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 2010  marzo 18 Giovedì calendario

L’INUTILE MINACCIA DI UN EURO MUTILATO

Angela Merkel, il giorno dopo la conclusione delle riunioni dei ministri dell’Economia di Eurolandia e della Ue, ha comunicato al Parlamento tedesco la sua linea «europeista» sul caso greco. I ministri finanziari, pur non giungendo a risultati eclatanti, avevano lasciato intravedere la disponibilità di un «sostegno», non meglio precisato, alla Grecia purché la stessa lo chiedesse ed attuasse con determinazione un programma di risanamento dei conti pubblici. Angela Merkel sembra aver voluto ignorare tutto ciò come altre ipotesi di cooperazione o coordinamento nell’ambito di Eurolandia per fronteggiare la crisi di un (piccolo) Paese membro in difficoltà finanziarie. La Merkel è stata netta nell’affermare che un intervento rapido di solidarietà non è una buona risposta e neppure lo è manifestare intendimenti in quel senso perché la Grecia deve provvedere da sola a risanare i suoi conti pubblici. Il Cancelliere tedesco ha proseguito affermando che i trattati europei vanno modificati per consentire l’estromissione dall’euro di quei Paesi che per un lungo tempo non rispettano i parametri di finanza pubblica richiesti dagli accordi stessi, non essendo realistico multare, come invece previsto, Stati che già sono in difficoltà.
Questa dichiarazione della Merkel potrebbe aprire nuovi e preoccupanti scenari non solo per la Grecia ma soprattutto per Eurolandia. Perché, se da un lato la presa di posizione del Cancelliere appare rivolta alla opinione pubblica e ai parlamentari tedeschi, dall’altro le sue parole rappresentano, nel mezzo di una crisi finanziaria internazionale che ha colpito anche i bilanci pubblici della Germania e quelli delle sue banche, una dichiarazione troppo forte per il tono e per il momento.
Che i Paesi membri di Eurolandia debbano essere chiamati, anche duramente, alle loro responsabilità e che si debbano individuare procedure «commissariali» e loro «sospensioni» temporanee dalla operatività di alcune istituzioni comunitarie, può essere necessario e urgente. Ma tutto ciò va visto in una prospettiva storica e istituzionale, senza mutilazioni all’euro come anche il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ha riaffermato. Bisogna invece rivedere il Patto di stabilità e crescita europeo, essendo saltati, e non solo a causa della crisi, i vincoli del 3% del deficit sul Pil e quello del 60% del debito sul Pil. Argomento questo in agenda dal 2003, cioè da quando il Consiglio Ecofin del novembre, presieduto da Giulio Tremonti, deliberava di non applicare le procedure sanzionatorie a Francia e Germania, che ne beneficiarono, diversamente da quanto previsto in caso di deficit eccessivi dal Patto di stabilità e crescita e da quanto richiesto dalla Commissione europea presieduta allora da Romano Prodi. Ne seguirono una diatriba e una flessibilizzazione dei parametri di finanza pubblica che tuttavia non fecero fare passi in avanti a Eurolandia. Perciò quando una vera revisione dei patti si avvierà, e speriamo che ciò accada presto, allora andranno anche considerate le proposte sia di un Fondo Europeo di Sviluppo (Fes) per rilanciare crescita e occupazione sia quelle di un Fondo Monetario Europeo (Fme) per gli interventi di urgenza. Ci vorrebbe inoltre un minino di fiscalità comunitaria o almeno un minor disallineamento nelle fiscalità dentro Eurolandia.
Il problema greco rimane in sé un piccolo problema che alla fine potrebbe essere risolto dal Fmi usando le abbondanti risorse che i Paesi della Ue hanno anche di recente versato. Questo non ci rallegra, perché avremmo preferito utilizzare parte delle risorse versate al Fmi per creare un Fme. Ma ben più preoccupante sarebbe un’Europa dove la Germania cessi di svolgere quel ruolo storico cruciale che essa ha avuto nella costruzione europea: quello di un Paese che, anche per la sua struttura federale, è sempre stato capace di combinare aspetti intergovernativi e aspetti comunitari.
Alberto Quadrio Curzio