, fu proprio Roth ad impartirgli una delle lezioni più memorabili della sua vita. «Claire Bloom, allora sua seconda moglie, era stata invitata a leggere il mio libro The Book of J al Symphony Space di Manhattan – racconta ”. Quando terminò, fui aggredito da alcuni ebrei ortodossi pseudo-yiddish, inveleniti per la mia tesi secondo cui tre dei cinque libri del Pentateuco furono scritti da una donna». Davanti ad un drink, più tardi, Philip cercò di consolarlo: «Harold, vuoi sapere il mio motto nella vita? – disse ”. Siamo nati per essere insultati».
Un dilemma che lui conosce fin troppo bene. «Dopo l’uscita del Canone sono diventato il paria della mia professione, o meglio della mia ex-professione». Undici anni fa Bloom ha rinunciato ai corsi di Master (limitandosi ad insegnare agli studenti Undergraduate di Yale) in polemica con «la degradazione delle graduate school» che in tutto il mondo anglosassone, spiega, «sono state scippate dal politically correct».
«Nell’era di Obama è ridicolo sostenere, come si fa nei nostri college, che il colore della pelle o il background etnico di uno scrittore, o anche il suo genere, orientamento sessuale e idee sociopolitiche, abbiano qualcosa a che fare col valore delle sue opere – dice ”. Io non cerco un altro Chaucer, Dante, Omero, Shakespeare o Cervantes: mi accontento della qualità di un Roth, Pynchon e Faulkner».
Quest’ultimo resta tra i suoi autori preferiti. «Il suo libro più straordinario è Mentre
morivo. Ogni volta che lo rileggo, scopro che la mia coscienza si è espansa e il mio io si è allargato, ma senza essere deformato o manipolato». I «grandi», va ripetendo Bloom da decenni, toccano l’individuo senza pretese di cambiare il mondo.
«La grande letteratura non ci rende più altruisti o generosi ma ci insegna a parlare in maniera più lucida, efficace, e, in ultima analisi, illumina il nostro io». Finalità egoista? «Certo, ma per aiutare il prossimo dobbiamo essere prima in grado di completarci come individui».
Cosa pensa Bloom di Internet? «Se usato da chi ha già una cultura è straordinario, ma per decine di milioni di giovani è un oceano grigio e caotico in qui affogare». E lui non ha nessuna voglia di diventare il loro faro. «Non sono Caronte e non navigo nel mare della Rete: non m’interessa portare in salvo le masse smarrite sulla mia barca».
Se qualcuno gli chiedesse di elencare i più grandi contributi resi dagli Stati Uniti alla cultura mondiale, non avrebbe dubbi: «Walt Whitman è al primo posto, il jazz al secondo». «Generi creati dalla controcultura quali il rock, il rap e il pop hanno distrutto l’arte’ insiste ”, ma la letteratura soffre più di tutti: le mostre di Picasso e Matisse attraggono enormi masse in tutto il mondo e Stravinskij non sarà mai sopraffatto dalle Guerilla Girls dell’ultima artista lesbica politically correct di turno».
Oggi lo scrittore non frequenta più neppure le librerie («Grandi catene come Barnes and Noble ormai hanno solo spazzatura») e tantomeno i teatri d’opera. «Quando, contro la sua volontà, il mio alterego Samuel Johnson fu trascinato dal suo biografo James Boswell all’opera, il poveretto scappò via durante l’intervallo borbottando: "Intrattenimento esotico e irrazionale"».
Quando Barack Obama era in corsa per la nomination, una sua vecchia amica, giornalista del New Yorker, Rebecca Mead, riesumò alcune poesie che il futuro presidente aveva scritto quand’era studente alla Columbia chiedendogli di recensirle. «Scrissi che erano promettenti se paragonate ad altre poesie orrende di politici quali il terribile Jimmy Carter e William Cohen, anch’essi, aimè, aspiranti poeti. E aggiunsi che Obama aveva fatto bene a non intraprendere la carriera letteraria».
Sottile, impeccabile ed arguto, l’humour di Bloom viene da lontano. «L’essere nato ebreo ha influenzato anche il mio lavoro – racconta ”. Mi aiuta a ricordare sempre che la cristianità non è l’essenza della letteratura immaginativa occidentale: Dante si ritiene un poeta cristiano, ma in realtà è un eretico. La religione in Shakespeare è irrilevante. Milton pensava di essere un protestante ma con Emily Dickinson era quasi una setta. Whitman non si considerava nulla. Il vantaggio di essere un critico letterario ebreo è capire che religione, letteratura e immaginazione talvolta marciano nella stessa direzione, ma spesso divergono fortemente. L’altro vantaggio è che parte di te sarà sempre un outsider».
Alessandra Farkas